Negozi: ritorno al quartiere

Partiamo da una tradizione. Un punto di ancoraggio per confrontare dati e statistiche è l’anno di inizio della duratura crisi economico-finanziaria, individuabile, per l’Italia, intorno al 2008. Da quel momento il mondo imprenditoriale non è stato più lo stesso ed è facile osservare come ogni analisi, ogni elaborazione, ogni dato statistico cerchi riferimento al periodo […]

Partiamo da una tradizione. Un punto di ancoraggio per confrontare dati e statistiche è l’anno di inizio della duratura crisi economico-finanziaria, individuabile, per l’Italia, intorno al 2008. Da quel momento il mondo imprenditoriale non è stato più lo stesso ed è facile osservare come ogni analisi, ogni elaborazione, ogni dato statistico cerchi riferimento al periodo pre-crisi per un confronto più “consistente”. Nello scenario che ci ha offerto quel momento storico, il franchising ha sempre fornito dati positivi di crescita, seppur molto ridotta in alcuni anni, mentre il commercio indipendente ha espresso dati al limite della catastrofe (ne abbiamo dato cenno anche in Centri in-catenati). Però adesso sembra stia accadendo qualcosa, quantomeno nel settore alimentare. Forse se ne erano accorti in pochi, ma a molti dovrebbe generare un’opportuna riflessione, anche in e per altri settori.

Il settore franchising

Dal Rapporto Assofranchising Italia, pubblicato a fine maggio 2018, il 2017 sembra attestarsi come l’anno dei record per il franchising, con la crescita al Sud e le opportunità per giovani e donne come i principali indicatori positivi.

Molti i dati positivi sull’occupazione. Interessante anche la notizia che il 90% dei franchiser abbia un’età compresa tra i 25 e i 45 anni; importante poi la crescita dei volumi di affari e anche la crescita della presenza di insegne italiane all’estero, ma si apprende anche che il numero delle reti attive in Italia diminuisce del 2,2%. All’interno di questo dato, degna di attenzione la crescita delle reti in soli tre settori (ristorazione, beauty-cura-benessere della persona e GDO), mentre diminuiscono tutti gli altri settori (abbigliamento, servizi, commercio specializzato, casa e altri).

Senza dubbio, nel tirare una somma, siamo in presenza di dati positivi, dai quali però non si riesce mai a comprendere la parte “dinamica”, ma solo quella “statica”. Un esempio: seppur si apprenda che dal 2016 al 2017 i punti vendita affiliati siano cresciuti del 1,9%, non è noto quanti siano stati avviati e quanti chiusi in tale periodo e neanche il tempo di durata o della loro anzianità, quantomeno con una suddivisione in fasce temporali quinquennali. Altresì, da tale analisi, non giunge neanche il dato di quante reti “debuttano” nel settore franchising e dopo quanto tempo cessano o escono dallo stesso settore.

Si tratta di dati da non sottovalutare assolutamente, in quanto darebbero un’informazione circa il loro reale turn over nel settore con una valutazione certamente diversa. L’assenza di questi dati non elimina la veridicità di quelli resi pubblici, ma li rende veramente affidabili? Diciamo che tutto diventa affidabile quando se ne conoscono le caratteristiche strutturali e quando si ha ben chiaro quali informazioni chiedere. Ecco, quindi, l’importanza di conoscere la materia franchising al fine di poter approfondire con ulteriori strumenti, supporti e anche professionisti, ciò che offre il settore.

Il settore commercio indipendente

Nei giorni successivi alla presentazione del rapporto sul franchising, la Confcommercio rende pubblico un dato sorprendente: “Più di un italiano su due fa la spesa sotto casa”. Che cosa significa questo dato? Significa che siamo in presenza della “riscoperta del negozio alimentare nelle città come nuova tendenza nella distribuzione moderna e oltre il 55% dei consumatori italiani compra nei supermercati di quartiere e l’indice di soddisfazione è massimo per i negozi indipendenti specializzati”. Non è da escludere che il dettaglio torni ad avere un valore economico e sociale per le nostre città. Non è un dato da sottovalutare in quanto è stato ed è fra i primi settori (l’alimentare, il negozio specializzato) a essere considerati in estinzione.

Sicuramente questo dato matura da nuove tendenze demografiche e sociali le quali hanno portato e stanno portando gli ipermercati a una crisi già consolidata in molti paesi e in corso anche in Italia. Secondo i dati Confcommercio, infatti, tali strutture hanno perso in 10 anni il 22% di produttività e le superfici della GDO hanno smesso di crescere, anche con l’abbandono delle versioni “hard”, aggiungendo qualità e servizi. Per questo motivo le grandi insegne invertono le loro strategie rispetto agli ultimi 30 anni e riscoprono il valore della prossimità̀, aprendo punti vendita più piccoli, a maggior livello di servizio nei centri cittadini e spesso confinanti con altre piccole strutture indipendenti.

I fattori di questo successo del negozio specializzato di quartiere sono la qualità del prodotto fresco, la cortesia e la competenza del personale, elementi che da tempo gli esperti indicano come “strategici”. Un capitolo a parte lo assumono la spesa online e la consegna a domicilio, ancora marginali in Italia e in sicura crescita. Per esempio, l’online in Italia è appena allo 0,5% contro il 6% della Francia, ma si tratta di un altro tema da esplorare con altri approfondimenti in considerazione delle problematiche che lo caratterizzano (logistiche, di pagamento, di assortimento e non solo).

Una sorpresa? Non proprio

I due dati sono effettivamente una sorpresa? No, soprattutto per il secondo. A parere di chi scrive, infatti, era tutto prevedibile, come ho avuto modo di riportare e dichiarare in altri contesti. L’esempio è rilevabile proprio dal mercato francese, ritenuto molto simile a quello italiano in termini di usi e costumi dei consumatori, ma molto più avanzato e maturo rispetto al nostro mercato nazionale (come accade, d’altronde anche nel settore franchising). Perché era prevedibile a seguito dell’esempio francese?

Iniziato con un alto tasso di permissivismo della Legge Royer del 1973, dal 2007 (con legge approvata nel 2008), la Francia ha dato il via a quello che è definito “Il modello di urbanismo commerciale”. Nel paese d’oltralpe, nel passato, è stato favorito lo sviluppo di ampie zone commerciali nelle aree periurbane, fenomeno che è coinciso con l’abbandono delle attività commerciali nei centri città e che di conseguenza ha modificato la vitalità nei centri urbani. L’obiettivo di questa iniziativa di revisione è stato il riequilibrio del rapporto centro-periferia (in Francia oltre il 90% della GDO è in aree extraurbane), ricercando le opportunità di crescita, anche quantitative, negli spazi lasciati aperti dallo sviluppo sostenibile negli ambiti urbani.

La Francia, pertanto, si è domandata come ritornare a un modello di commercio e di urbanismo con una dimensione umana, abbandonando un concetto di programmazione vincolistica che non ha dato frutti (sui prezzi, sulla concorrenza, sulla rivitalizzazione delle città), e non ha comunque impedito agli ipermercati di raggiungere la soglia-record delle 1.600 unità, contro le 1.200 di dieci anni fa. Mentre in Francia il fenomeno è già consolidato da oltre dieci anni, anche in Italia abbiamo assistito a un’anticipazione dei tempi con aperture, non a caso proprio da parte di gruppi francesi come Carrefour e Auchan con i format più ridotti denominati Express, Market, di negozi ridotti sotto l’insegna della grande marca e che altro non sono che il ritorno alle già note “superette” di vecchia data, al tempo diffuse per i marchi come A&O, Despar, InCoop e molti altri.

Questo fenomeno sembra non porre contrasti tra franchising e commercio indipendente. Anzi, nel settore degli alimentari proprio le grandi marche, tradizionalmente operanti nei grandi centri commerciali, puntano a una doppia strategia, sfruttando il franchising per operare con negozi di vicinato di ridotte dimensioni (quindi a investimenti sostenibili da affiliati) o andando a convertire attività indipendenti ubicate in centri cittadini e quartieri. Si tratta quindi di una “reciproca collaborazione” per soddisfare il consumatore: operatori indipendenti (affiliati) che operano come e con le stesse caratteristiche di un negozio di vicinato, esercitando l’attività sotto un’insegna nota (franchisor). Il tutto accompagnato da tutte quelle caratteristiche tipiche del franchising.

Quali sono le sfide del ritorno al quartiere?

Bisogna evitare di pensare che si tratti di un ritorno indietro nel tempo, perché, se è pur vero che la similitudine alle “superette” ci trascina indietro nella storia, gli elementi vincenti di tale “ritorno” (sopra citati: qualità del prodotto fresco, la cortesia e la competenza del personale) rientrano perfettamente nelle caratteristiche del consumatore del terzo millennio. Un consumatore sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo, qualcosa che metta in gioco la sfera dei suoi cinque sensi, cioè quello che ha determinato il “boom della multisensorialità” nel commercio – quel processo che avvicina lo stesso consumatore al punto vendita e a tutto ciò che trasmette.

Infatti, dai dati di una ricerca condotta da Astra-Demoskopea per conto di Colgate-Palmolive (I sensi nel carrello), si evince che la novità giunge proprio da quest’atteggiamento multisensoriale, finora sottovalutato o limitato a poche fasce di consumatori, che oggi è diventato davvero di massa (il polisensorialismo coinvolge ormai il 58% della popolazione italiana).

Da questi scenari, pertanto, parte il percorso di ricerca e di analisi della Grande Distribuzione Organizzata in Italia, che sta mostrando quali siano le strategie che le insegne commerciali del comparto alimentare stanno mettendo in atto. Abbinando tali informazioni con le previsioni di sviluppo demografico, nuove abitudini di acquisto e di alimentazione, il cambiamento di orari e delle modalità lavorative, le nuove tecnologie per il commercio e le nuove abitudini sulla mobilità (includendo anche l’evoluzione delle realtà urbane) si prospettano proprio questi futuri scenari di sviluppo del commercio alimentare organizzato in Italia.

Ecco perché la maggioranza delle insegne operanti in Italia sta intraprendendo una strategia di diversificazione dei format di vendita per aumentare il grado di penetrazione nel territorio ed il grado di fidelizzazione da parte del consumatore. Lo scenario assume questo aspetto:

  1. i commercianti indipendenti e i marchi in franchising si troveranno presto a essere concorrenti in un medesimo territorio con il medesimo bacino di utenza (situazione impossibile con i centri commerciali), e i commercianti indipendenti dovranno affrontare tale concorrenza individuando, appunto, servizi concorrenziali che si riferiscano anche al marketing sensoriale e a tutto ciò che rientra nella sfida della “multisensorialità” (ma non solo);
  2. in tali servizi rientrerà sicuramente anche il canale e-commerce (anche per l’alimentare) e il consumatore potrà comodamente effettuare la selezione e l’ordine dei prodotti direttamente da casa, dal lavoro o dal cellulare, per poi vedersi recapitare la merce a casa in tempi brevissimi o procedere al ritiro presso il “negozio di prossimità più prossimo”.

Una sfida non facilissima per i commercianti indipendenti, i quali al momento, sembra che si stiano prendendo una rivincita con il consumatore che torna nel quartiere. Ma proprio dal quartiere potranno partire le nuove sfide per il futuro, con una combinazione di fredda tecnologia e “sensitività umana”, dove un ruolo non secondario lo assumono investimenti e risorse, umane e finanziarie. In totale, una bella sfida.

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