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Non desiderare la roba d’altri
Fino agli anni ’80, la catena solidale fra generazioni prevedeva che quella a monte si prendesse cura di quella successiva nei primi anni, dai pannolini alle tasse universitarie, quando poi il trend si invertiva. La fine di questo decennio segna l’inizio della crisi di un’ economia gonfiata, e di un patto generazionale che fino ad allora aveva […]
Fino agli anni ’80, la catena solidale fra generazioni prevedeva che quella a monte si prendesse cura di quella successiva nei primi anni, dai pannolini alle tasse universitarie, quando poi il trend si invertiva. La fine di questo decennio segna l’inizio della crisi di un’ economia gonfiata, e di un patto generazionale che fino ad allora aveva retto e sostenuto le famiglie. Succede che chi, diventato nonno e si apprestava a ricevere quanto dovuto, si è trovato invece nella triste condizione di dover mantenere con la propria pensione la generazione precedente e quella seguente.
Di più , chi percepisce un assegno pensionistico, calcolato con il vecchio sistema retributivo, si vede anche rinfacciato il costo sociale che gli si attribuisce da chi non ha nemmeno accesso al lavoro. Destino beffardo.
La crisi ha una genesi. Concomitanza di calo demografico, crisi economica, rallentamento del mercato del lavoro. Questo ha reso insostenibile, per qualsiasi nazione, il peso di un sistema previdenziale sbilanciato a favore delle persone uscite dal lavoro.
La logica è delle più semplici. Più c’è lavoro, più ci sono persone che lavorano e che contribuiscono ad alimentare il serbatoio previdenziale, più il sistema è in equilibrio.
Già il Prof. Gianni Billia, in occasione delle celebrazioni per i cento anni dell’INPS, sostenne con lungimiranza:
“Non si vuole negare la necessità di un ridisegno del sistema di protezione sociale nella sua complessità, attraverso una revisione della modalità di erogazione delle prestazioni e un radicale riassetto della composizione funzionale della spesa sociale. Questa è infatti altamente squilibrata nel nostro paese a favore della tutela dei rischi connessi con l’età anziana, sia attraverso l’erogazione delle prestazioni monetarie, tra cui quelle pensionistiche sono le più importanti, sia attraverso l’offerta dei servizi sociali.
Al contrario, la tutela di altri rischi o bisogni è nettamente inferiore nel nostro paese rispetto agli altri partner europei: la tutela dei soggetti disoccupati, dei poveri, delle famiglie numerose comporta impegni di spesa maggiori di quelli attualmente destinati a tale funzione. In un’ottica di revisione dell’assetto del sistema di protezione sociale è dunque paradossale concentrare la sola attenzione alla riduzione del livello della spesa per particolari prestazioni senza porsi l’obiettivo di un riequilibrio della protezione di altri rischi che sono attualmente trascurati.
La popolazione italiana invecchia, i demografi ci dicono che l’apporto dell’immigrazione, se avverrà in modo ordinato e sopportabile, non basterà comunque a contrastare questo fenomeno
Le soluzioni proposte hanno tutte dei pregi ma anche dei difetti. L’elevazione della età pensionabile può rendere ancora più difficile l’inserimento dei giovani. Limiti troppo drastici al lavoro dei pensionati significano negare la possibilità di un apporto attivo, e possono anche gonfiare l’economia irregolare. D’altra parte, sappiamo che né l’una né l’altra soluzione sono gradite ai lavoratori in procinto di andare in pensione, che peraltro non desiderano neppure essere additati al paese come i protagonisti involontari di uno scontro generazionale“.
Quanto siano sbilanciate, le pensioni italiane, lo si capisce per esempio facendo un confronto con la Germania. Lì le persone che hanno più di 65 anni sono appena meno che in Italia, eppure la spesa pensionistica assorbe circa 9 euro ogni 100 prodotti in un anno contro i nostri 14. E non che gli anziani tedeschi stiano male, anzi: il loro tasso di povertà è persino inferiore a quello dei nostri conterranei”.
Peccato che a causa di una congiuntura favorevole, che vede la Germania trainare l’intera Europa, l’economia è forte , i prezzi bassi e il potere di acquisto di una pensione media è correlato al costo della vita. Da noi non è così. Noi siamo nel pieno di una crisi generazionale.
E peccato anche che, nelle premesse, il Libro Verde – Verso sistemi pensionistici adeguati, sostenibili e sicuri in Europa del 7 luglio 2010, avesse inserito come priorità per la modernizzazione della politica delle pensioni nell’UE, adeguatezza, sostenibilità, equilibrio tra durata della vita professionale e durata della pensione, eliminazione degli ostacoli alla mobilità. “Si stima che la crisi avrà ulteriori ripercussioni sulla spesa previdenziale nel lungo periodo, perché si prevede un forte rallentamento della crescita economica e vi è molta incertezza su quando ci sarà una piena ripresa” si legge nel documento.
Tutto rimasto sulla carta, tranne la ricerca forsennata della stabilità dei sistemi.
“Il sistema pensionistico europeo è sotto pressione a causa dell’invecchiamento demografico che risulta da un aumento della longevità e la diminuzione del tasso delle nascite. Dal 2012 la popolazione attiva in Europa comincerà a diminuire e quindi la sfida è incombente. Molti Stati membri hanno modificato i loro sistemi pensionistici in varia misura per poter affrontare la sfida, ma la crisi economica e finanziaria ha reso la situazione più difficile e più urgente”.
Tutti i discorsi hanno un inizio e una fine. Ma al ragazzo cresciuto con la paghetta sufficiente a fare miscela e prendersi una pizza con la ragazza, che ora si ritrova a trenta, quaranta anni, a prendere sempre la paghetta con cui deve pagare le bollette e i pannolini, che non ha un lavoro oppure è precario, che deve farcela conle proprie forze, perchè non ha la “spintarella” non appartiene a nessuna lobby e non è un genio della finanza, ma che deve fare. Deve solo pregare che il signore non gli porti via anche i genitori, che sono diventati una quota insostituibile di sostentamento. e di rabbia, perché è il costante riferimento ad un passato di benessere che gli altri godono e di cui tu paghi il conto.
Questa più che una crisi generazionale sembra una guerra che ha perdenti e vinti. I vinti sono le nuove generazioni, senza lavoro, senza futuro che subiscono un sistema economico e sociale che non hanno contribuito a creare. I perdenti sono i loro genitori, che hanno perso la speranza di veder emergere i propri figli.
In un periodo di benessere non troppo lontano, si poteva dare sfogo alle proprie frustrazioni pensando, sperando, sognando che i propri figli raggiungessero le vette più alte, riuscissero ad emergere riscattando una vita fatta di lavoro e sudore più che di tempo libero e svago. tutto per farli studiare, sostenerli all’università, in attesa del giorno in cui avrebbero riscattato le generazioni precedenti. Ora anche questo sogno è stato infranto e la crisi si è palesata in tutto il suo potere distruttivo. Chi si è ammazzato in fabbrica, chi ha fatto i turni al lavoro per i figli, chi è emigrato per mandare i soldi a casa, adesso che è in pensione, la meritata pensione, deve “stringere la cinghia”. Da ridere.
Ma in che paese viviamo. Ma in che paese ci costringono a vivere. Ma quale valore aggiunto possono dare alle aziende dei giovani senza futuro, senza tutele nel presente. Ma che prospettive ha un paese che non è in grado di sostenere la famiglia.
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