Paolo Verri, Matera 2019: “La cultura è un flusso continuo, guai a interromperlo”.

“Sono a Matera da nove anni. Una lunga fedeltà, come avrebbe detto Gianfranco Contini rispetto a Montale”. Con una risposta simile non è difficile intuire che mi si sta per aprire un’intervista in cui dall’altra parte la cultura conta, la cultura è viva. “Sono arrivato qui dopo aver diretto il Salone del libro di Torino, […]

“Sono a Matera da nove anni. Una lunga fedeltà, come avrebbe detto Gianfranco Contini rispetto a Montale”. Con una risposta simile non è difficile intuire che mi si sta per aprire un’intervista in cui dall’altra parte la cultura conta, la cultura è viva.

“Sono arrivato qui dopo aver diretto il Salone del libro di Torino, poi il piano strategico di Torino e il 150° dell’Unità d’Italia. Sono stato contattato fin da subito dalla Regione Basilicata perché volevano attivare politiche di creazione di contenuti originali negli spazi urbani e capire se e come avrebbe avuto senso candidare Matera a capitale europea della cultura seppur in una regione così piccola; abbiamo quindi costituito un gruppo di lavoro intorno agli studi della Fondazione Fitzcarraldo e partendo dai primi 25 anni di Capitali europee, fino al 2020, abbiamo cercato di capire se Matera potesse essere una città interessante e se avesse le potenzialità per introdurre un nuovo modello culturale”.

Lo studio finale è del 2010 e lui andò ad ascoltarne gli esiti per la prima volta a Bruxelles nel 2011. Il primo nome che ci tiene a citare è quello di Rossella Tarantino che in quel momento si occupava proprio per la Regione Basilicata di un progetto chiamato Visioni Urbane con cui intendeva sviluppare politiche di produzione di contenuti originali e di spazi urbani per una piccola regione dal potenziale straordinario ed inespresso.

Si dovrebbe lavorare proprio così quando un progetto comune richiama la parola comunità: stessa radice, stesso futuro.

Paolo Verri, Direttore generale di Matera 2019 – Capitale europea della cultura, ha poco più di cinquant’anni e una laurea in Storia dei media all’Università Cattolica di Milano ma la biografia che trovo sul sito ufficiale mi ricorda anche che è “uomo di libri, prima direttore editoriale per varie case editrici e poi direttore del Salone Internazionale del Libro di Torino dal ’93 al ’97”.

Infila con naturalezza ragionamenti e argomentazioni mentre parla, storie e geografie. Non sono abituata ad ascoltare tanta competenza manageriale mista a tanta umiltà espositiva, la regola è che solitamente più so più grido. Riusciamo finalmente a sentirci durante un suo viaggio in treno, il tono di voce che mi usa è basso perché non vuole disturbare e il profilo che mi si disegna di quest’uomo è ad ogni minuto più chiaro.

Parliamo da appena un paio di minuti e mi ha fatto già capire che Matera è una cerniera dell’Italia senza dirlo. Un territorio che ha tutto il tema dello spopolamento, della riqualificazione e del buon uso della terra, della green economy e delle nuove frontiere professionali ibride tra chi c’era, chi se ne è andato e chi è tornato. Non gli basta, rincara. “Matera porta con sé anche tutta la questione linguistica, storica e artistica. Ha tutte le caratteristiche dei bordi, quelli che a Bruxelles vengono chiamati corners of Europe”.

Il primo passo me l’ha spiegato, ed è quello che viene spontaneo, però è col secondo che si rafforza la rotta. 

Sicuramente il nostro secondo passo è stato la mappatura di tutte le associazioni culturali della Basilicata, abbiamo intervistato i protagonisti del territorio, li abbiamo voluti misurare. La cultura va misurata.

Che temperatura c’era?

La prima cosa forte ad emergere è stata il desiderio di riscatto soprattutto dai giovani impegnati nel mondo del teatro e del cinema. C’era un fermento enorme. Va sempre tenuto a mente che tutta la Basilicata conta intorno ai 500mila abitanti, parliamo della metà di Milano, divisi su 131 Comuni molto spesso lontani gli uni dagli altri e quindi parliamo di un enorme fermento intorno ad un nucleo ridotto ma intriso di potenzialità. Per non parlare dei dialetti.

Dovremmo avere più cura del patrimonio linguistico e dialettale italiano, ci siamo tutti noi lì dentro. Matera ne ha avuta?

L’Atlante dei dialetti italiani riscontra che il maggior numero di dialetti è proprio in Basilicata, qui dove ogni Comune ha mantenuto una distanza fisica e linguistica.

Il paradosso della chiusura e dell’assenza di comunicazione.

Riscontrata la disponibilità dal territorio di lavorare in una maniera nuova, quindi non finalizzando tutto al proprio interesse ma a quello di un progetto superiore e collettivo, abbiamo usato la cultura per ridiscutere il sociale e il politico. Abbiamo fatto in modo che la Basilicata iniziasse da un modello completamente antitetico a quello espresso finora non solo da queste parti ma in molte parti d’Italia.

Abitante culturale e cittadino temporaneo sono solo un esempio dei vocaboli nuovi che abbiamo introdotto basandoci anche su alcuni studi del sociologo Domenico De Masi, convinto che il tempo libero costituirà sempre più l’asse portante delle nostre vite personali e professionali. Si tratta della nostra disponibilità vitale e di come sempre più sia il tempo libero – agli antipodi col Novecento – a creare nuove forme di lavoro e di relazioni.

Il ribaltamento profondo che abbiamo introdotto a Matera del resto ricalca un po’ ciò che già nel Trecento e Quattrocento si diceva tramite i grandi scrittori che in lei vedevano una città dove il cielo sembrava sprofondarle dentro, con le stelle assimilate alle tante fiaccole urbane pronte a farle luce. A Matera furono espulsi tutti tra il ’53 e il ’59, un esodo di massa cui seguì la creazione di nuovi quartieri, la sperimentazione di Olivetti e il nuovo quartiere agricolo. Da sempre è un luogo abituato ad evolvere e non è una informazione di poco conto, ha spesso fatto grandissime scommesse di cui alcune fallite ed altre con effetti di lunga durata. Merita raccontare un grande concorso del ’74 e di come questa estate porteremo in città l’architetto giapponese che illustrerà come le sue idee, 45 anni dopo, sono diventate realtà nella Capitale europea della cultura. Chiamiamole pure onde lunghe.

Ora arriva la domanda che in Italia tenta di mettere all’angolo anche i migliori progetti culturali. Chi li paga, chi li sostiene?

Noi riscontrammo subito che c’era disponibilità di fondi all’interno del budget della Regione Basiicata e capimmo che potevamo candidarci per un lavoro che non sarebbe stato inutile, tutt’altro. Cercavamo di attuare un piano produttivo per la città basandolo sulla cultura per riposizionarla su un piano nazionale ed internazionale: per la prima volta usare qui la cultura per ridiscutere il politico e il sociale.

Lei è stato anche direttore di Padiglione Italia ad Expo 2015, ha dovuto coordinare culture e genesi geografiche completamente diverse, lavora da anni ad un potenziamento delle identità italiane. Ma sono così dissimili tra loro i territori italiani, quanti stereotipi ci vivono intorno, siamo realmente tanto diversi da nord a sud?

Proprio no, ci sono invece molte costanti. Intanto tutti combattiamo inesorabilmente contro la burocrazia però non nel senso dei processi quanto nell’assenza di programmazione. Uno degli aspetti che è stato per noi fondamentale è stato il dare una progettualità almeno di medio periodo alle persone che ci lavorano perché di solito le persone si sentono sole quando lavorano, le istituzioni sono lontane e fanno bilanci – specialmente quelli regionali che sono i più strategici nel nostro settore – persino molto mesi dopo che la programmazione è stata stabilita. Capisce l’assurdo italiano, capisce la gravità?

Il cartellone così denso di Matera 2019 è figlio di questa modalità?

Ci siamo capiti perfettamente, pensi che ci lavoriamo da 5 anni. Ogni aspetto della vita sociale ha bisogno di programmazione: le infrastrutture, l’educazione, l’economia e anche la cultura. La cultura non è un concerto che si può improvvisare da un giorno all’altro montando un palchetto e la gente ci sale sopra, la vera cultura scava e pianifica nei tessuti urbani. L’altra è cultura dell’effimero.

State quindi ribaltando i ruoli. Chi come lei organizza progetti culturali viene spesso associato all’evanescente. La cultura non ha un peso economico nell’immaginario.

Proprio noi stiamo rimettendo in ordine i codici di comportamento istituzionale lavorando da 10 anni ad un progetto come Matera 2019 e facendo di tutto per tenerlo saldo nel lungo periodo altrimenti le cose che promettiamo oggi non ci saranno mai domani.

Come si radica una cultura della programmazione, come si evitano i rischi del solo clamore mediatico?

Si cerca soprattuto di creare coalizioni stabili sui territori. La Fondazione Feltrinelli è stato uno di questi passi, ad esempio, per riflettere insieme sul tema della democrazia diretta, democrazia dal basso. In tutti questi anni ho riscontrato mutazioni fortissime. Quando abbiamo iniziato questo genere di progetti nel 1993, subito dopo le riforme Bassanini, era molto chiaro che i Comuni non fossero in grado di gestire le attività culturali. Facevano quindi nascere strutture intermedie alle quali davano obiettivi, erano strutture di scopo, e la politica dava loro mandato per costruire contenuti di lungo raggio.

Erano gli anni Novanta della Torino che avrebbe cambiato pelle.

Ero a Torino, sì. Abbiamo visto nascere lì consorzi pubblici e privati o strutture capaci di finalizzare i contenuti culturali dal turismo al wireless già in quegli anni. Quello che è oggi Torino ha buone radici lontane. Cercavamo di fare ricerca e di attivare fund raising a livello europeo perché ci sembrava che fosse lì dentro il vero meccanismo corretto. A un certo punto però, nel 2008-2009, questa serie si è interrotta e con la crisi collettiva si è generato un ripensamento globale dell’industria culturale anche in Italia. Il management dei Comuni ha perso risorse, idee, forze, sinergie. Oltre alla malagestione anche a livello finanziario e fiscale, come se la spesa in conto capitale andasse a influenzare anche l’impossibilità della spesa corrente mentre invece una cosa è fare progetti di lungo periodo con dei fondi che vanno messi per anni a servizio della comunità e altra cosa è erogare servizi quotidiani che servono ai cittadini. 

Siamo passati da una politica a governance diffusa ad una politica confusa. Aldilà degli schieramenti e guardando alla ideologia contemporanea diffusa, ora ci si spacca tra chi vuole governare dal centro e chi vorrebbe che il centro desse gli indirizzi ai territori rendendoli autonomi nell’esecutività.

Quanto cambia questa ideologia da nord a sud?

Non cambia. Diciamo che purtroppo nei luoghi in cui c’è meno sviluppo la richiesta di intervento dei cittadini verso la politica è maggiore e anche se la politica non può niente, si presuppone che la politica invece possa. Immagini un palloncino che facciamo gonfiare con tutta l’aria dei nostri bisogni ma pur sempre un palloncino in aria resta.

Che tipo di proiezione si può fare, su un tessuto come Matera, dell’incidenza di impresa dopo un progetto culturale come il vostro?

Intanto abbiamo dati concreti attestati da Istat, Svimez, Censis che siamo la regione che cresce di più al Sud con un dato del +1,6% e con una crescita media dell’industria culturale e turistica che traina 1 euro ogni 3 sul totale. Matera è passata da 98mila a oltre 500mila presenze, diventando una delle mete imprenscindibili del turismo di spessore.

Però non mi ha ancora risposto. Oltre al turismo si può parlare anche di flussi professionali, magari di ritorno?

Indubbiamente il fenomeno è già sotto osservazione, parliamo di numeri piccoli ma significativi se ricalati nel contesto materano. La nostra responsabile dei volontari è una ragazza che ha lavorato per 7 anni a Londra e ha colto l’occasione del nostro bando per rientrare al sud scegliendo di radicarsi finalmente qui, con una formazione alle spalle di immenso valore per questa parte d’Italia.

Spero che in futuro non si risponda a questo fenomeno sempre più massiccio al sud con politiche piagnone o autolesioniste dove semplicemente si pensi a forme di assistenzialismo. Bisognerà invece lavorare sul potenziamento dei territori, l’unica via è quella. 

Qual è la domanda da farci, da italiani, quando si parla di sviluppo?

Chiederci perché il turismo ci faccia tanta paura. Ora che finalmente sta arrivando, quello che noto è il timore di essere depredati o impoveriti di qualcosa di indefinito. Dovremmo invece pensare che, ben aldilà della ricchezza oggettiva che ci trasferiscono, ci vengono a dire che il nostro Paese è il più bello del mondo. Sembra quasi che ce ne vergogniamo e non ho mai capito perché.

Siamo piccolissimi di visione quando ci pesa dover togliere la nostra auto accanto alla Cattedrale perché viviamo accanto alla Cattedrale, l’individualismo accorcia la cultura. Bisogna solo apparentemente penare un po’ perché poi alla fine le città diventano migliori anche per chi ci vive tutti i giorni e non solo per chi le attraversa da turisti. Ampliare le aree pedonali, allungare gli orari di visita dei musei e delle chiese, mettere tutta la città al servizio e non chiuderla intorno ai singoli.

Non ci si deve mai fermare davanti all’industria del turismo: tutto ciò che entra nelle casse va subito reinvestito per attirare competenze, risorse professionali, idee generatrici di ulteriore crescita. La cultura è un flusso continuo, guai a interromperlo.

Mi lasci con un appuntamento imperdibile di Matera 2019.

Il 18,19 e 20 luglio ricorderemo l’allunaggio con Brian Eno e i Subsonica. Mostreremo al pubblico tutta la nostra industria aerospaziale usando anche materiale della Nasa. Saremo al livello della Nasa, useremo la cultura per raccontare valori di ricerca e di manifattura che altrimenti non avrebbero modo e via per raccontare se stessi.

Scusi, dimenticavo. Lei che farà dopo Matera 2019?

il mio contratto scade il 30 giugno 2020, sto già curando molti altri progetti altrove. Ci tengo però a dire che in questi anni abbiamo formato a Matera una classe dirigente molto giovane, under 35. Parliamo di 70 giovani meritevoli e competenti, hanno origini diversi con la regola del 33%: ogni 3 addetti uno è del territorio, uno è italiano, uno ha radici internazionali. Il compito delle istituzioni adesso è incontrare non tanto me quanto loro, tra l’altro il nuovo governo regionale si è appena insediato. Sono giovani che hanno competenze, relazioni e metodi internazionali: se a Matera non vogliono tornare indietro, devono chiederlo a loro cosa serve fare e dove bisogna andare.

 

 

Sbobino l’intervista e ripenso al riferimento fatto inizialmente a Montale e a Contini. Mi sono abituata a diffidare di chi mi approccia con frasi di altri e penso che le citazioni siano un azzardo ma solo per chi le usa senza saperle reggere. Paolo Verri, al contrario, ha un baricentro culturale saldo e stabile, non lo mette in vetrina – né lo lucida – per sembrare migliore. Un manager che ricorderò a lungo. La cultura è uno strato di pelle in più; ci vuole tempo e ci vuole cura, non andrebbe mai sovraesposta o messa al sole perché scottarsi è un soffio e il segno brucia a lungo. Quello strato di pelle in più altro non sarebbe che una protezione per l’Italia tutta, se solo fossimo pronti a capirlo.

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