Piccola Distribuzione Organizzata e pressione dal basso

Io rappresento imprenditori che spesso sono stati definiti “mercanti” come se dietro lo scambio ci fosse solo il denaro, i guadagni leciti e molto spesso, nel luogo comune, illeciti. Peccato che lo scambio, il commercio, siano il cuore e la finalità del lavoro, della vita, di attività legate ai territori nei quali vivono le persone. […]

Io rappresento imprenditori che spesso sono stati definiti “mercanti” come se dietro lo scambio ci fosse solo il denaro, i guadagni leciti e molto spesso, nel luogo comune, illeciti.

Peccato che lo scambio, il commercio, siano il cuore e la finalità del lavoro, della vita, di attività legate ai territori nei quali vivono le persone. Non voglio citare numeri che non danno la giusta interpretazione della realtà, affermo piuttosto che noi, un consorzio di grandi imprese di piccola dimensione, che ha scelto la via e la dizione della Piccola Distribuzione Organizzata, insieme ad altri protagonisti della Distribuzione, contribuiamo in modo rilevante al benessere sociale, espresso in tanti modi, anche con quello che gli economisti chiamano Prodotto Interno Lordo.

Il nostro settore è il più tracciato in termini di regole sul lavoro e impegni fiscali, tuttavia, come in molte altre attività in Italia, può capitare che ci siano infiltrazioni, furbizie, tattiche discutibili. E che queste ultime diventino il simbolo, che omni-comprende, che facilita la generalizzazione.
Nonostante questo o forse proprio per questo, la politica non ci guarda come risorsa, ma come argomento da usare per generare consenso-contro; l’esistenza di associazioni, federazioni frastagliate e di individualismi avvilisce una voglia di fare che non riesce a trasformarsi in qualità tangibile, in benessere diffuso. Strumentalizzazioni politiche, incapacità sistemiche, permettono ai grandi interessi (quelle che intendo io come Lobby) di addensarsi e di fare opera di demolizione, di destabilizzazione: queste forze chiedono di modellare il mondo a loro immagine e somiglianza, impongono regole e norme a proprio esclusivo favore, spingendo il privato contro il pubblico interesse. Le lobby sono lo strumento di conservazione; la collaborazione, le connessioni, le flessibilità sono invece lo strumento eversivo che permette di fare futuro. È davvero socialmente meglio costruire un nuovo ipermercato, coi suoi immensi costi ambientali, o piuttosto, dare vigore ai naturali centri commerciali che sono i nostri piccoli centri storici?

Sono queste le miopie, gli atteggiamenti che connotano le lobby di mia esperienza; è una continua battaglia tentare di impedire ai grandi di sfavorire i piccoli, usando il mezzo dell’opacità, della negazione della trasparenza. Presiedo e partecipo a molti tavoli di settore ed in questi giorni, durante un impegno che ha visto Industria e Distribuzione a confronto, ho sentito più volte ribadire, basta con “Piccolo è bello” e citare come nemici del sistema Italia Carlin Petrini di Slow Food, piuttosto che Coldiretti, Cascina Triulza di Expo e tanto altro.
Cosa si cela dietro questo disprezzo, dietro questa rivendicazione di ruolo a favore della grandiosità? Forse i miei grandi e preparati colleghi non comprendono che facciamo parte tutti di un “insieme” e questo “insieme” dovrebbe fare sistema per il paese Italia, ognuno per la sua parte. Ci dimentichiamo della morfologia del nostro paese, dell’aspetto demografico (stiamo invecchiando), che siamo il paese della piccola e media azienda manifatturiera riconosciuta in tutto il mondo, che siamo trasformatori e poco produttori e che in quella che noi chiamiamo “filiera agroalimentare”, mancano i rappresentanti degli agricoltori, per esempio.

Il mondo delle Lobby dovrebbe essere piuttosto un mondo della collaborazione, dovrebbe servire e non essere servito da leggi e politici, dovrebbe arrivare in modo compatto e senza discriminanti dimensionali, alla parte sana della rappresentanza politica ed a quelle istituzioni, che non ci guardano o che se lo fanno ne distorcono la visione e lo scopo. Di questi giorni è la battaglia per il ripristino di un elemento importante che era obbligatorio fino a Dicembre 2014 ovvero l’indicazione dello stabilimento di produzione sulle etichette dei prodotti. Informazione di trasparenza verso i cittadini, verso le persone.
Nonostante le nostre segnalazioni al Ministro Martina, poi passate alla Ministro Guidi (che si esprimeva un paio di mesi fa con le parole “Salvaguarderemo tutti gli interessi”), la lobby espressa dal gigantismo industriale, ha prevalso. Quali interessi invece dovrebbero essere prevalenti se non quelli dei cittadini, che ancor prima sono persone e che chiedono di sapere cosa comprano e da dove arriva ciò che mangiano?
Siamo nell’anno di Expo, vogliamo salvaguardare il pianeta, nutrire e tutelare i cittadini del mondo e, come atto qualificante, eliminiamo l’elemento distintivo dell’ecosistema Italia?
Noi di Coralis, Piccola Distribuzione Organizzata, abbiamo presentato in questi giorni “Etichètto” una clear, super, social label che valorizza la trasparenza, l’etica, la produzione italiana, non come fattore discriminante ma come aiuto nei confronti del cliente attento e consapevole.

Durante la nostra presentazione in Convention Coralis, il Presidente di un’industria presente ha detto che la Piccola Distribuzione è la fortuna dell’Italia e che, in questo momento economico, forse i piccoli resistono meglio perché più flessibili, più veloci, più versatili. Se non ci fossero le lobby, ho pensato io.
Contemporaneamente con alcuni miei colleghi ci siamo mossi senza l’aiuto della politica e delle associazioni, ma solo con la nostra faccia attraverso i social ed aderendo ad un’iniziativa nata su twitter, vi invito a seguirci #prodottodove, @etichettiamoci, #etichetto.

Sono convinta che ci sia bisogno di un’imprenditoria del fare che metta in moto l’economia, che valorizzi il paese Italia, le sue piccole, medie, grandi imprese, che ritorni a fare impresa con le idee e con il cuore, contribuendo in termini di posti di lavoro, senza indugio e senza aspettarsi aiuti.
Smettiamola di piangerci addosso cerchiamo di fare dell’impresa un progetto, investiamo in formazione, motiviamo i giovani a contribuire con le loro capacità e la loro freschezza all’idea ed al rinnovamento dell’ “Insieme Italia”. Magari sarebbe necessario rispolverare sui libri come funzionano gli “Insiemi”. Da soli non si fa insiemi e non si costruisce nulla se li si addensa solo allo scopo di salvaguardare l’esistente, l’interesse, i volumi. Una lobby non è una piattaforma di collaborazione, anzi, è una forma di violenza sociale.

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