Più competente, più incompetente: rischi invisibili in un mondo ingiusto

Si comincia a scuola con nozioni di cui a stento comprendi l’utilità, con disciplina e sofferenza tiri avanti: forse un giorno capirai. All’università le cose non cambiano poi molto, altre conoscenze, più complesse, che quindi richiedono un impegno ancora maggiore. Poi il primo trauma: il mondo del lavoro in realtà non ti chiede solo di usare quelle […]

Si comincia a scuola con nozioni di cui a stento comprendi l’utilità, con disciplina e sofferenza tiri avanti: forse un giorno capirai. All’università le cose non cambiano poi molto, altre conoscenze, più complesse, che quindi richiedono un impegno ancora maggiore. Poi il primo trauma: il mondo del lavoro in realtà non ti chiede solo di usare quelle competenze che ti sei costruito con fiducia e sudore. Ti senti frastornato, ma anche fregato, perché non ti hanno dato quello di cui avevi davvero bisogno.

Più passa il tempo e più ti accorgi che il rapporto tra quello che ti hanno insegnato le istituzioni e quello che ti serve nella tua professione si va alterando pericolosamente. Senti che ti manca qualcosa, ma non sai bene con chi prendertela e questo è il primo rischio: sentirti una vittima e cercare di risalire al “responsabile”. Scopri così che i docenti, più che della tua vita professionale, si preoccupavano, legittimamente, del programma ministeriale. Hanno fatto il loro dovere. Eppure tu ti senti fregato e in parte lo sei davvero.

Il mondo è ingiusto, non è una battuta, né una scusa per non applicarsi. È un dato da considerare: il successo è il prodotto del talento e della buona sorte. Quest’ultima ha molte facce. Un insegnante che è uscito fuori dagli schemi ministeriali, una famiglia equilibrata ed accogliente, un professionista anziano che ti ha trasmesso le capacità che integrano le competenze, un ambiente di lavoro stimolante e formativo. Non considerare tutto questo è un altro rischio.

Primo rischio del mestiere: l’overconfidence

Se pensi di non aver mai corso nessuno di questi rischi, forse ce n’è un altro che fa per te. Sei il più figo gallo del pollaio e non hai mai perso un colpo: sono sempre gli altri a sbagliarsi. Hai (o credi di avere) il controllo su tutto e non ti manca proprio nulla per svolgere al meglio la tua professione: dopotutto se il tuo paziente ha un tumore non è colpa tua e dirglielo in un modo o nell’altro non muterà l’andamento della malattia.
Ma se non cambierà nulla nel suo fisico, cambierà molto nella sua mente e quel che gli resta da vivere, soprattutto come, dipende solo da questo. La statistica dice che prima o poi sbaglierai anche tu; la vita ti sorprenderà negativamente; non sei infallibile e tu lo sai, solo che non sei disposto a parlarne: la tua professionalità ne risentirebbe. La tua umanità però ci guadagnerebbe e forse diminuirebbe anche il rischio di burnout.

Secondo rischio del mestiere: l’assuefazione

Il tuo studio è pieno di gente che è gravemente malata, ma tu non hai scelto di fare l’oncologo, la tua missione non è quella di accogliere il carico emotivo del tuo paziente, per quello forse c’è bisogno dello psicologo. Ed ecco che si chiude il cerchio: hai trovato le competenze che servono, ma non sono le tue; sono quelle di qualcun altro. Nel XXI abbiamo uno specialista per ogni esigenza. O no?

Però visto che al pensiero lineare piace pensare per estremi, tu potresti benissimo trovarti on the dark side: tutta questa roba qualcuno l’ha già capita da un pezzo e te l’ha fatta studiare. Il tuo mestiere allora è quello di sfruttare l’incompetenza relazionale degli altri per vendergli qualcosa: potresti occuparti di marketing, pubblicità, comunicazione, fare il buyer o il seller.
Niente giudizi moralistici, ma qua i contenuti e le competenze tecniche servono fino ad un certo punto. Il rischio più grosso forse è proprio quello della disumanizzazione delle professioni: alcune perché ipertrofiche di conoscenze tecniche, ma povere di relazionalità ed altre perché sfruttano la relazionalità pur in presenza di contenuti tecnici scarsi.

E non cercate, voi pensatori lineari, una soluzione nel diritto: un contratto ottenuto attraverso una manipolazione comunicativa o una tecnica persuasiva può funzionare benissimo per un giudice che di psicologia della vendita sa ben poco (come pure gli avvocati). Se questa fosse una bufala dovremmo avere i tribunali pieni di cause per vendite farlocche dettate solo da una scossa emotiva o da un riflesso condizionato, ma purtroppo non ce n’è traccia. Eppure ho l’impressione che la prossima volta che andrete dal medico o dall’avvocato, li vorreste competenti tecnicamente, ma anche trasparenti eticamente in modo che non vi nascondano alcun dato che potrebbe influire sulla vostra libera scelta di sottoporvi una terapia o di andare in tribunale.

Terzo rischio del mestiere: l’incoerenza etica

Temo anche che poco vi interessi se la scarsa trasparenza sia dovuta ad una tecnica di vendita che cela un conflitto di interessi (magari con la casa farmaceutica che vende la medicina o con la parcella per il processo) o dovuta a semplice incapacità a comunicare notizie sgradevoli.
Ecco se vogliamo un mondo etico, allora, rimbocchiamoci le maniche: certo la coerenza è per certi aspetti una debolezza, ma anche un pregio. Neppure l’amore si sottrae a questa dura realtà: pensa al primo patriota che ti viene in mente o all’ultimo pompiere morto per salvare qualcuno.

E se non fai nessuno di questi “mestieri”, allora sei davvero fortunato: potrai ogni giorno comportarti come se fossi un Mandela piccolo, piccolo, piccolo, lottando per le tue idee, senza mai attaccare la relazione col prossimo, anche e soprattutto quando sbaglia alla grande.
Lo puoi fare ogni giorno, senza rischiare la vita e nemmeno la libertà.

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