Il ponte (barcollante) tra scuola e lavoro

In parte per necessità, e in parte per interesse personale, ho passato questi ultimi mesi a riflettere intensamente sul sistema educativo ed il mondo del lavoro in Italia. Lentamente, è nata in me una sorta di ostinazione, che mi ha portato a recarmi a conferenze, eventi e career fair di vario tipo. Durante questo mio […]

In parte per necessità, e in parte per interesse personale, ho passato questi ultimi mesi a riflettere intensamente sul sistema educativo ed il mondo del lavoro in Italia. Lentamente, è nata in me una sorta di ostinazione, che mi ha portato a recarmi a conferenze, eventi e career fair di vario tipo.

Durante questo mio percorso, ho scoperto un po’ per caso il Nobilita Festival e, fortemente incuriosita, ho deciso di parteciparvi. Dal primo momento, sono stata colpita da quanto interessanti ed importanti fossero i temi trattati e, senza sosta, mi sono trovata a prendere tantissimi appunti: sia su ciò che veniva detto, sia su tutte le idee che mi venivano in mente ascoltando discorsi così stimolanti. Tra i tanti temi trattati, uno mi sta particolarmente a cuore e desidero approfondirlo in questo articolo: “il ponte tra scuola e lavoro”.

Walter Passerini: “In Italia c’è bisogno di orientatori”

L’argomento è stato discusso in maniera diretta specialmente durante il panel “Buone pratiche: Selezione, formazione, merito e referenze.” Durante il panel, una frase detta da Walter Passerini, giornalista, mi ha fortemente colpita: in Italia c’è bisogno di investire in figure professionali come gli “orientatori”. In Francia, ha ricordato, esistono corsi di laurea appositi mirati a formare queste figure. Servirebbero anche da noi percorsi formativi di questo tipo, che combinino esami di psicologia e scienze della formazione con esami focalizzati sull’analisi del mondo del lavoro, da un punto di vista statistico, legislativo ed economico.

Quando sono arrivata all’ultimo anno del liceo, come molti miei coetanei ero estremamente confusa. C’erano due o tre persone nella mia classe che già sapevano di voler fare i veterinari, o che magari si erano convinti che economia fosse una scelta sicura. Qualcuno sapeva di non voler proseguire gli studi. La maggior parte dei miei compagni, però, era confusa come me. Ci avvicinavamo ad una delle scelte più importanti della nostra vita, senza esserne davvero consapevoli. E senza sapere come affrontarla. Per aiutarci, la scuola ci offerto due servizi: una chiacchierata di gruppo con una psicologa ed una gita in Fiera all’Alma Orienta.

Scuole e Università : è vero orientamento?

Ripensando a tutto questo, a volte mi domando se sto esagerando, se è stata un’esperienza solo mia. Per questo motivo, ho parlato con molte persone intorno a me, perlopiù mie coetanee, e molte di loro si sono ritrovate nelle mie parole. Mi è stato fatto presente che esistono servizi in entrata in certe università, come l’Università di Bologna, per aiutare gli studenti a decidere il corso di laurea più adatto per loro. Esistono anche siti e compagnie private che offrono servizi di orientamento. Ma il problema, per me, parte da prima.

Anche la soluzione, per me, deve partire da prima: dalle scuole superiori. Perché non tutti gli studenti sceglieranno di andare all’università. Perché l’Università di Bologna non è l’unica opzione per gli studenti di Bologna, e magari non è l’opzione giusta per tutti loro: dipende da quali sono gli obiettivi di ciascuno. Per questo motivo, secondo me, un percorso di orientamento deve partire almeno dal quarto anno delle scuole superiori e svolgersi all’interno classi.

Ho molte idee su come questi programmi dovrebbero essere sviluppati, ma voglio premettere innanzitutto che le idee non sono consigli. Prima che le idee si trasformino in proposte, a mio parere, sono necessarie almeno due cose: 1) un sondaggio (con criteri scientifici) sullo stato effettivo delle cose nelle scuole italiane (sono certa che vi siano differenze tra diverse scuole, regioni, e anche tra la mia generazione e quella di oggi); 2) proposte basate sui risultati del sondaggio, accompagnate da studi di fattibilità.

Dopo questa premessa, posso permettermi di illustrarvi le mie idee. Innanzi tutto, dovrebbero essere previsti un paio di colloqui individuali con un “orientatore”. L’obiettivo è quello di aiutare ogni studente ad individuare i propri talenti, sogni, e le proprie inclinazioni. In secondo luogo, l’intera classe dovrebbe partecipare a due percorsi fondamentali: uno dedicato alla progettualità, che insegni ai ragazzi come trovare informazioni affidabili, prendere decisioni, e creare un proprio percorso di formazione ed inserimento nel mondo del lavoro; l’altro dedicato ad istruirli sul mercato del lavoro locale, nazionale e internazionale, nonché sui trend futuri.

Quest’ultimo aspetto è importante in quanto i ragazzi devono capire fin dall’inizio che tipo di figure professionali sono possibili nell’ambito di loro interesse, e dove c’è più richiesta. Ad esempio, se un ragazzo è interessato alle relazioni internazionali, ma vuole costruirsi una vita stabile nel suo paesino vicino ai genitori, magari ha bisogno di riconfigurare i suoi progetti. Oppure, se un ragazzo vuole approfondire temi che sono meglio affrontati in una università straniera, deve cominciare fin da subito ad avere bei voti, migliorare l’inglese, capire come ottenere borse di studio.

Il mondo del lavoro è sempre più fluido, complesso, incerto, e interconnesso. Ci troviamo in un’era di grandi e rapidi cambiamenti, ed adattarvisi è più che mai difficile. Per questo motivo, è essenziale formare ragazzi che abbiano le capacità di crearsi un proprio percorso in questo tipo di ambiente. Ragazzi che siano resilienti e che abbiano uno spiccato senso imprenditoriale. Durante il Festival, Giovanni de Lisi, giovane CEO di Greenrail, ha parlato anche di questo: nelle scuole dovrebbero essere insegnate le competenze necessarie ad affrontare il futuro, come lo spirito imprenditoriale (entrepreneurship) e le competenze digitali (es. coding).

E l’alternanza scuola-lavoro ?

Un altro tema importante è la controversa misura, obbligatoria dal 2015, che prevede l’integrazione di tirocini lavorativi all’interno del percorso didattico: la cosiddetta “alternanza scuola-lavoro. Da quando è stata introdotta, moltissime sono state le critiche, e diverse manifestazioni hanno dato voce alle proteste degli studenti. Alcuni lamentano “progetti che raramente hanno utilità e attinenza rispetto al percorso di studi”. C’è chi dice di sentirsi sfruttato, “è più che altro un lavoro a costo zero”.

Ciò che è messo in discussione non è tanto la misura in sé, che anzi viene ritenuta importante, bensì la sua implementazione, che spesso porta i ragazzi a coprire posizioni poco formative e stimolanti. Emblematici sono il classico esempio delle fotocopie, e gli studenti trovatisi a servire (sempre gratuitamente) tra i tavoli dei fast food. Ciò che viene chiesto a gran voce è un miglioramento dell’alternanza scuola-lavoro, con regole a tutela degli studenti.

In merito a questo, c’è da ricordare la differenza fondamentale tra licei ed istituti tecnici, commerciali, professionali. Mentre gli ultimi sono professionalizzanti per definizione, ed è forse più semplice trovare immediate applicazioni pratiche per quei tipi di studi, i primi sono generalmente più teorici, ed è magari più complesso trovare posizioni di tirocinio inerenti al percorso di studi. Potrebbe essere utile in questo senso abbinare la selezione dei tirocini ai percorsi di orientamento accennati sopra, in modo da creare percorsi personalizzati sulle aspirazioni dei singoli studenti.

Un altro elemento menzionato durante il Festival è stato la differenziazione, presente in diversi paesi, fra università accademiche ed università “professionalizzanti”. Ad esempio, avendo vissuto in Olanda per un periodo, so che lì si distingue tra “università di ricerca” ed “università di scienze applicate” (hogescholen). Chiaramente, prima di mescolare sistemi scolastici diversi come farebbe uno scienziato pazzo, è necessario fare studi approfonditi per capire l’effettiva validità di questo sistema “doppio” e la sua applicabilità in un paese così diverso come il nostro.

Voglio concludere con un paio di osservazioni finali. In primo luogo, ho notato che esistono in alcuni paesi dei corsi di laurea in sistemi educativi comparati. As esempio, sia all’Università di Stoccolma che all’Università di Oslo esiste un Master in Comparative and International Education. Studi comparati di questo tipo possono essere importanti per individuare buone prassi e capirne le potenzialità di esportazione ed implementazione in altri contesti. Altrimenti, il rischio di cadere nell’autoreferenzialità è alto.

In secondo luogo, voglio ricordare una delle ragioni per cui servizi di orientamento di qualità accessibili da tutti sono fondamentali: se la scuola non li fornisce, ciò che succede è che gli studenti possono appoggiarsi solo alla propria famiglia, o alla propria iniziativa personale. Il problema è che la nostra è già di per sé una società caratterizzata da enormi diseguaglianze. Come possiamo aspettarci che giovani provenienti da contesti più fragili e svantaggiati possano emergere e cambiare il proprio status sociale, se già in partenza non gli vengono offerti gli strumenti per pensare e progettare un futuro diverso?

Per questo motivo, ho apprezzato molto che durante il Nobilita Festival si sia parlato di questi temi, così come ho apprezzato una bellissima iniziativa come la Scuola delle Idee: uno spazio in cui gli studenti hanno avuto modo di incontrare ed intervistare manager di grandi aziende dei settori Fashion, Food, Manufacturing e Digital. Questo ha dato l’opportunità ai ragazzi di analizzare le trasformazioni del Made in Italy, e conoscere più da vicino le professioni di domani. C’è bisogno di più iniziative come queste: interattive, dinamiche, e costruite intorno ai ragazzi.

Concludo con un’immagine positiva: a febbraio, sono passata un po’ per caso a “Le Scuderie”, locale in Piazza Verdi a Bologna, e ho assistito ad un evento precedente il TEDxYouth. Giovani ragazzi provenienti da diverse scuole italiane hanno presentato le loro idee innovative in settori diversissimi fra loro. Li ho ascoltati con attenzione e curiosità, affascinata dai loro ideali e dalla loro voglia di fare. Ragazzi come loro devono essere sostenuti con ogni mezzo, ma questo tipo di mentalità va trasmessa a tutti i giovani, in tutti gli angoli del nostro paese.

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