Praticanti avvocati, gli esami non finiscono mai

Ora o mai più. Non è solo il virus ad agitare l’ambiente della giurisprudenza, almeno limitatamente alle sue componenti più giovani, che si affacciano alla professione forense nella consapevolezza di non avere ancora varcato quella soglia e senza alcuna certezza in merito a se, come e quando mai potranno farlo. Una sensazione di ingiustizia e […]

Ora o mai più. Non è solo il virus ad agitare l’ambiente della giurisprudenza, almeno limitatamente alle sue componenti più giovani, che si affacciano alla professione forense nella consapevolezza di non avere ancora varcato quella soglia e senza alcuna certezza in merito a se, come e quando mai potranno farlo. Una sensazione di ingiustizia e di discriminazione su base generazionale che in Italia è ben nota non solo ai ventenni, ma ai trentenni e in parte ai quarantenni indipendentemente dalla professione che esercitano, e che oggi è fortemente avvertita da coloro che ancora attendono di sapere l’esito dell’esame scritto di avvocatura, svoltosi lo scorso dicembre e travolto nei suoi normali tempi di correzione dall’emergenza coronavirus.

A emergere su tutto è però la difficoltà di corrispondere tra loro le legittime aspettative degli aspiranti avvocati e la possibilità pratica di perpetuare un rito, quello dell’esame di accesso alla professione forense nella sua forma attuale, che si ripete immutato dal 1934, ossia dall’anno in cui l’Italia fascista prese a pretesto un incidente di confine per dichiarare guerra all’Etiopia. Anche allora succedeva nel mese di dicembre, per combinazione.

 

Praticanti per sempre: aspiranti avvocati attendono la correzione degli scritti dopo il COVID

Dopo un silenzio iniziale durato un paio di mesi, la questione di una correzione degli scritti che andava oltremodo a rilento ha iniziato a farsi strada nell’opinione pubblica su pressione di aspiranti avvocati singoli e di gruppi più o meno coordinati tra loro, che a quell’esame avevano preso parte appunto lo scorso anno, e attendevano, e attendono ancora, di sapere se lo hanno passato o meno.

A sentire una di loro, Giulia Brugnerotto, che ha inviato una lettera aperta ripresa da vari giornali, prassi vuole che nel dubbio di avere passato o meno lo scritto e nell’eventualità di non passare l’orale, l’aspirante avvocato si iscriva anche a una seconda sessione di esame scritto, che però, per quanto riguarda quest’anno, non è chiaro se e in quale modo potrà essere affrontato.

La questione è stata pure affrontata in Parlamento, ma senza dare agli esaminandi alcun conforto sulla base di indicazioni concrete. Prima il 23 aprile, poi il 27 maggio, una settimana esatta dopo la messa al voto della famosa mozione di sfiducia al ministro Alfonso Bonafede, che fino all’ultimo è rimasto nel dubbio di avere i voti necessari, la deputata leghista Ingrid Bisi gli ha rivolto alcune domande, cui lo stesso ministro ha opposto rassicurazioni sull’alta considerazione per l’avvocatura (egli stesso è avvocato), sulla ripresa della correzione degli elaborati, sulla possibilità di svolgere la prova orale “da remoto”, sulla completa vicinanza alle “legittime aspirazioni” degli esaminandi e sulla necessità di mantenere nei limiti del possibile “criteri che assicurino la qualità della selezione”, senza però fornire ulteriori elementi rispetto a un generico rimando al Decreto Rilancio, che non ha soddisfatto la deputata né dato un qualche conforto agli esaminandi in attesa di notizie certe sul loro futuro.

 

Avvocati in attesa dell’esito di un esame, da un anno all’altro

In genere, fa sapere Brugnerotto, l’esito dell’esame scritto di avvocatura deve essere reso noto entro 6 mesi dalla data di esame, con possibilità di prorogare la scadenza di altri 90 giorni in casi perfettamente corrisposti a un’emergenza simile a quella in corso: “Significa che noi del 2019 invece di saperlo ora, a giugno, lo sapremo a settembre. Ciò che proprio non si riesce a sapere e a capire è cosa ne sarà del prossimo esame scritto, quello di dicembre. Le modalità tradizionali sono improponibili perché creano assembramenti. Si immagini che a ogni esame scritto vi sono candidati che lo tentano per la prima volta e altri che lo tentano per la seconda o terza. Tra questi c’è chi, pur avendo passato lo scritto a suo tempo, o non ha superato la prova orale, oppure ancora attende di sapere quando poterla sostenere. Andando in ordine alfabetico da una lettera estratta a sorte, capita che si finisca per essere interrogati l’anno successivo”.

Quindi, per non aspettare un altro anno o altri due, l’aspirante avvocato affronta quello che in gergo viene chiamato lo “scritto cautelativo”. Brugnerotto lo spiega così: “Se non si passa l’esame orale, tutta la trafila ricomincia da capo, perché lo scritto che era stato superato decade. È questa sorta di binomio inscindibile tra scritto e orale ad aumentare il numero degli esaminandi ogni anno. Ora per esempio, oltre a noi del 2019 che non sappiamo l’esito del nostro scritto, ci sono quelli che avendo passato lo scritto del 2018 ancora aspettano di affrontare l’orale”.

 

Giovani avvocati: trafila lunga, guadagni corti

Proprio su questo punto si concentrano le speranze di smuovere un poco l’immobilismo di un esame abilitativo che, da quanto emerso dal dibattito di questi mesi per bocca di Leonardo Salvemini, della commissione d’esame a Milano, da dichiarazione rilasciata al Corriere della Sera, è disciplinato da una legge risalente all’epoca fascista e della quale si aspetta una riforma tanto auspicata quanto mai approntata in tutta la storia repubblicana.

La proposta, insieme a un’altra meno accreditata che mira al cosiddetto “scritto abilitante”, è stata avanzata da un comitato di esaminandi di cui si è resa portavoce Isabel Bassanelli. Al di là dell’emergenza virale, la dissoluzione del binomio scritto-orale e il mantenimento della validità dello scritto sembrano avere buone possibilità di essere considerati in una eventuale riforma della validità della prova scritta, che se venisse mantenuta al di là degli esiti della prova orale consegnerebbe agli annali almeno la pratica dello scritto cautelativo, con l’effetto di diminuire il numero di candidati a ogni sessione d’esame, nonché il costo e il tempo spesi da ogni candidato.

Su questi due fattori, in fondo, fa forza una denuncia che assume contorni generazionali: “Sostenere l’esame, come l’intero corso di studi che ci ha portato a sostenerlo, ha un costo, e impone un investimento anche a livello psicologico, ma le prospettive sul piano economico ancora non sono delle più allettanti”, sintetizza Brugnerotto, che ripercorre la normale trafila per accedere alla professione.

Dopo la laurea in Giurisprudenza, gli aspiranti avvocati devono prima svolgere la pratica forense in uno studio legale o un tirocinio in tribunale, riservato però a chi si laurea con i voti più alti, per un periodo minimo di 18 mesi. Molti di loro, i più fortunati, si accontentano di un rimborso spese, che neanche si avvicina alla metà dello stipendio di un operaio senza particolari specializzazioni. Per chi vede avvicinarsi il trentesimo anno d’età, l’idea di frapporne altri all’agognato traguardo di realizzazione professionale rappresenta un’ipotesi che pesa su un intero progetto di vita in confronto al quale poco o nulla sembrano valere gli ottimi voti e le numerose attestazioni di stima: “Un peso importante – sottolinea l’aspirante avvocatessa in un passaggio della sua lettera – per chi ha in media 27 anni, studia da anni e grava ancora sull’economia famigliare, con la prospettiva, ancora troppo lontana, di dispiegare le proprie ali nel mondo professionale”.

Anche in quest’ottica, come in altri contesti, l’emergenza virale è invocata dai diretti interessati come un’opportunità senza precedenti per incidere in senso riformistico su un esame di abilitazione ingessato da rituali resistiti a ogni stagione: “Si è molto giustamente parlato della regolarizzazione dei cosiddetti invisibili nel mondo del lavoro, ma quella è una categoria nella quale anche noi potremmo riconoscerci. Già prima, e tantopiù ora con la situazione che si è venuta creare, è come avere davanti una serie di ostacoli il cui superamento, alla fin fine, ripaga ben poco i tanti sforzi prodotti. Altri esami di abilitazione, come per esempio quello previsto per la professione medica, sono poco più che dei pro forma (in quel caso un test a crocette) e le prospettive a livello remunerativo sono ben diverse dalle nostre”.

 

 

Photo credits by trevisotoday.it

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