Prevenire è meglio che cadere

È impensabile tralasciare quella giusta sensibilità verso la sicurezza sul lavoro perché è necessario garantire dignità e salute ambientale alle risorse umane. Non di rado trovano spazio le polemiche politiche dove la mediocrità di questi comportamenti, troppo spesso usati per propaganda elettorale, denota con chiarezza una totale assenza di civiltà sociale ed economica nel Paese. […]

È impensabile tralasciare quella giusta sensibilità verso la sicurezza sul lavoro perché è necessario garantire dignità e salute ambientale alle risorse umane. Non di rado trovano spazio le polemiche politiche dove la mediocrità di questi comportamenti, troppo spesso usati per propaganda elettorale, denota con chiarezza una totale assenza di civiltà sociale ed economica nel Paese. La sicurezza sul lavoro coinvolge le imprese private e la Pubblica amministrazione. Quando gli investimenti diminuiscono nel settore privato è la salute dei lavoratori a farne le spese in nome del profitto; mentre la bassa produttività e la mancanza di efficienza sul lavoro si riscontra nel comparto pubblico. Non possiamo generalizzare quando analizziamo un problema ma sono i fatti a delineare quella insufficiente rilevanza verso questo argomento, lasciato spesso in secondo piano.

Le risorse umane sono un grande patrimonio da salvaguardare e da valorizzare se vogliamo raggiungere quella professionalità che contraddistingue i Paesi moderni e culturalmente avanzati. Non c’è da prendere in considerazione soltanto l’aspetto squisitamente produttivo perché la civiltà di una nazione è la discriminante.

«La Costituzione italiana garantisce a tutti i cittadini – commenta Rita Giorgi, Direttore scientifico del CSC (Centro per gli Studi criminologici, giuridici e sociologici) e RSPP dal 1996 al 2016 presso la Pubblica amministrazione – il diritto alla salute sul luogo di lavoro e mezzi adeguati di tutela al verificarsi degli infortuni e delle malattie professionali. L’“obbligo di sicurezza” si disegna come uno dei primi strumenti operativi in grado di tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori. La sicurezza e la salute sui luoghi di lavoro rappresentano un importante obiettivo da raggiungere per garantire la massima tutela della propria salute e coinvolge coloro che partecipano alla vita lavorativa. La Pubblica amministrazione, come qualsiasi altra azienda, è sottoposta alla normativa in materia di Sicurezza e Prevenzione sui luoghi di Lavoro secondo quanto stabilito dal “Testo Unico della sicurezza sul lavoro” (D.Lgs. 81/2008 e s.m.i., così come modificato dal Decreto Legislativo n.151/2015). Il Testo Unico ha sdoganato definitivamente la concezione che la sicurezza e la tutela alla salute sul posto di lavoro dovesse essere basata esclusivamente su procedure, controlli e sanzioni, stabilendo e rinforzando quanto già contenuto nel D.lgs 626/94, ovvero che sicurezza e diritto alla salute sul posto di lavoro debbano basarsi essenzialmente sulla programmazione della prevenzione e del benessere negli ambienti di lavoro».

«Tutta la politica sulla sicurezza e sulla prevenzione ruota intorno ad un concetto cardine: cultura della prevenzione. Questo concetto si realizza attraverso la formazione e l’informazione dei lavoratori che hanno perso l’esclusivo ruolo di soggetti meramente tutelati per assurgere a quello di attori attivi attraverso la consapevole conoscenza delle condizioni del proprio ambiente lavorativo, dell’utilizzo dei dispositivi di sicurezza, partecipando, quindi, in modo fattivo alla valutazione dei rischi che il posto di lavoro e le mansioni a cui sono demandati possono rappresentare, favorendo azioni positive di prevenzione».

«Il Testo Unico recepisce le direttive comunitarie che hanno come fondamenti i principi della programmazione e partecipazione di tutti i soggetti che concorrono alla programmazione e sviluppo delle politiche di prevenzione, utili a tutelare la salute sui luoghi di lavoro. La figura che presiede all’attuazione del Testo Unico nella Pubblica amministrazione è il datore di lavoro, ovvero il dirigente, al quale spettano i poteri di gestione, il quale è dotato di autonomi poteri decisionali e di spesa. Di conseguenza la figura dirigenziale che viene individuata deve avere reali poteri di spesa e decisionali per poter assolvere al ruolo come previsto dal Testo Unico. È nella capacità di poter gestire direttamente la spesa che si possono configurare interventi volti ad eliminare o a circoscrivere situazioni di criticità che possono compromettere la sicurezza ed il benessere dei dipendenti. Nel caso in cui sia omessa l’individuazione o l’individuazione non sia conforme ai criteri stabiliti dal Testo Unico, il datore di lavoro coinciderà con l’organo di vertice medesimo».

«Vicino al datore del lavoro esistono altre figure che costituiscono l’organizzazione interna del Sistema di Prevenzione e Protezione, quali il Responsabile del servizio di prevenzione e protezione, il medico competente, le squadre deputate al primo soccorso e gestione delle emergenze, nominate tra i lavoratori ed adeguatamente formate, il Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza. Si comprende da questo organigramma come la gestione della sicurezza e prevenzione sui luoghi di lavoro sia corale all’interno del posto di lavoro, vedendo la partecipazione attiva di tutti i dipendenti. Investire in sicurezza, lavorare in sicurezza, è un investimento che porta risultati positivi non solo nell’immediato ma nel lungo termine ed è un interesse che riguarda tutta la collettività, che contribuisce direttamente, attraverso il sistema impositivo, al funzionamento dei comparti della Pubblica amministrazione».

Cambia il paradigma presente nel XX secolo grazie alla globalizzazione che coinvolge diverse realtà imprenditoriali. È utile conoscere quelle molteplici situazioni presenti negli altri Paesi europei per delineare un opportuno paragone, al fine di comprendere quale posizione intende rivestire l’Italia.

«L’operato dell’Unione europea in tema di sicurezza e tutela della salute sul lavoro è sicuramente stato – continua Rita Giorgi – uno dei fattori che ha inciso maggiormente nell’operare un cambiamento di rotta su queste tematiche. Dalle iniziali raccomandazioni si è passati alle più vincolanti direttive che hanno dato agli Stati membri indicazioni innovative sulle politiche di prevenzione degli infortuni e malattie professionali. In tutti i Paesi europei è ormai consolidato lo spostamento di attenzione verso la promozione di strategie preventive anziché verso politiche risarcitorie del danno avvenuto. Certamente ogni Stato membro, in ragione dello sviluppo economico, industriale e dei servizi raggiunto e in relazione ai principi della sua cultura sociale, ha sviluppato il proprio sistema-modello di prevenzione incastonandovi il quadro legislativo di riferimento, per la protezione della salute e sicurezza dei lavoratori e differenziando, conseguentemente, le azioni ed i soggetti deputati al controllo del rispetto delle normative».

 

Tra pubblico e privato

Il comparto privato si differenzia dalla Pubblica amministrazione perché sceglie di adottare strategie e decisioni decisamente parziali, senza seguire una visione coerente ed unitaria del problema della sicurezza sul lavoro.

«Le imprese italiane affrontano il tema della salute dei lavoratori – commenta Riccardo Imperiali, avvocato civilista con patrocinio innanzi la Suprema Corte di Cassazione, esperto di organizzazione aziendale – a macchia di leopardo. La normativa è pressoché uguale per tutti i datori di lavoro mentre diverse sono le sensibilità a seconda dei settori, della ricchezza del comparto e, soprattutto, del territorio dove sono situate le aziende. La salute non può essere più considerata come tutela alla fisicità dell’individuo, dunque all’eventuale infortunio o alla prevenzione, quanto piuttosto a una forma di benessere sociale inteso nel suo complesso. Ed è proprio a causa di questo motivo che conseguono una generale qualità della vita del lavoratore e il rispetto della sua dignità. C’è da segnalare un altro divario tra privato e pubblico. Apparentemente il manager dell’industria privata sembra più sensibile al rispetto dei diritti della persona; nel settore pubblico regna una deriva assistenzialista a pioggia che ha il suo riferimento nelle leggi che regolano la materia senza una vera personalizzazione della tutela».

«A fare la differenza sono i diversi Enti e coloro che li rappresentano compreso il territorio, essendo ormai evidente che i piccoli centri abitativi hanno una maggiore sensibilità e attenzione; questi luoghi, purtroppo, si trovano principalmente nel Nord Italia. Nell’Europa è assente un sistema unitario – prosegue Riccardo Imperiali – relativamente al welfare e tutto ciò è molto grave, al pari della preoccupante mancanza di un sistema unico di regolamentazione fiscale, soprattutto per le imprese. Sono questi, a mio avviso, due importanti freni a un concreto sviluppo e consolidamento dell’Europa unita».

«Per quanto concerne il welfare, l’Italia fa parte del gruppo cosiddetto mediterraneo o per taluni familiare, dove partecipano anche la Grecia, la Spagna e il Portogallo. Il modello prevede un buon livello di assistenza e protezione sociale legato alla figura di chi, in famiglia, lavora e quindi, tradizionalmente, è il capofamiglia. Il modello, di per sé valido, subisce un deciso contraccolpo dalla crisi che vive il mondo del lavoro dipendente; stenta a capirsi come concretamente si possa offrire una copertura anche ai lavoratori temporanei. Altri modelli sono quello continentale o corporativo presente in Francia o in Germania, che offrono un elevato sistema di tutela a gruppi selezionati, simile al nostro ma, forse, maggiormente strutturato. Il modello nordico o anche detto socialdemocratico presente nei Paesi del Nord Europa (Svezia, Danimarca, Norvegia) predilige criteri campanilistici ovvero di appartenenza al territorio, mirando essenzialmente alla tutela dei diritti dei cittadini residenti. Nel modello anglosassone, conosciuto anche con il nome di liberale, è molto basso l’ombrello pubblico a favore di una previdenza e assistenza di natura privatistica, incentivando il ricorso alle assicurazioni private».

 

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