Quando la segretaria è maschio

Diversi anni fa, in auto, seguendo un programma radiofonico mi ha colpito una frase, il cui senso era più o meno questo: abbiate cura di un vecchio, ci vogliono molti anni per farne uno. Mi torna in mente ora: che cosa ci vuole per essere una brava assistente di direzione? Bastano gli anni? Stando ai […]

Diversi anni fa, in auto, seguendo un programma radiofonico mi ha colpito una frase, il cui senso era più o meno questo: abbiate cura di un vecchio, ci vogliono molti anni per farne uno. Mi torna in mente ora: che cosa ci vuole per essere una brava assistente di direzione? Bastano gli anni? Stando ai dati di Secretary.it, la prima e unica community gratuita dedicata alle assistenti di direzione e alle loro aziende con oltre 9.500 iscritti in tutta Italia, no: non sono sufficienti.

L’età media infatti è 44 anni. I profili sono tutti diversi: diversa la provenienza geografica, diversi tipologia e settore merceologico dell’azienda per la quale lavorano (dalla spa alla onlus all’ambasciata), diversi l’inquadramento professionale e il percorso formativo. E infatti ci sono diverse tipologie di assistente di direzione: chi mantiene le distanze e ti si rivolge con il lei; quello informale che viene con te a prendere un caffè in pausa; chi ti salva la vita aiutandoti a sistemare l’agenda o a prendere un volo last-millesimo-di-secondo, e chi la vita te la complica sbagliando prenotazione alberghiera e mandandoti in un hotel a ore (anni dopo, ma doooopo!, diventa un aneddoto per gli amici, e alla fine ne ridi anche tu).

Che cosa occorre allora per diventare un assistente di direzione efficiente e preparato? Intuito, resilienza, empatia, emozioni, velocità di pensiero, relazione sono solo alcune delle competenze richieste. È un lavoro per il quale bisogna imparare a conquistarsi nuove deleghe giorno per giorno; imparare a improvvisare e ad apprendere mille competenze. Soprattutto serve esser bravi a creare un rapporto fiduciario. Sì, fiducia: non a caso l’etimologia della parola “segretaria” deriva dal latino secretum, letteralmente “colui al quale si confidano cose segrete, riservate”. Gli assistenti di direzione sono come un pozzo, perché sanno e devono sapere tutto; ma al contempo devono essere come fontane e lasciar uscire tutte le energie necessarie e le informazioni, prestando attenzione a quali-sì-quali-no, a tempi e modalità di “somministrazione” e a chi hanno di fronte.

 

Massimo Fiorani, la “quota celeste” in un mondo di assistenti donne

Oggi la figura dell’assistente di direzione è molto cambiata. A raccontarmi la sua storia, e quanto gli piace fare questo lavoro iniziato un po’ per caso, è Massimo Fiorani, assistente del CEO di Deutsche Bank: “Io sono sempre stato favorevole ai cambiamenti. Diciassette anni fa in azienda c’è stato un cambio ai vertici: il nuovo AD ha trovato l’assistente di direzione del suo predecessore, poi a un certo punto ha deciso di far entrare “la sua”, Alessandra. Si è costituita così una segreteria con due donne; puoi immaginare il clima di rivalità. Un giorno Alessandra mi guarda e mi dice: ‘Devo farti una proposta, ti piacerebbe fare questo lavoro?’. ‘Io?!’, mi sono chiesto. Ci ho pensato e mi sono risposto: ‘Perché no!’. Nel frattempo ci sono stati altri cambiamenti, ma quest’anno è il mio dodicesimo anno in questo ruolo”.

Massimo rappresenta la quota celeste all’interno di un mondo prettamente femminile: degli iscritti a Secretary.it, il 99,5% è composto da donne. In Italia c’è ancora un fattore culturale abbastanza forte per cui ci sono pochi uomini che ricoprono questo ruolo, mentre all’estero le percentuali di assistenti di direzione uomini sono un po’ più alte. In Gran Bretagna, ad esempio, sono ricoperti da donne oltre il 90% di posti da segretario, tanto che è stato coniato il termine “colletti rosa”. Timidamente si affacciano i primi segnali di cambiamento e le agenzie di risorse umane inglesi hanno già iniziato a lanciare campagne di recruiting rivolte agli uomini.

C’è ancora da lavorare molto, allora, sull’aspetto culturale: in teoria uomo e donna sono totalmente intercambiabili; nella realtà ancora oggi, durante un colloquio di lavoro, le prime domande che vengono rivolte a una donna (e non solo da uomini) riguardano la sfera familiare: sei fidanzata? Hai figli? Vuoi averne? Si parla sempre di quante (poche) donne ricoprano ruoli di responsabilità nella vita pubblica o all’interno delle aziende. Non a caso in Italia si è molto discusso per la legge sulle “quote rosa”, volta a equilibrare la presenza di uomini e donne nelle sedi decisionali (dai consigli di amministrazione alle sedi istituzionali elettive). Il tutto per ridurre la discriminazione di genere, e in particolare consentire alle donne di sfondare il glass ceiling, ossia quell’invisibile ma pesante soffitto di vetro che sembra impedire loro di accedere a incarichi prestigiosi.

Frutto di un vecchio retaggio, che non concepisce il passaggio dal concetto di maternità a quello di genitorialità. Forse è il momento di abbandonare gli stereotipi e la storia delle donne multitasking. Forse bisogna iniziare a considerare i collaboratori tutti, e gli assistenti di direzione in questo caso, non in base al sesso, ma come business partner: vivono vision e mission dell’azienda, conoscono i piani aziendali e i progetti riservati; sono portatori dei valori dell’azienda; sanno veicolare le informazioni e facilitare la comunicazione interna. Forse non si parla ancora abbastanza dei lavori considerati di appannaggio femminile e svolti invece da uomini – bene, ovviamente. Perché proprio da qui può passare e affermarsi la vera uguaglianza di genere. Uomo? Donna? Non dovrebbe rilevare.

 

Segretario per vocazione

“Lavoro in un ambiente soprattutto femminile e ho vissuto qualche episodio di discriminazione al contrario. Ho accettato questo lavoro come una grande sfida. All’inizio non è stato facile. Ma mi sono chiesto: perché non posso fare l’assistente di direzione, o come posso farlo al meglio, perché voglio farlo, o perché voglio farmi accettare. Ho cercato di confrontarmi con gli altri, spiegare che mi piaceva tanto, che stavo imparando. L’unico muro che ho incontrato è stato una mia omologa in Enel, qualche anno fa: proprio non sopportava il fatto che fossi io, in quanto uomo, a chiamare per prendere un appuntamento tra il mio capo e il suo o per altre attività di lavoro. Mi faceva dispetti, si vendicava un po’ nella gestione degli appuntamenti… a un certo punto per risolvere questa situazione ho dovuto far intervenire il mio capo! Non mi accettava perché, a suo dire, ‘l’uomo non può rubarci anche questo lavoro!’”.

Alla fine ha accettato Massimo, ma sempre con un po’ di riserva: ah… ancora lei che chiama. Chissà se oggi, incappando in queste righe si riconoscerebbe e sbotterebbe: ancora di lui devo sentir dire! “Il mondo va avanti, non indietro”, commenta Massimo.

È così: il mondo deve andare avanti e le donne devono essere le prime a crederci. “Sono entrato in questa community femminile per oltre il 99%, ma si può cambiare”, continua Massimo Fiorani. “Tra le donne prevale ancora il senso di competitività, è sempre guerra. Io invece non gareggio: faccio le cose come devo farle e qui finisce. Alla fine in un team dobbiamo imparare a essere intercambiabili e fare lavoro di squadra”. Una meta dalla quale, evidentemente, il gentil sesso sembra essere ancora distante. “Oggi comunque già ci sono dei primi cambiamenti: mi presento e non vengo accolto da commenti negativi dall’altra parte”.

Così a giugno, in un caldo lunedì estivo, oltre centoventi assistenti di direzione hanno lasciato le loro scrivanie per partecipare a una giornata di confronto, formazione e networking professionale. Tra i relatori, Massimo.

 

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