C’è un pregiudizio diffuso da sfatare per quel che riguarda le attività di lobby presso le istituzioni europee. Secondo il Vicepresidente del Parlamento europeo Rainer Wieland: “in quindici anni che lavoro nelle istituzioni europee non un solo lobbista mi si è avvicinato in un modo che io non avessi visibilità dell’obiettivo che si era prefissato”. […]
Ripetizioni in nero, cultura del lavoro in rosso
Quello delle ripetizioni è un business che insabbia ogni anno circa un miliardo di mancati contributi. Regolarizzarlo è possibile?
I professori in Italia sono più di ottocentomila; esattamente 835.489 secondo le ultime statistiche del MIUR. Se a questo numero, già abbastanza elevato, aggiungiamo una stima di ulteriori 80.000 docenti delle scuole private e paritarie, più 45.000 circa tra professori ordinari, associati e ricercatori nelle università, si oltrepassa quota 960.000.
Numeri di tutto rispetto, cui si affiancano quelli della popolazione studentesca: ben oltre gli 8 milioni in totale, di cui 2.650.000 circa, come rilevato dall’ISTAT, studenti della scuola secondaria superiore. Proprio quelli che per il 50% si avvalgono di lezioni private, o “ripetizioni”.
Le lezioni private che tolgono un miliardo al fisco
Numeri da business. Uno studio del 2014 pubblicato da L’Espresso evidenziava già allora il fenomeno, che negli ultimi anni appare in crescita per numero di ore di ripetizioni impartite e per tariffe praticate, stimate quattro anni fa mediamente in 27 euro e che oggi è possibile quantificare in 30 euro all’ora. Un volume d’affari non indifferente e interamente sommerso, salvo rare eccezioni; perché, in realtà, dei compensi percepiti nulla o quasi viene dichiarato al fisco.
E le cifre in gioco sono tutt’altro che trascurabili. Ipotizzando che solo la metà dei professori si dedichi alle lezioni private, abbiamo circa 480.000 soggetti interessati; se effettuano anche solo 2 ore di ripetizione per tre giorni alla settimana, anche limitando l’attività non a tutto l’anno ma per sole 40 settimane (nove mesi circa), fa un totale di 240 ore. A 30 euro l’ora sono 7.200 euro l’anno a testa, che moltiplicati per 480.000 fanno la bella cifra di quasi tre miliardi e mezzo di euro.
L’aliquota di tassazione di questi redditi può essere stimata ragionevolmente nel 30% grazie ad un semplice ragionamento: chi fa ripetizioni è un insegnante con un proprio stipendio, quindi con un reddito che si colloca tendenzialmente nel secondo scaglione dell’IRPEF (tra 15.000 e 28.000 euro) nell’ambito del quale il prelievo è del 27%, a cui vanno aggiunte l’addizionale regionale (1,6% in media), l’addizionale comunale (variamente commisurata, ma con aliquote mediamente tra lo 0,4 e lo 0,8%), oltre alla riduzione delle detrazioni per effetto del reddito aggiuntivo (detrazione per lavoro dipendente, bonus, famigliari a carico), per un maggior prelievo fiscale, stimabile nell’1%. Da qui il totale medio dell’aliquota di tassazione del reddito aggiuntivo: (27 + 1,6 + 0,4 + 1) = 30%.
E il 30% sui tre miliardi e mezzo di redditi non dichiarati fa circa un miliardo di imposte evase. Con buona pace di chi ancora pensa che l’evasione fiscale sia solo appannaggio delle grandi società e delle multinazionali, che di certo hanno la possibilità di applicare anche metodi sofisticati per evadere ed eludere il prelievo fiscale, ma che sicuramente sono in buona compagnia: anche di categorie ritenute “al di sopra di ogni sospetto”.
A cifre analoghe si perviene anche con un altro ragionamento. Se è vero che almeno il 50% degli studenti delle scuole superiori ha bisogno di ripetizioni stiamo parlando di 1.350.000 persone che, per recuperare la sufficienza o i debiti formativi, necessitano di almeno 2-3 ore a settimana per 25-30 settimane. Calcolando 3 ore settimanali per 26 settimane (circa 6 mesi), si determina un fabbisogno totale di oltre 103.000 ore che, a 30 euro medie per ora, ci porta a oltre 3,1 miliardi di fatturato e 930 milioni di euro di imposte evase. Tenendo conto anche degli studenti delle medie inferiori e degli universitari, ecco che le cifre collimano con la stima precedente.
Ripetizioni in nero, questione di abitualità
Che i compensi percepiti per le ripetizioni costituiscano reddito fiscale imponibile è fuori da ogni dubbio. Con estremo rigore, addirittura, per coloro che impartiscono lezioni private con una certa regolarità e continuità si potrebbe parlare anche di redditi da lavoro autonomo professionale, come definiti dall’art. 5, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972 (Testo Unico I.V.A.): “Per esercizio di arti e professioni si intende l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, di qualsiasi attività di lavoro autonomo da parte di persone fisiche…”
L’abitualità, cioè la regolarità e la continuità nell’esercizio di un’attività economica professionale come le lezioni private, potrebbe quindi determinare l’obbligo in capo a questi soggetti di apertura della Partita IVA e di fatturazione delle prestazioni eseguite, anche se effettuate in via non esclusiva e addirittura non prevalente. Dove la prevalenza sarebbe da assegnare nella quasi totalità dei casi all’attività di lavoro dipendente svolta dal professore, sia per numero di ore dedicate che per redditi percepiti.
Ma anche volendo abbandonare questa interpretazione estremamente rigorosa, non c’è dubbio alcuno che le ripetizioni costituiscano attività di lavoro autonomo ai sensi dell’art. 2222 del codice civile: “Quando una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un’opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente, si applicano le norme di questo capo…”.
La norma definisce quella che nel linguaggio comune viene chiamata “prestazione occasionale”, che si distingue dall’esercizio abituale di una professione per i caratteri della sporadicità e saltuarietà che le sono propri. Nondimeno però, i redditi prodotti attraverso la prestazione occasionale (contratto d’opera) sono soggetti a tassazione come redditi diversi, secondo il disposto dell’art. 67, comma 1, lettera l) del T.U.I.R. (D.P.R. 917/86 e successive integrazioni e modificazioni): “Sono redditi diversi se non costituiscono redditi di capitale ovvero se non sono conseguiti nell’esercizio di arti e professioni o di imprese commerciali o da società in nome collettivo e in accomandita semplice, né in relazione alla qualità di lavoratore dipendente: l) i redditi derivanti da attività di lavoro autonomo non esercitate abitualmente o dalla assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere”.
Chi impartisce lezioni private è quindi un lavoratore autonomo, quasi sicuramente occasionale, tenuto a rilasciare una ricevuta dei compensi percepiti secondo le norme sul diritto delle obbligazioni contenute nel codice civile, e a dichiarare i redditi percepiti come redditi diversi (in particolare, redditi da lavoro autonomo occasionale), da far confluire con gli altri già posseduti nel reddito complessivo e da tassare secondo i criteri ordinari. In questi casi, trattandosi di operazioni compiute tra privati, non deve essere applicata nessuna ritenuta d’acconto. La ritenuta d’acconto non è altro che una delle modalità di riscossione delle imposte prevista dal nostro ordinamento tributario e disciplinata in particolare dall’art. 25 del D.P.R. n. 600/1973; riguarda esclusivamente i compensi corrisposti dalle categorie di soggetti espressamente previste dalla norma, che attribuisce loro la qualifica di sostituti di imposta (ditte individuali, professionisti, società, enti e associazioni, curatori fallimentari, liquidatori e condomini). Nondimeno, la ricevuta deve essere comunque rilasciata anche tra privati, a quietanza dell’avvenuto pagamento e a dimostrazione del reddito conseguito.
Le possibili soluzioni per dichiarare i proventi delle ripetizioni
Il fatto che il livello di tassazione possa essere molto elevato (al punto da far diminuire la convenienza a svolgere l’attività o a dar luogo a fenomeni di “traslazione” dell’imposta, che vuol dire aumentare le tariffe a carico delle famiglie) è un altro tema. Una soluzione ragionevole potrebbe essere rappresentata, entro certi limiti di ore prestate e di reddito aggiuntivo conseguito – perché di questo si tratta – dall’introduzione di una tassazione separata con il meccanismo della “cedolare secca” già sperimentato per i redditi da locazione. Ciò potrebbe consentire di far emergere tutto il “nero” o quasi e di recuperare un certo gettito fiscale, tenendo conto del fatto che i redditi aggiuntivi hanno il loro peso indiretto anche per l’assegnazione o meno di bonus e la determinazione di tariffe e agevolazioni soggette al rispetto di determinati tetti di reddito o di valori ISEE.
Un meccanismo di tassazione separata potrebbe essere una valida alternativa a quella esistente, costituita dal cosiddetto “libretto di famiglia”, che ha sostituito i vecchi voucher lavoro per le prestazioni, richieste da committenti privati. Pensato per il lavoro domestico, questo strumento può essere utilizzato per pagare i compensi per le ripetizioni, anche se è un po’ macchinoso e sicuramente oneroso per le famiglie, sulle quali grava l’onere della contribuzione previdenziale e assicurativa (per ogni 10 euro di valore del “voucher”, 2 sono di contributi e 8 è il compenso netto), mentre potrebbe essere gradito ai “prestatori” dato che quanto percepito è totalmente esente da prelievo fiscale e non deve neanche essere dichiarato.
Il limite oggettivo costituito dalle prestazioni occasionali rese attraverso il libretto di famiglia è l’importo complessivo che il prestatore può percepire, un totale di 5.000 euro l’anno come sommatoria dei compensi erogati da tutti i committenti. Che non sono pochi, in realtà, considerato che sono netti ed esenti da imposizione fiscale e che costituiscono un’entrata aggiuntiva rispetto allo stipendio: stiamo parlando, potenzialmente, di oltre 400 euro netti al mese in più, che sono una cifra di tutto rispetto, soprattutto in tempi di grande difficoltà come quelli che stiamo attraversando in questo periodo.
Foto di copertina di www.scuolazoo.com
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