Scuola digitale, effetto Cassandra?

Nella mitologia greca, Cassandra era figlia del Re di Troia Priamo e sacerdotessa del tempio. La sua bellezza fece innamorare il dio Apollo, il quale le donò la capacità di preveggenza. Nonostante il dono, lei non corrispose l’amore; così, Apollo, infuriato per tale affronto la condannò a che tutte le sue profezie rimanessero inascoltate. I […]

Nella mitologia greca, Cassandra era figlia del Re di Troia Priamo e sacerdotessa del tempio. La sua bellezza fece innamorare il dio Apollo, il quale le donò la capacità di preveggenza. Nonostante il dono, lei non corrispose l’amore; così, Apollo, infuriato per tale affronto la condannò a che tutte le sue profezie rimanessero inascoltate.

I miti greci vengono spesso richiamati per raccontare i comportamenti delle persone. In ambito medico, ad esempio, Cassandra viene utilizzata per una patologia caratterizzata da un comportamento eccessivamente pessimista, a tratti maniacale, che porta a prevedere costantemente disgrazie (sindrome di Cassandra); in ambito oceanografico, invece, viene richiamata per descrivere quell’insieme di fenomeni che precedono un’onda anomala devastante (es. effetto Cassandra di uno tsunami).

Ed è proprio a questo effetto Cassandra (di uno tsunami) che pare di aver assistito, analizzando il percorso di digitalizzazione avvenuto in Europa, in Italia ed in particolare nella scuola italiana.

 

L’impegno pluridecennale per la digitalizzazione scolastica

Il sistema scuola non è mai stato protagonista in materia e ha mostrato scarsa partecipazione alla rivoluzione tecnologica. Spesso ha tentato di attribuire la responsabilità di ciò alle famiglie, probabilmente per mascherare la propria poca produttività e proattività, vittima dell’ambiente non meritocratico in cui vive.

Esiste una ricerca, pubblicata annualmente dall’Unione Europea, che ordina gli Stati Membri attraverso un indice DESI (Digital Economy and Society Index) e tiene conto di aspetti come la connettività (sviluppo della banda, infrastrutture e qualità della stessa), il capitale umano (misurazione delle skills digitali), l’uso dei servizi digitali, l’Integrazione della tecnologia digitale nel business, i servizi pubblici digitali e la ricerca e sviluppo per l’ICT.

Fonte: https://ec.europa.eu/digital-single-market/en/desi

 

L’ultimo report DESI 2019 denuncia un’Italia poco virtuosa, “da brividi” se si pensa agli impatti del digitale sulle economie negli ultimi vent’anni. In quel periodo abbiamo assistito all’ascesa di giganti tecnologici come Google, Apple, Facebook, di nuovi modelli che ci hanno proiettati nella Gig Economy, economia fatta di piattaforme, freelance e contratti sempre più precari.

In questa rivoluzione silenziosa e distruttiva, la scuola italiana sembra ancora priva di identità, totalmente slegata dal contesto e con metodi fermi a quarant’anni fa. Con un corpo docenti composto da ultracinquantenni per più del 60%, rispetto a una media dei Paesi OCSE di quasi la metà, il sistema ha consolidato per la maggior parte di essi un immobilismo attitudinale degno del peggior attivista da divano.

Il Ministero per la Pubblica Istruzione ha provato a strutturare un percorso di digitalizzazione e insegnamento sull’uso della tecnologia fin dal 2007. Proprio in quel periodo, infatti, la nuova ondata digitale mondiale, favorita dall’ascesa esponenziale dei social network, delle piattaforme di streaming e dell’e-commerce, ha avuto il suo primo forte impatto.

Fonte: AGID

 

Il MIUR fin dall’ inizio ha inteso promuovere l’innovazione digitale attraverso un programma di modifica degli strumenti e degli ambienti di insegnamento. Da allora, impegno e investimenti non sono mancati: è stato così varato il primo piano di investimenti, con lo stanziamento di più 90 milioni di euro dal 2008 al 2012, per l’acquisto delle lavagne LIM e la formazione dei docenti. Successivamente tale piano ha investito sul rafforzamento della rete WiFi e sulla formazione in competenze digitali per i docenti. Infine, con il Piano Nazionale Scuola Digitale (PNSD) del 2015 sono stati formulati nuovi obiettivi suddivisi per ambiti (strumenti, competenze, formazione e l’accompagnamento verso il digitale).

 

Scuola, l’innovazione a macchia di leopardo. E gli animatori digitali predicano nel deserto

È solo nel 2018, a distanza di dieci anni e di un miliardo e mezzo di euro investiti (compresi i progetti locali), che ci si è accorti però dei risultati fortemente disomogenei raggiunti dagli istituti: ci si è trovati di fronte a “scuole già avanti e con ottime esperienze e scuole molto indietro, quasi ferme, con progetti che puntavano prevalentemente all’introduzione della tecnologia e senza indicatori di misurazione del successo delle iniziative”.

Illuminante in merito, è proprio l’ultimo studio AGICOM del 2019 sui dati forniti dal MIUR nel quale è emerso: “(…) In relazione alle competenze digitali del corpo docente, va sottolineato che esse non risultano uniformemente distribuite; in media, in generale, il 47% dei docenti delle scuole italiane utilizza con frequenza quotidiana strumenti digitali nello svolgimento delle proprie attività didattiche a fronte di un 5% che invece non li utilizza mai”.

Tabella: frequenza con la quale i docenti (in %) svolgono attività didattiche tramite tecnologie.

 

“(…) Queste informazioni suggeriscono la presenza di una dicotomia nelle scuole italiane dal momento che una metà dei docenti utilizza quotidianamente strumenti digitali a fronte di un’altra metà che, invece, li utilizza in maniera sporadica.”

Tabella: tipologie di attività svolte con tecnologie digitali da tutti o quasi tutti i docenti.

 

Ma non è tutto: l’ultimo PNSD aveva previsto anche le figure degli animatori digitali. Individuati da ciascun istituto, nascono per coordinare le attività previste, tra le quali i corsi di formazione con metodi didattici innovativi. Nella realtà, in molte scuole tale ruolo non è diventato operativo: è stato assegnato in maniera forzata dal dirigente scolastico o, peggio ancora, isolato dal contesto scolastico in cui dovrebbe operare. Va peraltro detto che, tra gli animatori digitali attivi, alcuni hanno sviluppato virtuose community in rete, o addirittura c’è chi si è eletto a guida del cambiamento attraverso piattaforme online da loro create.

Tabella: presenza di un docente di coordinamento e raccordo con il PNSD dei diversi gradi scolastici.

 

Le responsabilità della scuola davanti al digitale: la testimonianza di un docente

Di fronte a tutti questi tentativi e false partenze, siamo rimasti, negli anni, come spettatori immobili a guardare i segnali premonitori di uno tsunami digitale. Un vero e proprio “effetto Cassandra”. Finché, l’8 marzo 2020, l’onda anomala purtroppo si è abbattuta.

Una pandemia globale ha bloccato anche la scuola italiana con la sospensione delle lezioni in presenza. Da quel momento, molti docenti di ogni ordine e grado hanno iniziato ad annaspare, causa mancanza di infrastrutture ma soprattutto di cultura e competenze digitali. Nonostante gli ultimi tentativi del MIUR per sviluppare una forte azione culturale di sistema, ancora una volta qualcosa non ha funzionato.

Come mai, partiti quattro anni fa, seppur con limiti ed errori, ci troviamo oggi, “quasiimpreparati? Abbiamo provato a domandarlo a chi è docente e animatore digitale nella scuola da tempo: Luca Basteris, docente di Fisica del Liceo Scientifico e Classico “Giuseppe Peano-Silvio Pellico” di Cuneo ha voluto portarci la sua testimonianza diretta.

“In questi giorni tutti parlano di scuola e di D.a.D. (Didattica a Distanza). In realtà l’inizio del cambiamento della scuola italiana è stato innescato tanto tempo fa, proprio con il Piano Nazionale Scuola Digitale all’interno della legge 107/2015, riassunto con PNSD. Molto è stato programmato, ma ci si è trovati spesso di fronte a un muro: anticorpi dell’innovazione, resistenti a ogni cambiamento. Lasciando da parte alcune polemiche sterili, vorrei portare la mia testimonianza di una docente di lettere, specializzata in filologia, che proprio in merito ad alcuni provvedimenti sull’utilizzo di tecnologie digitali da parte del collegio docenti, nel maggio 2019, ha dichiarato il suo diritto all’‘obiezione di coscienza al digitale’. Pazzesco! In questi anni una parte della scuola effettivamente si è attivata e mossa, formandosi, innovando con tecnologie e metodi, mentre la restante parte, un po’ come la docente sopra citata, ha fatto in pratica chiara ‘obiezione di coscienza’ nei confronti della tecnologia digitale e verso nuove metodologie didattiche innovative. In alcuni casi questa scelta è stata fatta per pigrizia, in altri perché profondamente convinti che la scuola non aveva necessità di cambiare, senza rendersi conto, come per tanti altri settori lavorativi e figure professionali, che “non è solo una questione tecnica, di ordinamento del materiale: è una questione di struttura mentale, di movimento dei pensieri, di uso del cervello”, come scritto da Alessandro Baricco in The Game. Quindi, doveva assolutamente interessare la scuola.”

“La situazione che stiamo vivendo ha cambiato completamente la prospettiva e il punto di osservazione del mondo scuola, e anche gli ‘obiettori’ più convinti hanno dovuto affrontare questa situazione di emergenza e il digitale per riuscire a raggiungere i propri studenti. Occorre evidenziare che esistono, in alcuni casi, oggettive difficoltà di connessione, carenza di device in ambito domestico, scarse competenze digitali delle famiglie, difficoltà di inclusione e poca accessibilità per i più deboli, limiti che comunque erano già presenti nella scuola tradizionale.”

“Si tratta quindi di valorizzare le opportunità digitali che stiamo vivendo. Quante volte abbiamo rimproverato i nostri studenti e/o figli accusando i media digitali di separazione sociale? Ora proprio questi canali ci stanno permettendo di vivere la nostra socialità e di riscoprire i volti dei nostri studenti, in questo momento di lontananza. I docenti stanno ‘entrando’ nelle case degli studenti, stanno distribuendo gocce di normalità in un periodo di non-normalità, stanno prestando più un servizio sociale che educativo. Non si tratta di recuperare i giorni scolastici che andranno persi. Sul totale di quelli che gli studenti devono frequentare (2.600 per la precisione, dalla primaria alla secondaria di secondo grado), i non fruiti incideranno poco. Dopo questa esperienza la scuola non sarà più la stessa, e non semplicemente perché si saranno appresi strumenti tecnologici per le videolezioni sincrone o registrate per gestire la classe a distanza, dopo anni di semplice PowerPoint. La scuola non potrà più nascondersi: l’utilizzo del digitale è un passaggio fondamentale per l’innovazione scolastica, pur consapevole che la dimensione fisica non dovrà mai venire meno.”

Dopo tutto quello che passeremo, chi avrà ancora da obiettare di fronte al digitale?

 

 

L’articolo è stato scritto in collaborazione con Luca Basteris

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