Scuole pubbliche a libro paga delle famiglie

Come funziona l’economia di un istituto scolastico? Scopriamo come vengono raccolte e investite le risorse della scuola.

Negli ultimi vent’anni abbiamo assistito, nel nostro Paese, a una progressiva riduzione delle risorse dedicate alla scuola. Essendo un mondo molto articolato i numeri si possono leggere in diversi modi: investimento pro capite, percentuale di risorse nei vari settori e nei vari livelli del percorso di istruzione. In ogni caso è abbastanza comune un’analisi di “impoverimento”, di insufficienza dei budget, soprattutto se paragonata ad altri Paesi simili al nostro per cultura e dimensione.

Dedicare più o meno attenzione alla formazione delle generazioni future è un grande tema politico, che dovrebbe orientare le nostre future scelte di rappresentazione democratica, in funzione di quanto crediamo nel valore di questa formazione. Intanto, nel presente, potremmo anche provare a chiederci come vengono spese queste risorse “limitate”: come vengono gestiti i soldi nella scuola?

Stiamo parlando delle scuole comprese nel “sistema educativo di istruzione e formazione” fino alle scuole del secondo ciclo di istruzione. Escludiamo quindi il sistema universitario.

Come funziona l’economia di un istituto scolastico? La questione del contributo volontario

Giustamente ci si occupa molto della scuola. È un tema importantissimo per i genitori e dovrebbe esserlo per il futuro della nostra società: gli argomenti quotidiani di un genitore sono la qualità dei servizi, competenza degli insegnanti, continuità didattica, costo dei libri e diversi altri. Tuttavia non si parla mai di come funziona l’economia di un istituto scolastico. Sono davvero così pochi, i soldi, che non è il caso di menzionarli?

Su quali risorse può contare l’istituto che frequentano i nostri figli? Chi e come gestisce quei soldi? Con quale autonomia? Perché tutte le scuole chiedono un contributo volontario alle famiglie, e come lo usano? Non pensiamo che all’interno di una scuola media o di un liceo ci siano scandali finanziari, e la scarsità di risorse spesso è evidente. Non si capisce perché questo ci impedisce di essere meglio informati.

Una parte di responsabilità è di noi cittadini; non ce ne occupiamo, deleghiamo qualche tiepida responsabilità di controllo ai rappresentanti dei genitori nel Consiglio di Istituto, ma raramente chiediamo loro conto del budget della scuola.

Esiste anche una certa opacità da parte di molti istituti scolastici. Ogni anno, infatti, emerge la polemica sul contributo volontario. Ricordiamo di che si tratta, citando il sito del MIUR: “Eventuali contributi possono dunque essere richiesti solo ed esclusivamente quali contribuzioni volontarie con cui le famiglie, con spirito collaborativo e nella massima trasparenza, partecipano al miglioramento e all’ampliamento dell’offerta formativa degli alunni, per raggiungere livelli qualitativi più elevati”.

Spesso però il contributo viene richiesto, al momento dell’iscrizione dell’alunno, senza evidenziarne le finalità, e soprattutto omettendo che si tratta di una contribuzione facoltativa. Al punto che lo stesso sito del MIUR ha dovuto precisare (e rimarcare con diverse circolari) che “in ragione dei principi di obbligatorietà e di gratuità, non è consentito richiedere alle famiglie contributi obbligatori di qualsiasi genere o natura per l’espletamento delle attività curriculari e di quelle connesse all’assolvimento dell’obbligo scolastico (fotocopie, materiale didattico o altro) (…). È pertanto illegittimo, e si configura come una violazione del dovere d’ufficio, subordinare l’iscrizione degli alunni al preventivo versamento del contributo”.

È invece lecito chiedere che vengano rimborsati i costi sostenuti dalla scuola per conto delle famiglie (assicurazione individuale degli studenti per RC e infortuni, libretto delle assenze, gite scolastiche), oltre alle tasse scolastiche dopo i 16 anni di età.

Attenzione: per certi istituti si tratta di importi significativi che possono arrivare a 200 euro per alunno, che moltiplicati per le migliaia di alunni di alcune scuole diventano una consistente voce d’entrata annuale. Per cui fate attenzione a come vengono formulate le richieste, e visto che la richiesta di contributo è deliberata dal consiglio scolastico, proviamo a richiedere a quanto ammonta e come viene speso. La qualità della scuola passa anche da come vengono utilizzate le risorse a livello locale, in ogni singolo istituto.

Ricordate, inoltre, che il contributo volontario è detraibile al 19% dalla dichiarazione dei redditi: purtroppo, anche questa informazione spesso non è trasmessa dalle scuole alle famiglie.

Segreterie, quanto lavoro: manca trasparenza, ma anche formazione

Ci sono ancora molti margini di miglioramento in termini di trasparenza e comunicazione delle dinamiche del funzionamento economico del sistema scuola; pensate che le scuole non sono obbligate a comunicare quanto incassano dai contributi volontari al MIUR, per cui non abbiamo nemmeno dati statistici accurati su quanto questa voce incida nel bilancio pubblico complessivo.

Abbiamo chiesto il suo punto di vista a Irene Madore, insegnante da sei anni, attenta al futuro della scuola e inserita nel consiglio del suo istituto: “Il contributo volontario delle famiglie rappresenta per molte scuole la risorsa per avviare progetti che migliorano la qualità didattica o iniziative a favore delle specifiche esigenze degli studenti, come ad esempio uno sportello di supporto psicologico o fondi di solidarietà per la partecipazione alle gite/viaggi studio per le famiglie meno abbienti”.

“Il tema della comunicazione con le famiglie è effettivamente cruciale. Ad esempio la rendicontazione puntuale dell’importo raccolto e delle modalità di utilizzo influisce positivamente sulla motivazione delle famiglie a versarlo, ma spesso le segreterie non riescono a redigere questo consuntivo.”

Irene unisce alla passione per l’insegnamento un concreto impegno politico, come coordinatrice per il programma del Gruppo Volt di Bologna, e ci offre anche un’ulteriore visione sul lavoro nelle scuole: “In effetti un aspetto delicato del sistema scuola in Italia riguarda l’aumento della responsabilità e del carico di lavoro delle segreterie, spesso sottorganico anche per via dei blocchi del turn over degli anni passati, che devono fronteggiare richieste sempre più ampie e complesse. Per cui sarebbero necessarie nuove competenze e aggiornamento professionale, che potrebbero rendere più efficiente l’amministrazione di istituto”.

“Aggiungo un elemento estremamente attuale: per far fronte all’emergenza pandemica il governo ha finanziato l’assunzione di ‘personale COVID’, docente e non docente. Le pratiche di assunzione di questo personale (che avrà un contratto molto particolare: ad esempio sarà licenziabile in caso di lockdown) saranno a carico delle singole segreterie scolastiche, che si troveranno con un’ulteriore mole di lavoro in tempistiche difficilmente sostenibili rispetto alla necessità di avvio dell’anno scolastico.”

La scuola pubblica, un bene comune in carico ai cittadini

La scuola italiana merita sicuramente maggiori risorse per la didattica e il personale docente, ma occorre anche investire sulla formazione del personale che fa funzionare la macchina, per rendere i processi efficienti e la comunicazione più trasparente. Per un vero salto di qualità, però, servirà anche un coinvolgimento più consapevole dei genitori.

Il diritto a una scuola pubblica di qualità dipende da quanto, come famiglie, siamo disposti a spendere, in tasse o contributi volontari, ma anche da un’attenzione e una partecipazione attiva, capillare, sul territorio, come singoli cittadini: proviamo a considerare la scuola come un bene comune, uno dei più preziosi che abbiamo.

Photo by Pexels

CONDIVIDI

Leggi anche

Manager certificati o col bollino blu?

La certificazione dei manager è prassi consolidata in molti Paesi europei: in Inghilterra, ad esempio, costituiscono un punto di riferimento sia gli Standards of Good Practice for Board of Directors sia i Senior Management Standards, che hanno coinvolto centinaia di senior manager per arrivare alla definizione rigorosa degli standard di riferimento. Il tema è oggi […]

Coronavirus, un italiano a Londra: “Qui le aziende erano pronte, altro che smart working. Il problema è il governo”

Vivo a Londra, e vorrei condividere con i compatrioti le mie esperienze oltremanica. In questi giorni si è scritto tanto sull’approccio del governo britannico alla pandemia causata dal SARS-CoV-2. Come sempre, orde di tribuni si scagliano a favore o contro. Si scrive e argomenta su tutto e il contrario di tutto. Molto è stato detto […]