Torino docet?

Sono nato a Torino, ho studiato a Torino, ho lavorato a Torino e amo Torino, ma odio Torino e conosco Torino. Soprattutto non capisco perché Torino riesca sempre a stupirmi. Forse solo perché è difficile conoscere davvero Torino. Torino non ha una sola anima. Fino ai primi anni Duemila, infatti, l’immagine di Torino è stata prevalentemente […]

Sono nato a Torino, ho studiato a Torino, ho lavorato a Torino e amo Torino, ma odio Torino e conosco Torino. Soprattutto non capisco perché Torino riesca sempre a stupirmi. Forse solo perché è difficile conoscere davvero Torino.

Torino non ha una sola anima. Fino ai primi anni Duemila, infatti, l’immagine di Torino è stata prevalentemente industriale: truciolo e ciminiere che evocavano cieli plumbei, lo stesso grigio del paletot, del travet, l’odore di olio esausto tipico delle fabbriche di meccanica. Era la città del “nodd” quasi presa d’assalto da chi arrivava dal sud in cerca di lavoro: dagli anni Cinquanta divenne “la città della Fiat”, prima ancora che dell’industria. Se quest’anima industriale era molto forte, nella percezione esterna era ancora più forte. Un po’ come identificare la Svizzera con banche, orologi e cioccolato.

Il boom degli anni Sessanta, la crisi dei primi anni Settanta e l’Austerity, gli anni di piombo e finanche gli Ottanta dell’edonismo reganiano hanno contribuito a rafforzarne la connotazione industriale e oper(ai)osa, in contrapposizione alla Milano da bere. Del resto se il barachin da un certo momento storico diviene addirittura sinonimo di operaio, la schiscètta, considerata simbolo del boom economico, è esposta al museo del design della Triennale alla Villa Reale di Monza. Visto che sono la stessa cosa, la capacità di marketing era, evidentemente, assai diversa.

 

La città olimpica

Torino infatti è stata per molto tempo il primo nemico di se stessa, quantomeno dal punto di vista del marketing. Ma il vero salto di qualità, il momento della svolta epocale, è stata la designazione da parte del CIO come sede olimpica per le Invernali del 2006. Una preparazione travagliata, la città dilaniata da lavori in corso permanenti o quasi, cantieri durati un lustro e non pochi dubbi e scandali postumi sulla gestione economico-finanziaria del progetto; ma è innegabile che con le Olimpiadi è iniziata la rinascita.

Torino si è finalmente rifatta il trucco, ha messo un po’ in mostra la mercanzia. E solo il destino sapeva quanto ne avrebbe avuto bisogno con la crisi del 2008 in agguato dietro l’angolo, pronta a travolgere tutto, a minare dalle fondamenta il mondo finanziario, ma con quello industriale lì a pagare il prezzo più alto. La riscoperta di Torino tra le mete turistiche più ambite e il conseguente flusso di visitatori in aumento non poteva da solo costituire una solida base per lo sviluppo degli anni a venire.

 

Torino oggi e domani: un modello?

Se è indubbio che Torino non è più quella di prima, la sua fotografia attuale non ha contorni nitidi, e ancora meno definita è l’immagine della Torino del futuro; la prima informazione è importante per avere chiare le fondamenta su cui costruire, ma la seconda è ancora più strategica per poter definire quali siano le professioni e le competenze necessarie su cui investire per affrontare le sfide future.

Ne è prova il fatto che, nonostante la crescita delle opportunità offerte dal turismo e dal consolidarsi di alcune eccellenze di nicchia, l’attenzione sia soprattutto rivolta alla tradizione. La stampa degli ultimi mesi si concentra  prevalentemente sugli aspetti legati all’industria: è di poche settimane fa la previsione di applicare per Torino il decreto del Ministero dello Sviluppo economico che riconosce i 112 Comuni del sistema del lavoro di Torino come area di crisi complessa. Inoltre è stato varato il progetto “Su la testa” per rispondere a una allarmante crescita della disoccupazione giovanile (si è passati da 19.800 giovani tra i 15 e i 29 anni disoccupati nel 2007 a circa 34.000 nel 2017, con un incremento di oltre 14.000 unità). Anche l’arcivescovo Nosiglia ha preso posizione, sostenendo che il lavoro continua a rimanere la prima vera questione sociale e che Torino sta perdendo importanti posizioni competitive nello scacchiere industriale nazionale e internazionale.

Ma in tutto questo qual è il punto di vista delle istituzioni? Ho incontrato Alberto Sacco, Assessore al Lavoro, Commercio e Sviluppo Economico del Comune di Torino, per conoscere la sua visione del problema. Gli chiedo se l’anima industriale della città costituisce una zavorra che la àncora al passato, oppure se si tratta di una certezza che le offre l’opportunità di trovare una nuova identità ancora più solida.

“Ciò che Torino era fino agli anni Novanta e primi anni Duemila non è morto: esistono ancora un solido substrato e una importante cultura, perché Torino non ha tradito o rinnegato il suo passato: non sarà più la città delle grandi produzioni industriali, ma una città che ha ancora da dare all’industria. Per poterlo fare deve però trasformarsi, mutare con sensibilità, e nel contempo non perdere identità”

Le eccellenze di Torino sono infatti riconosciute nel mondo e si continua ad avere, oltre a una forte cultura del lavoro, un livello di specializzazione nel design e nell’innovazione di prodotto. “In questo contesto il classico profilo di understatement sabaudo, che ci contraddistingue da sempre, in un momento di sempre più accesa competizione, deve giocoforza lasciare il posto a una diversa capacità di promozione e investimento di medio e lungo periodo”.

Infatti dal punto di vista dello sviluppo della cultura si cerca di operare partendo dalle fondamenta: “Torino – continua Sacco – sta diventando sempre più una città universitaria: oggi sono 110.000 gli studenti, di cui il 30% stranieri, e l’apprezzamento del Politecnico, e in generale del sistema universitario, è in costante crescita”.

Il sistema ha basi solide anche nella scuola secondaria: oltre ai numerosi istituti tecnici, esistono realtà storiche che devono essere ripensate e riportate al top. È il caso della Scuola Camerana dell’Unione Industriale di Torino, parte integrante del progetto TNE nel polo Mirafiori, che si ispira alle eccellenze europee: modelli consolidati e vincenti quali la Coventry University, eccellenza del Design, la La Rheinisch Westfälische Technische Hochschule Aachen, ovvero l’Università Tecnica di Aquisgrana, e non ultimo il Polo Universitario di Como.

“A testimonianza di ciò – conclude Sacco – il Politecnico di Torino ha vinto il bando italiano per costruire il Competence Centre, e si è ottenuto lo stanziamento di ben centocinquanta milioni di euro di contributi statali per le aziende che decideranno di investire in innovazione nel nuovo polo, in un’ottica di ‘privilegiare’ aree che, sia pur momentaneamente in crisi, abbiano basi solide su cui ricostruire. Il progetto sarà pienamente operativo tra circa diciotto mesi.”

Torino ha quindi ottime chance di rialzare il suo blasonato capo: forse non è più il modello da seguire, ma se saprà armonizzare le sue anime e guardarsi davvero allo specchio, sarà pronta a disegnare un nuovo modello. E mi piacerà dichiarare con ancora maggiore orgoglio che sono nato a Torino, ho studiato a Torino, ho lavorato a Torino e amo Torino. Incondizionatamente.

 

 

Foto di copertina by www.industriequattropuntozero.it

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