Secessione del Sud: per caso il COVID-19 è venuto a dirci questo?

Il coronavirus è venuto a dire che il mondo non può essere più lo stesso, e che il modello di sviluppo retto da poche megalopoli in cui concentrare tutte le possibilità e le risorse (economiche, tecnologiche, umane) è sbagliato: rende i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri; ed è fragile, perché […]

Il coronavirus è venuto a dire che il mondo non può essere più lo stesso, e che il modello di sviluppo retto da poche megalopoli in cui concentrare tutte le possibilità e le risorse (economiche, tecnologiche, umane) è sbagliato: rende i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri; ed è fragile, perché basta colpire la “testa” del sistema, come ha fatto il virus, per farlo crollare.

Il futuro è nelle aree interne abbandonate e depauperate: da New York, Los Angeles, San Francisco (e da Milano) è iniziato l’esodo al contrario verso l’interno vuoto, che in Italia è il Sud e dorsale appenninica, i due terzi del Paese, cui si nega l’indispensabile (trasporti, infrastrutture, servizi, diritti costituzionali), per incrementare il superfluo per pochi, in un terzo del territorio.

 

Il virus che ha rovesciato l’Italia

L’epidemia mostra che il racconto dell’Italia efficiente, buona amministratrice onesta a Nord, e incapace, disonesta a Sud, è falso: la Lombardia è stata la peggiore regione al mondo nella gestione della tragedia, con l’atroce record di morti per milione di abitanti, mentre tutto il Sud, pur ospitando e guarendo malati che non trovavano posto negli ospedali lombardi, ha fatto molto meglio, subito e con molto meno (la spesa pubblica pro-capite per la salute nella Provincia di Bolzano è di quasi 185 euro, in Calabria meno di 16, in Emilia-Romagna sei volte tanto, nel Veneto quattro). Anche il Veneto, dopo un clamoroso errore iniziale, ha saputo cavarsela bene, ma non ha accolto un solo infermo dalla confinante Lombardia, nonostante il 60% dei posti letto di terapia intensiva vuoti.

Nel mio libro, Il male del Nord, provo a immaginare se l’epidemia fosse dilagata a Napoli: che cosa si sarebbe scritto e detto se il presidente Vincenzo De Luca non avesse chiuso, blindato un solo paese-focolaio, scaricando la decisione sul governo; se si fossero spesi 21 milioni, e forse il doppio per un ospedale-COVID inutile (tirando su tramezzi in un edificio già esistente) con una dozzina di posti letto, impiegando un mese, mentre al Nord (in realtà a Napoli), ne facevano uno da 72 posti letto in 30 ore “e 45 secondi”, spendendo solo 7 milioni; se da regioni infette del Sud avessero fatto andare in quelle del Nord, indenni (in realtà lo erano a Sud), oltre duecentomila persone, senza controlli alla partenza, ma all’arrivo, “esportando” così il COVID-19 dove non c’era; se regioni del Nord avessero acquistato tamponi, reagenti, mascherine per i propri ospedali e la Protezione Civile avesse requisito tutto per portarlo al Sud; se, nei giorni peggiori dell’epidemia, nelle zone-focolaio, il 70% della popolazione, a Sud (non nel Lodigiano), avesse continuato a circolare liberamente, invece di dire #iorestoacasa, e a Napoli (non a Bergamo) avessero aperto pagine Facebook, anche con mille iscritti, per segnalarsi vicendevolmente i posti di controllo anti-indisciplinati e aggirarli.

«L’Italia ha retto perché la popolazione meridionale è stata di una compostezza e autodisciplina esemplari», ha scritto il professor Isaia Sales, dell’Università Suor Orsola Benincasa. «Un potenziale civile e comportamentale importantissimo. Una riserva per la nazione». Ma inviati di tv e giornali, non trovando a Napoli assembramenti da denunciare, dicevano che ci erano appena stati, o che erano previsti dopo il collegamento.

 

1973, colera a Napoli; 2020, COVID in Lombardia: le differenze

Nel 1973, per una partita infetta di cozze arrivata dalla Tunisia in Europa, ci fu il colera a Napoli, debellato in meno di due mesi (a Barcellona servirono due anni), e si ebbero 24 morti: da allora si insultano i meridionali come “colerosi” (Matteo Salvini ci ha rimediato una condanna per razzismo) e negli stadi si augurano epidemie e stragi ai terroni. Nulla del genere è avvenuto a ruoli invertiti (anzi, migliaia di medici e infermieri meridionali si sono offerti volontari in Lombardia), pur se i circa 35.000 morti per COVID son tutti a Nord, pochissimi a Sud; oltre 16.000 nella sola Lombardia, dove giornali e tv hanno reagito allo choc di scoprirsi incapaci parlando di “astio verso i primi della classe” da parte dei terroni, di “razzismo”, come se a Sud fossero apparsi striscioni tipo quelli contro i meridionali (Vesuvio, Etna, terremoto ammazzali tutti) o chiamassero i lombardi “padani di merda”, “porci”, “topi da derattizzare” (lo dicono dei terroni). Al contrario, al Nord sono comparsi striscioni per “ringraziare” il virus di aver indotto i terroni a tornarsene al Sud.

Il Los Angeles Times, non i terroni, ha scritto “Tempesta perfetta: il disastro del virus in Lombardia è una lezione per il mondo”, gli errori commessi “saranno studiati per anni”; lo spagnolo El Pais: “Il virus inverte i ruoli storici del Nord e del Sud d’Italia”, per la più efficiente risposta del Sud al morbo; le tv anglosassoni scoprono l’eccellenza degli ospedali di Napoli (il Cotugno, unico a non far registrare contagi fra malati e personale sanitario, per la perfetta organizzazione: «Sembra di stare in una astronave»), e gli italiani lo apprendono traducendo dall’inglese; il francese Le Monde pubblica un inserto di quattro pagine, con il titolo: “Lombardia: autopsia di un disastro”.

Germania, Austria, Grecia e quasi tutti gli altri Paesi europei hanno escluso l’Italia dai flussi turistici non per i terroni, ma per la Lombardia e il Nord-Ovest ancora troppo infestati dal virus; il presidente della Liguria, Giovanni Toti, ha protestato per l’esodo di lombardi a rischio morbo nelle seconde case liguri; gli imprenditori turistici della Versilia non vogliono i lombardi, per non rischiare di compromettere la stagione già danneggiata; il presidente della Toscana, Enrico Rossi, ha chiesto: se invece della Lombardia ci fosse stata una regione del Sud, l’avrebbero blindata e commissariata?

Il “male del Nordè che non è più il Nord, “quel” Nord; il suo mito è crollato alla prova del virus. E il Sud è sempre meno “quel” Sud (e forse non lo è mai stato, ma il Nord non lo sa e il Sud non lo sapeva). E ora il Nord ne ha paura.

 

Il lavoro si sposta verso Sud: “Un affare per l’Italia” che ci renderebbe primi in Europa

Il virus è lo specchio che ci ha mostrati come siamo: presuntuosi e in decadenza, divisi fra l’egoismo dei più ricchi, a Nord, e la rassegnazione complice, il risentimento e la coscienza dei diritti negati a Sud. Il virus è il pettine che ha fatto venire alla luce tutti i nodi di un Paese sorto con un genocidio ancora negato al Sud (centinaia di migliaia di vittime, fucilati, deportati, incarcerati e internati in campi di concentramento, paesi rasi al suolo, diritto di stupro alle truppe sabaude, saccheggio di banche, regge, chiese, conventi, distruzione delle fabbriche, le più grandi d’Italia, e macchinari portati al Nord) e la creazione di una “colonia interna”: avvenne in tutto il mondo, per favorire lo sviluppo della civiltà industriale, ma da noi si è rimasti a quello, senza poi unificare la popolazione nella parità di diritti (Giuseppe Mazzini, fra i più moderati, sosteneva: «Perché si compiano i destini» dell’Italia, «corrano pure fiumi di sangue e le città si rovescino le une sulle altre, e battaglie e incendi succedano. Non importa! Se l’Italia non deve essere nostra, val meglio prepararne la distruzione, e tale che ogni disfatta sia catastrofe finale […]. Combattiamo dunque e sterminiamo»).

Più un racconto, dalla storia alla cronaca, funzionale alla subordinazione del Mezzogiorno, tanto che il professor Umberto Levra, decano dei risorgimentalisti, ha documentato la distruzione degli atti di Stato, militari, in contrasto con alla versione favolistica dell’Unità; e ancora oggi, nel libro dello storico Carmine Pinto sulla resistenza armata all’invasione dell’ex Regno delle Due Sicilie, diffamata quale “Brigantaggio”, si legge (a indicazione della scala di valori) che “La guerra per il Mezzogiorno” fu fra “italiani, borbonici e briganti”, come se al Sud non fossero italiani (il re Borbone parlava italiano, lingua ufficiale del Regno; in quello di Sardegna si parlava francese, e persino Cavour l’italiano dovette studiarlo), e comunque briganti, delinquenti non italiani, quindi gli “italiani”, per fare l’Italia, facevano benissimo a sterminarli. I sociologi Valentina Cremonesini e Stefano Cristante, analizzando 30 anni di Tg1, tv di Stato, scoprono che dedica al Mezzogiorno (34% della popolazione, 41% del territorio) il 9% del tempo, e per riferire quasi solo di mafia e malasanità.

Ogni forma di razzismo è funzionale a un vantaggio economico (se nero, non sei uomo, e ti uso come bestia). La discriminazione del Sud è documentata dall’ente statale Conti Pubblici Territoriali: ogni anno, almeno 61-62 miliardi (dieci ponti sullo Stretto di Messina) destinati al Sud sono rubati con trucchi vari e girati al Nord. Che si dice “locomotiva”, ma riduce la sua economia a un giro di soldi da Sud a Nord, spiega il presidente della Svimez, professor Adriano Giannola; così, mentre il resto d’Europa dal 2000 è cresciuto dal 18% (zona euro) al 38% (zona non euro), l’Italia è l’unico Paese rimasto fermo fra zero e zero virgola.

Il COVID-19 ha mostrato che il futuro è fuori dalle megalopoli, è recupero delle aree interne, lavoro da remoto. Questo, fra Sud e dorsale appenninica, comporterebbe l’immediata rivalutazione edilizia di borghi e paesi semivuoti (lo ha detto il ministro Franceschini). Alberto Quadrio Curzio e Marco Fortis, in L’economia reale del Mezzogiorno, dimostrano che se l’Italia non ostacolasse lo sviluppo industriale del Sud (già ora il suo patrimonio manifatturiero supera quello di Paesi come Finlandia o Danimarca), in pochi anni saremmo economicamente più forti della Francia e della Germania: primi in Europa. «Far crescere il Mezzogiorno», scrive il professor Sales, «è un affare per l’Italia intera». Il COVID-19 è venuto a dire: o questo, ora, o l’Italia si spezza per secessione del Sud.

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