Un’idea teatrale che vale più di un curriculum

In tempi di realtà virtuale, webinar, social network e curriculum con codici QR, può apparire anacronistico se non bizzarro che si usi una forma di comunicazione antichissima come il teatro per insegnare ai giovani come predisporsi a trovare lavoro. Certo, va detto che specialmente per i giornalisti è diventato di moda travalicare il media abituale e […]

In tempi di realtà virtuale, webinar, social network e curriculum con codici QR, può apparire anacronistico se non bizzarro che si usi una forma di comunicazione antichissima come il teatro per insegnare ai giovani come predisporsi a trovare lavoro. Certo, va detto che specialmente per i giornalisti è diventato di moda travalicare il media abituale e respirare la polvere del palcoscenico (vedi i vari Saviano, Travaglio e Scanzi) con la speranza di riuscire ad emulare campioni come Baricco e Paolini. Ma qua parliamo d’altro. Parliamo di uno spettacolo in chiave decisamente costruttiva incentrato sui temi del lavoro, della scuola e del cambiamento correlato a questi due mondi. Temi impegnativi, dunque. I due insoliti istrioni sono Pietro Paganini, 42 anni, docente di Business administration alla John Cabot University e Stefano Cianciotta, 45 anni, docente di Comunicazione di crisi all’Università di Teramo. La loro performance si chiama Allenarsi per il futuro ed è tratta dall’omonimo libro del quale sono autori. Si tratta di uno spettacolo interattivo, pensato per gli studenti, che ha uno scopo dichiarato da far tremare i polsi: analizzare come si evolverà il mondo del lavoro e di conseguenza far riflettere sulle possibilità che ha un giovane di affermarsi. Lo spettacolo si incammina lungo alcuni binari ciascuno dei quali varrebbe da solo un seminario universitario: l’inadeguatezza della scuola italiana, la centralità del ruolo dell’insegnante, il darwinismo dei lavori di fronte alla tecnologia, la riscoperta dell’importanza del gioco, la convinzione che il clima di apocalisse legato al futuro del lavoro sia un’invenzione giornalistica e per superarlo basti avere idee valide ma soprattutto farsi le domande giuste.

Paganini, come è nata l’idea dello spettacolo teatrale?

E’ nata da un produttore che ha partecipato alla presentazione del nostro libro. “Visto che di solito le presentazioni sono noiose – è stato il suggerimento – perché non fate un adattamento per il palcoscenico”? A questo punto il produttore ci ha presentato un vero professionista, Pietro Sparacino, che oltre ad essere un comico e regista è anche una Iena, cioè è uno degli inviati della trasmissione di Mediaset. O meglio, ad essere precisi è uno stand up comedian, un comico che parte nei suoi monologhi da una riflessione sociale e politica. Il suo ruolo è quello di rendere i temi del libro, che sono seri e “pesanti”, leggeri e piacevoli ponendoci domande e creando situazioni ironiche. Insomma ci alza la palla sul palcoscenico. La sua comicità non deprime i contenuti, al contrario li esalta.

Come fate a rivolgervi ai giovani che notoriamente hanno una soglia di attenzione bassissima?

Lo spettacolo è breve, dura poco più di un’ora, e presentando un formato teatrale riesce a coinvolgere il pubblico proponendo tematiche che sono molte care ai giovani, come il lavoro e la scuola. Rispetto alle conferenze tradizionali, devo dire che è un grande salto in avanti in termini di coinvolgimento di pubblico. Il linguaggio e il ritmo di un’opera teatrale coinvolgono l’audience rispetto alla tradizionale presentazione o conferenza.

Quant’è difficile per un professore universitario tararsi sul palcoscenico?

Difficilissimo. Il teatro crea un clima diverso, anche per chi è abituato a parlare in pubblico, in radio o in TV. C’è un rapporto più diretto col pubblico rispetto alla lezione, si è condizionati dagli spettatori che non vedi in faccia poiché hai le luci sparate contro quindi non puoi cogliere immediatamente le reazioni di chi ti vede anche se col tempo, dentro di te, nasce una specie di regista e arrivi a percepire se la platea è interessata o meno a quel che stai dicendo. La cosa più difficile è senza dubbio tenere il ritmo perché chi viene allo spettacolo lo fa per imparare, certo, ma soprattutto per divertirsi ed essere coinvolto. Il teatro poi, al contrario di quel che si pensa, ti limita nella gestualità: non puoi gironzolare sul palcoscenico a tuo piacimento come ad esempio fai in una classe, devi stare fermo e la tua gestualità deve accompagnare le battute; questo serve per richiamare costantemente l’attenzione costringendo lo spettatore a girare la testa.

Mi sembra di capire che una cosa del genere si metta in piedi solo se ci si rivolge ad un professionista dello spettacolo.

Sì, ci vuole un professionista che conosca il palcoscenico, la tipologia di scrittura e che sia in grado di fare la trasposizione del libro in una sceneggiatura teatrale. Qua davvero sono stati di grande aiuto Pietro Saracino e lo sceneggiatore Bartolo Scifo. Ci hanno insegnato i fondamentali per fare teatro, almeno questo genere, e soprattutto ci hanno allenato al ritmo, alla presenza scenica, e ci hanno fornito una serie di trucchi che da soli non avremmo mai scoperto.

Ora che ne farete di questo giocattolo?

L’idea è di portarlo nelle università ma soprattutto nelle scuole superiori per gli studenti del 4° e 5° anno: non necessariamente ci vuole un teatro ed essendo la scenografia volutamente leggera possiamo rappresentarlo tranquillamente in piccoli auditorium o al limite in palestre. C’è poi la possibilità di esibirsi in festival, eventi magari politici o sindacali o in convention aziendali. Di certo ci vorrà di nuovo uno sponsor. Sinora la Bosch (quella degli elettrodomestici) e l’agenzia di lavoro Randstad ci hanno finanziato la data iniziale a Roma, lo scorso marzo, tre indimenticabili rappresentazioni per ragazzi e studenti di aree terremotate (Ascoli Piceno, Pescara e Teramo) e l’ultima messa in scena all’università americana John Cabot, sempre nella Capitale.

Il più bel complimento ricevuto da chi ha visto lo spettacolo?

Primo, la sincera constatazione che non sono un attore ma rimango un professore. Secondo complimento, che l’opera invita a riflettere e il fatto che ciò avvenga ridendo della disoccupazione e dell’avvento dei robot nel mondo del lavoro significa che ci abbiamo visto giusto.

 

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