Vedere il mondo nelle corsie di un supermercato

Nel romanzo “Manodopera” di Diamela Eltit un negozio di commercio al dettaglio diventa lo specchio della società. Ecco la sua recensione.

Quando si pensa a un supermercato o a un qualsivoglia negozio, la prima immagine che viene in mente è quella della vetrina. L’allestimento, con oggetti sistemati in bella mostra e luci ben mirate, è una sorta di biglietto da visita dell’esercizio commerciale e serve ad attirare potenziali clienti. La gente si ferma sui marciapiedi e osserva, attraverso il vetro, invogliata a comprare.

Raramente si pensa a un negozio associandolo a una persona, a meno che quest’ultima non sia la proprietaria o il proprietario e goda di una certa notorietà. Tra gli scaffali, tra le corsie, nei magazzini, alle casse, ci sono però tante persone, che di quegli esercizi sono in realtà le vere e proprie anime: le commesse e i commessi.

In Manodopera i commessi diventano protagonisti di un romanzo

Nel suo esilarante libro Manodopera, l’autrice cilena di origini palestinesi Diamela Eltit dà voce a un commesso che ogni giorno lavora tra gli scaffali del supermercato e si confronta con le difficoltà del suo ruolo, con le diverse tipologie di clienti, con supervisori spietati e colleghi sempre più giovani e competitivi.

“Manodopera richiama immediatamente la condizione dell’homo faber, l’uomo che agisce sul reale e lo plasma, l’uomo capace di nominare la realtà che lo circonda, di farla essere, a sua immagine e somiglianza”, scrive nella nota critica la traduttrice Laura Scarabelli.

L’opera è anche un’istantanea della società moderna. Attraverso la descrizione dei clienti, visti dagli occhi del commesso protagonista, l’autrice restituisce l’immagine di una società frenetica, consumista, caotica, dove non ci si cura delle persone e ognuno va dritto per la sua strada. Le corsie del negozio diventano luoghi in cui osservare i comportamenti dei bambini, degli anziani, degli adulti.

I consumatori sono ritratti come persone che non rispettano il lavoro degli altri, ignorando gli sforzi compiuti dai commessi per sistemare, allestire, pulire i diversi reparti del supermercato; che toccano tutto senza grazia, che impediscono il passaggio di altri clienti. Fanno eccezione i “clienti migliori”, quelli che scelgono con cura i prodotti di qualità superiore, con prezzi poco appetibili, che però vengono beffeggiati dagli altri clienti.

Il racconto della tipica giornata di lavoro sembra una parabola della vita, dei difficili equilibri tra persone che hanno ruoli diversi, dello sforzo quotidiano per svolgere il proprio dovere e guadagnarsi da vivere, in un mondo pieno di contraddizioni. Di fronte a situazioni che non quadrano, mettere i prodotti in ordine diventa quasi l’unico modo di mantenere un equilibrio razionale, anche se la minaccia delle mani lunghe dei clienti genera subito preoccupazione.

“Non sono malato (in realtà) ma sono immerso in un viaggio di sola andata da me stesso. Ordino a una a una le mele. Ordino a una a una le mele. Ordino a una a una (le mele). Mentre ordino (a una a una) le mele, ormai entrate nella loro ultima fase commestibile, arrivo a comprendere che possiedo unicamente il mio aspetto laborioso, eretto di fronte al bancone profondamente industriale del supermercato (…). L’ultima mela potrebbe finire per distruggere l’onerosa piramide”.

Una narrazione corale per narrare il malessere del commercio al dettaglio

Il libro ha una narrazione bipartita: nella prima lo sguardo e il racconto sono a una sola voce, quella del protagonista; nella seconda, invece, emergono i profili, le storie personali, i difficili rapporti umani del gruppo di commessi che si trova a far fronte comune alle minacce esterne, ma che spesso fa anche i conti con tradimenti e scorrettezze interne.

“Ma noi resistevamo all’incredibile ondata di licenziamenti. Sembravamo indistruttibili. Gabriel era pallido. Sonia era pallida. Eppure, la nostra sofferenza sembrava non avere fine perché ora Isabel se ne era andata via con il bambino in braccio, arrabbiata, ferita, come se i tagli l’avessero sconvolta.”

Ciò che accomuna le due parti è certamente il malessere, la sofferenza, il dolore del protagonista che finisce per ammalarsi. Lo disturbano le luci, i rumori, la sua crescente infelicità. “La mia salute, in uno spazio ancorato a una realtà inafferrabile ma contundente, è diventata pietosa, turbata dall’incremento ciclico delle merci. Sì, sono stato sconfitto da un grandioso attacco di debolezza che, come ho già detto, corrisponde a una malattia lavorativa, un male strettamente tecnico provocato da un eccesso (inutile, come vedete totalmente inutile) di concentrazione mescolato alla mia ansia di perfezione”. Il protagonista osserva ciò che ha intorno e lo subisce, maturando improbabili strategie di resilienza che non sembrano davvero efficaci.

Un malessere che finisce per includere tutto ciò riguarda la vita del protagonista, e che arriva ad assumere contorni apocalittici: “Il mio desiderio (il mio ultimo desiderio) è di crollare in mezzo a un frastuono più che irriverente e trascinare con me una fila interminabile di scaffali, permettendo finalmente alle merci di lapidarmi”.

Quella di Diamela Eltit è un’opera che ribalterà lo sguardo dei lettori e che forse li aiuterà ad assumere un atteggiamento diverso quando entrano in un supermercato.

Perché leggere Manodopera

Una lettura necessaria, che cambia lo sguardo verso i commessi e i lavoratori dei supermercati e che offre al lettore spunti per immaginare quello che vivono tra le corsie e come si organizza il loro lavoro.

Le pagine di Diamela Eltit sollevano il sipario e mostrano i dietro le quinte dell’umanità che lavora nel mondo del commercio al dettaglio, ma soprattutto come i clienti vengono visti e percepiti da essa. Di sicuro, dopo aver letto Manodopera, si scoprirà tutto ciò a cui non si pensa quando si va a fare la spesa, ed entrando in un supermercato si rivolgerà uno sguardo più attento alle persone, non solo alle merci.

CONDIVIDI

Leggi anche