Viviamo l’era del cambiamento, ma serve davvero?

La parola più utilizzata in questo momento è cambiamento. Il cambiamento che ci sta intorno, che avanza per casa, che ci connette in modi ai quali non avremmo mai pensato. Ed è solo l’inizio. È la parola più utilizzata nelle camere degli italiani e nelle aule di formazione. Chi non cambia si estingue, se non cambia è finita. […]

La parola più utilizzata in questo momento è cambiamento. Il cambiamento che ci sta intorno, che avanza per casa, che ci connette in modi ai quali non avremmo mai pensato. Ed è solo l’inizio.

È la parola più utilizzata nelle camere degli italiani e nelle aule di formazione.
Chi non cambia si estingue, se non cambia è finita. E via con la metafora dei dinosauri, con il fatto che a vincere sono coloro che si sanno adattare (n.b.: in questo numero agli autori è stato chiesto, forse per lecita repulsione, di non utilizzare il termine “resilienza”).

Eppure, per quanto oggi possa sembrare che il cambiamento sia il valore per eccellenza, sempre positivo, la realtà e la storia insegnano il contrario.
Oddio, non esattamente il contrario. Il cambiamento è una grande cosa, ma bisogna valutarlo di volta in volta.

Cinque casi in cui il cambiamento è la cosa peggiore da fare

1) Non sempre c’è motivo per cambiare

Probabilmente la massima attribuita a Thomas Bertram Lance, è ancora vera: “Se non è rotto, non aggiustarlo”.

accenture

Quando Andersen Consulting si associò con Arthur Andersen, la cosa più intelligente apparve cambiare. Il nuovo nome, Accenture, sembrava una grande svolta verso il futuro, ma costò all’azienda oltre 100 milioni di dollari.

2) Il cambiamento non sempre è un bene

Un confronto impietoso è quello tra Coca Cola e Pepsi, al 2008. Come fa notare questa grafica vi è in un caso la rigidità che vince, dall’altro la flessibilità che perde.

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A proposito di Coca Cola e cambiamento: come non ricordare il 23 aprile 1985? In quell’occasione Coca Cola decide di cambiare la ricetta per eccellenza: è un disastro!

3) Il cambiamento non funziona, se non sei pronto (e se non ci credi)

Ne parlava ieri David Bevilacqua al Muster di FiordiRisorse a proposito di digitalizzazione, il cambiamento per eccellenza, che pare inevitabile: spesso cambiare è solo uno spreco di tempo e denaro, con risultati opposti alle aspettative. Una situazione ricorrente ad esempio sono le aziende che investono in infrastrutture It (o che aprono fatalmente allo smart working) senza che il management sia pronto e preparato. In questo caso il cambiamento è assolutamente negativo; è la manifestazione di come molte volte rispondere alle sollecitazioni, per giuste che siano, non porti nulla di buono. Non è un caso che le aziende con la crescita più veloce negli ultimi anni (Snapchat 1,5 miliardi di dollari in un anno) siano giovani e con il cambiamento incorporato, non forzato!

4) Il cambiamento deve sposare i valori

E qui c’è un altro aspetto della vicenda: se non se ne è convinti, non funzionerà. Possiamo pensare la cosa anche in ottica personale, senza fare riferimento a business miliardari o rebranding internazionali: siamo continuamente sollecitati al cambiamento, sin da piccoli. Eppure funziona di rado. “Devi fare così, non così. Devi pensare in questo modo, non in quest’altro. Non devi essere troppo generoso (o egoista…)”. Eppure la verità è una sola: rinnegare ciò che siamo è la cosa più innaturale e deleteria che si possa fare. Il cambiamento non è una levetta da abbassare al momento in cui pare opportuno. Il cambiamento o c’è o non c’è. O lo senti dentro, o niente.

5) Il cambiamento non deve tradire nessuno

Anche nell’era dei telefoni intelligenti ci sono due cose che urtano più di una puntata del Grande Fratello Vip: le persone stupide e le persone che non mantengono le promesse. Ecco, parliamo di promesse. Le promesse, per definizione, comportano mantenere la parola data, mantenere gli accordi, rendere gli scenari stabili, sicuri e privi di cambiamento. Per intenderci, è la storia del gatto nero e di quello che glielo dava bianco…

È ancora oggi la base del marketing (value proposition), ma anche di qualsiasi altra relazione. Cambiare per presunta opportunità, in risposta alle continue sollecitazioni, non è sempre un bene. Non lo è se non vi è un chiaro vantaggio che lo faccia pensare. Non lo è se significa rinnegare la propria storia, diminuire, eliminare o ritrattare una promessa fatta, al cliente o a qualsiasi altro interlocutore.

L’integrità, insomma, dove la mettiamo?

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Il cambiamento è diventato un valore tra i più importanti. Anzi: IL valore. Eppure mai come oggi bisogna interrogarsi su cosa si intenda per valore e che fine abbia fatto la coerenza. Che fine ha fatto la fedeltà nella sua forma più pura, quella ai propri valori, alla propria cultura, alla propria storia? Che cosa è accaduto all’integrità, che una volta era il valore per eccellenza e che oggi pare una cosa da vecchi – appunto, di chi non sa cambiare?

Già, cambiare; a prescindere, perché “questo è il momento”. E pazienza se qualcuno che si permette di domandare perché non riceve alcuna risposta.

 

Photo Credits © SomeDriftwood / CC BY-SA 2.0 (via Flickr)

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