L’ISTAT: povertà assoluta in aumento. E sembra solo l’inizio

Secondo il rapporto del 25 marzo dell’Istituto nazionale di statistica, la povertà aumenta soprattutto tra le famiglie del Nord e tra i lavoratori dipendenti. Un’analisi di quelle che paiono le avvisaglie di un fenomeno destinato ad acutizzarsi nel corso del 2024

28.03.2024
Povertà assoluta, un giovane clochard chiede l'elemosina riverso a terra

Una preoccupante stabilità. I dati ISTAT, usciti lo scorso 25 marzo, evidenziano una sostanziale costanza della curva in tema di povertà assoluta; una notizia che potrebbe sembrare, se non positiva, almeno accettabile. Peccato però che quella stabilità significhi 5.7 milioni di individui in condizioni di indigenza totale, pari al 9.8% delle famiglie italiane. Un indice che non lascia affatto tranquilli, a maggior ragione perché nel Nord, la locomotiva economica italiana, l’incidenza è salita di mezzo punto percentuale, arrivando al 9% contro l’8.5% dello scorso anno. Niente a che vedere con il 12.1% registrato nel Mezzogiorno, ma di certo un campanello d’allarme sullo stato di salute economica in generale.

Non a caso, quindi, nel 2023 la spesa media – considerando l’effetto inflattivo – è calata dell’1.8%. Non a caso, aggiungo, peggiorano le condizioni delle famiglie con un lavoratore dipendente come persona di riferimento. Il dato in questione parla del 9.1% di famiglie in crisi, nei fatti quasi un milione di nuclei.

Che cosa significa tutto ciò?

Limitandoci all’ultimo elemento citato, il pensiero vola ovviamente ai salari dei subordinati. Tra il 1991 e il 2022, secondo il rapporto INAPP di fine 2023, gli stipendi sono rimasti sostanzialmente al palo, con una crescita dell’1% a fronte del 32.5% registrato nell’area OCSE. Va bene quindi parlare di bassa produttività del lavoro, ma è di certo più opportuno soffermarsi sul capitolo retribuzioni.

Lavoratori dipendenti a parte, il capitolo misure di sostegno rivoluzionato dall’attuale esecutivo mostra già le prime crepe. E questo nonostante il racconto edulcorato e non approfondito degli addetti ai lavori, restii a delineare i confini di un potenziale disastro. Andiamo con ordine.

Dentro i numeri della povertà assoluta: misure di sostegno insufficienti, nessuna politica attiva, crescita degli inattivi

L’Assegno di Inclusione, secondo INPS, lo prende un numero di nuclei pari a 600.000; ben 150.000 in meno rispetto agli obiettivi. Obiettivi che già non erano particolarmente ambiziosi, visto che un anno fa i nuclei percettori del Reddito di Cittadinanza erano almeno il doppio. Inoltre, causa lungaggini burocratiche, solo 288.000 nuclei hanno percepito l’assegno nel mese di gennaio. Uno dei maggiori problemi si è verificato con la certificazione ISEE, per la quale il Governo ha tenuto conto delle somme percepite tramite Reddito di Cittadinanza o assegno unico, aumentando di fatto le fasce del dichiarato.

E poi la massa degli occupabili, esclusi dalla misura di inclusione e proiettati in un vortice di politiche attive fantasma. Il Supporto Formazione Lavoro, che garantisce per dodici mesi 350 euro di indennità, si attiva tramite una piattaforma telematica, difetto organizzativo già riscontrato con ANPAL e reiterato dalla ministra Calderone. È risaputo, infatti, che questa platea vive un tema importante di bassa scolarizzazione e digital divide. Non stupisce, quindi, che le domande accolte nel primo trimestre siano abbondantemente sotto le 100.000 unità, e che le indennità corrisposte non arrivino nemmeno a 30.000.

Senza contare le questioni di contenuto. Davvero questi corsi rappresentano una leva fondamentale per il ricollocamento di persone escluse, anche da decenni, dal mercato del lavoro? Lungi da me l’idea di inoltrarmi in riflessioni utopistiche. Mi basta sottolineare quanto accade in Sicilia, dove fino a fine febbraio ancora non era partito un solo corso, tra le proteste generali.

Infine, gli inattivi. A fronte della fantomatica crescita occupazionale, in parallelo viaggia anche l’aumento dei cosiddetti NEET. Sempre meno persone cercano lavoro o studiano, soprattutto nella fascia tra i 15 e i 49 anni. Rispetto allo scorso anno si evidenzia un più 0.5%, pari a 61.000 persone. Il tasso complessivo di inattività sale al 33.3%.

Tutte considerazioni che motivano il piano inclinato verso la povertà assoluta. Urge attività di prevenzione seria e rimedi concreti. Non semplici bandiere politiche.

 

 

 

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Photo credits: cisl.it

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