Ad ognuno il suo lavoro

Il contesto è uno dei più frequenti: evento sul tema della comunicazione (digitale o non) in cui vengono invitati i nomi più in vista fra i personaggi della rete a portare casi, coordinare workshop, condividere informazioni. O così dovrebbe essere. Da Milano a Bari ogni anno se ne vedono tantissimi. Social Media Week, Digital Qualcosa, […]

Il contesto è uno dei più frequenti: evento sul tema della comunicazione (digitale o non) in cui vengono invitati i nomi più in vista fra i personaggi della rete a portare casi, coordinare workshop, condividere informazioni. O così dovrebbe essere. Da Milano a Bari ogni anno se ne vedono tantissimi. Social Media Week, Digital Qualcosa, Hackaton sulle spiagge e Workshop nei coworking.

Ed è a uno di questi che ti ho rivista ancora. Quel look finto business a schermare la tua bella presenza di cui sei perfettamente consapevole (perché “prima di tutto si deve notare la tua professionalità”, nonostante l’acconciatura tradisca qualche semestre di spazzolature) e non lo mandi a dire, un pò snob un pò guru del genere “adesso vi indottrino, plebei”, microfono in mano (tenuto con molta più sicurezza di quel signore che è venuto prima, che parlava decisamente peggio ma trasmetteva anni e anni di studio e conoscenza del suo argomento) e probabilmente aiutata da un paio di amici che se ne intendono di public speaking.

La prima slide è una marchetta. C’è una cosa purtroppo, che unisce i freelance delle nostre due generazioni (la mia e la tua), quelli che non hanno referenze adeguate e un background di conoscenze indiscutibili: lo scivolone sulla marchetta.

Regola numero 7 del freelance: “Fatevi comprare attraverso ciò che raccontate, non vendetevi prima di aver raccontato qualcosa”

Regola numero 7/bis del freelance estremo: “Nell’ultima slide non mettete nemmeno i vostri riferimenti, fatevi inseguire!” [non è vero, è una provocazione]

Un pò come quel pugile che per tre settimane di fila provoca l’avversario in televisione e sui giornali e poi finisce knock out al primo round. Poco elegante, brutta figura.

Il freelance senza intelligenza sociale

L’intelligenza sociale è quella caratteristica per la quale qualsiasi cosa tu dica o proponga fa riferimento al contesto in cui operi. Un convegno sull’ “estensione vocale di Stevie Wonder” al Congresso del KuKluxKlan per esempio non denota una grande intelligenza sociale. Così come voler vendere un servizio ad un festival dove le persone intervengono per imparare qualcosa, per condividere informazioni o anche solo perché appartengono ad un argomento comune.

Dalla seconda slide in avanti sei riuscita a fare di peggio: a presentarti come grande esperta di turismo sciorinando dati su dati riguardo la percezione degli utenti on line, le conversazioni in rete, la reputazione, (lo storytelling!) portando case history di regioni tranne quella in cui stai facendo l’intervento. Capisco, era una presentazione “standard”. Chissà quante volte l’hai già fatta vedere in giro.

Però se si viene invitati ad un evento importante, oltre a cambiare la data e il luogo della prima slide, bisognerebbe quantomeno centrare i contenuti.

E poi, l’unica domanda che arriva dal pubblico. Riguarda gli strumenti. “Con quali strumenti analizzate questi dati, restituite ai vostri clienti le informazioni su cui poi loro spenderanno migliaia di euro per importare una strategia di marketing e commerciale?”

E qui l’imbarazzo è totale, come la tua impreparazione e la presunzione di credere che in sala tu sia l’unica a conoscere l’argomento.

A ognuno il suo mestiere

Il punto è esattamente questo. Quanto spende un “cliente” per acquistare una consulenza? In generale qualche migliaia di euro, un budget assolutamente accessibile e alla portata di qualsiasi imprenditore che voglia ogni anno far fare un gradino in più alla sua azienda: comunicazione, vendite, project management, organizzazione sono i temi più frequenti e proprio per questo quelli più inflazionati.

Ma la vera spesa sta nell’investimento successivo. Nei soldi che investirà in strategia sulla base della consulenza acquisita. Sbagli consulente, sbagli strategia. Sbagli strategia, butti via i soldi.

Non è una questione di “categoria”

Ci tengo a precisarlo, non mi piacciono gli sbarramenti all’entrata. Mi piace collaborare con i miei competitor, lo faccio da anni e credo che sia valore aggiunto per tutti. Si impara sempre da qualcuno e non c’è niente di male a chiedere ad altri “come fare per”. E’ l’unico modo per crescere ed imparare.

L’altro modo è quello di fare corsi, di aggiornarsi, di apprendere nuovi strumenti con cui fare il mestiere di sempre, perché sia chiaro, non vanno bene nemmeno quei consulenti che sono stati guru in un periodo storico in cui non c’era concorrenza, ma rimasti ancorati ad un mondo e a un mercato che non esiste più. Fanno danni anche quelli.

Non è una questione di categoria. Ma se parlo di Risorse Umane è sotto gli occhi di tutti come l’improvvisazione sia la caratteristica più evidente, al netto delle critiche. Parliamoci chiaro, LinkedIn è diventato una sorta di sfogatoio dei candidati. Alcuni hanno ragione, ma altri non saprebbero vendere un ghiacciolo nel deserto!

Ciò che faccio notare costantemente ai candidati che si lamentano su LinkedIn di essere stati trattati con superficialità da qualche recruiter è quanto sia inspiegabile che, dovendo acquistare un telefonino o una lavatrice, tutti noi siamo bravissimi a fare ricerche on line e conoscere tutti i modelli, le marche e le caratteristiche dei prodotti. Perché quando dobbiamo affidare il nostro curriculum o la nostra vita professionale in generale non facciamo altrettanta ricerca per vedere chi ci ha contattato, che esperienza ha e spesso e volentieri anche cosa si dice di quella persona?

Il tema del lavoro e del ricollocamento in generale è uno dei più delicati ma è anche quello in cui non c’è un “pezzo di carta” a supporto della professionalità. Proprio per questo un territorio particolarmente accessibile a “operatori di settore”  in cui è facile trovare persone impreparate o anche solo disoneste. Quanti di voi sono stati contattati per un lavoro e poi gli è stato proposto un corso di formazione? A quanti sono stati proposti percorsi di outplacement o orientamento professionale giocando sulle vostre debolezze e difficoltà e quanti di questi si sono rivelati davvero strategici, con una vera rete di aziende a supporto o un networking di qualità con cui farvi confrontare?

Non è necessario rispondiate. Tuttavia capita nel mio settore, ma capita di certo anche nel vostro: il cliente non indaga su chi è il suo consulente. Si fa suggerire da un amico, da un collaboratore, copia il competitor o, peggio, conta i like su Facebook.

I lavori senza pezzo di carta

Il Guru lavora bene sui lavori “fai da te”, quelli dove non è necessaria una laurea, un diploma e a volte in cui basta solo un attestato. Il social media marketing è uno dei terreni più rischiosi. Quanti consulenti di social media marketing hanno studiato marketing? Tutti sono in grado però di aprire una pagina Facebook. Ma il cliente ha bisogno di un aiuto sui social media o ha bisogno di una strategia di marketing applicata ai social (un medium, per l’appunto). E dunque non è un caso trovare consulenti come quella descritta all’inizio dell’articolo.

Ma i guru delle strategie digitali sono andati oltre, sostituendosi agli esperti di vino, di cibo, di turismo. Che non c’è niente di male, perché quando Rosanna Perrone ha dovuto affiancare Trigano nel progetto Camperista.it credo che non avesse visto nemmeno una tenda in vita sua, ma ha avuto il buon gusto di studiare con l’azienda, scambiando lei con loro tecniche di social media marketing, loro con lei tutte le informazioni tecniche e gli studi di settore. Imparando gli uni dagli altri.

Pare che Rosanna oggi viva in un camper e trascorra le sue giornate a grigliare salsicce con campeggiatori di tutto il mondo.

Consulenze Strategiche e Internazionalizzazione fai da te

Stesso vale per le consulenze strategiche. Si può impostare una riorganizzazione aziendale, manomettere organigrammi, spostare persone dai propri ruoli senza avere un background definito in ruoli di operations o aver addirittura mai lavorato in un’azienda? In questi anni sono saltati posti di lavoro grazie a consulenti strategici, sono stati spostati interi siti produttivi all’estero perché nessuno aveva previsto che i costi della logistica sarebbero aumentati, che il costo del lavoro troppo basso avrebbe chiaramente fatto crescere la domanda interna di alcuni Paesi (Cina, Polonia, Romania su tutte) creando delle percentuali di turn over fuori regola, ma soprattutto che certe lavorazioni avevano bisogno di professionalità molto specifiche senza le quali macchinari e organizzazioni non avrebbero funzionato.

Arrivano, piazzano centinaia di slide su una scrivania, le chiamano processi e tutta l’azienda si deve riconfigurare su qualcosa che non le appartiene o che è stato progettato a tavolino senza anima. Lo chiamano change management e l’unica cosa che non cambia mai sono quelle slide!

Per non parlare dell’internazionalizzazione fai da te, suggerita da alcune società molto promosse anche da istituzioni e associazioni di categoria,  pensando di andare a colonizzare i barbari, tornate indietro con la coda fra le gambe. In inglese si chiama Re-shoring. Peccato che l’America stesse tornando indietro nello stesso anno in cui l’Italia organizzava le partenze e nessuno ha pensato di chiedere: “com’è andata”? Avremmo risparmiato lacrime e sangue.

Motivatori, Scrittori e Professori

E infine, fra i Guru senza pezzo di carta ci sono i motivatori, quelli che spopolano sui video della rete, quelli con le librerie sfumate sul retro, i detentori dei segreti della vendita, quelli che conoscono il sesto segreto di Fatima su come diventare numeri uno. Hanno soppiantato i formatori. Persone che hanno una vera esperienza in quel campo e che sanno accompagnare le Persone attraverso un percorso. Invece oggi è più facile parlare alla pancia, scatenare sentimenti di contrasto o convincere persone che non sono in grado per costituzione, natura e carattere, che “se vuoi, puoi”.

Purtroppo non è così. Non basta volere le cose per poterle fare. Soprattutto sul lavoro, come nello studio, bisogna seguire le proprie attitudini. Se vuoi, puoi diventare un mediocre in un contesto in cui troverai sempre persone che per attitudine riusciranno a fare naturalmente cose per le quali tu dovrai sforzarti e soffrire il doppio. I formatori, quelli veri, riescono a capire in cosa tu sia invece una Persona speciale, quali siano le tue attitudini e ti sanno orientare verso strade che spesso non conosci.

Un vero formatore deve saperti insegnare – se necessario –  ad essere un ottimo follower, non è mica necessario che siano tutti leader!

I motivatori da libreria sfocata e i super esperti di vendite raccolgono migliaia di consensi. A nessuno piace sentirsi dire di non essere in grado di poter fare qualcosa. A tutti piace sapere che il problema non sono loro, ma il mondo intorno. Peccato che così sia più poetico, ma non funzioni.

Alcune case editrici hanno scoperto che Facebook è una fonte di clienti preziosissima. Esistono intere collane dedicate ad autori che riescono ad essere più prolifici di Stephen King ma con i contenuti di Liala. Oggi si paga per scrivere libri e i libri diventano una sorta di attestato di competenza. “Ho scritto un libro, quindi ne so”. Si cerca un consulente su Google e si scopre che ha scritto un libro, quindi ne sa.

Mi sto apprestando a scrivere due o tre libri anch’io.

E infine, i Professori. Non è raro che le Università, in evidente stato di emorragia da iscrizioni, abbiano innestato in corsi tradizionali guru innovativi. Le lezioni planano dall’Aula Magna direttamente su Facebook sotto forma di selfie. Tornare all’università in cui ci si è laureati (o ancor meglio non-laureati) sotto forma di docente è la grande goduria di ogni socialmediacoso prestato alla cultura. Anche qui, il vero costo lo sostengono gli studenti. L’Università in questo cambio di passo acquisisce docenti a progetto con costi inferiori e contenuti infimi, ampia esposizione mediatica (e quindi pubblicità) gratuita ma a pari costo per chi deve pagare.

Non credo, dal mio punto di vista, che l’innovazione o l’evoluzione del lavoro sia questa. Credo nella contaminazione dal basso, ma non al ribasso, quando si sostituisce la competenza con l’arte di arrangiarsi. Non credo che siano questi i nuovi territori di collaborazione. Credo invece nell’evoluzione delle competenze, nell’aggiornamento delle professioni.

Il Professore che piace a me deve conoscere ed usare i nuovi strumenti e i nuovi canali di comunicazione se vuole parlare a generazioni successive. Deve condividere la propria conoscenza ma deve saperla veicolare in maniera attuale. Tuttavia è decisamente peggio conoscere solo gli strumenti senza una vera cultura alle spalle. I manager, gli esperti, i professionisti, allo stesso modo devono evolvere.

Come quei quattro figli di buona donna a Masterchef che hanno capito l’importanza di uscire dalle cucine e parlare alle persone, mettere a loro disposizione tutti gli anni di gavetta e di studio e condividerla, contaminarla, portarla sui canali di comunicazione più moderni.

Non so voi ma io, in cucina, voglio trovarci uno chef.

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