Brescia, vent’anni dopo il caso della Caffaro scoperte altre ottanta sostanze inquinanti: il territorio non guarirà mai. L’esperto Marino Ruzzenenti: “L’aristocrazia operaia dell’azienda fu connivente”.
Strage di Bargi, Suviana: quant’è difficile parlare di morti sul lavoro
La strage nella centrale idroelettrica di Bargi, sul lago di Suviana, ha sollevato un’indignazione che rimarrà senza esito: le indagini fanno presagire che per una volta possa non trattarsi di errore umano o infrazione delle norme. Ne parliamo con Vittorio Rubini di FILCTEM
Parlare di morti sul lavoro significa sempre parlare di ingiustizie, di qualcosa che va quasi contro natura: bisognerebbe lavorare per guadagnarsi da vivere, non per guadagnarsi da morire. Ma affrontare questo argomento significa anche parlare di quanto sia complicato fare informazione intorno a questi episodi, di quanto sia difficile tenere a bada lo sdegno, l’emotività, la rabbia istintiva, per fornire invece un racconto obiettivo.
Difficile parlare con serenità di come un giorno ci si alza, si saluta la famiglia, si va al lavoro e poi non si torna più a casa. Difficile non cadere nella tentazione di imputare sempre la responsabilità alla mancanza di sicurezza, alla violazione delle norme, allo sfruttamento del lavoro precario.
È la cronaca a insegnarci che, nella maggior parte dei casi, sono proprio queste le cause delle morti sul lavoro. Bisogna fare uno sforzo per ammettere che, a volte, la tragedia arriva anche se le norme di sicurezza sono rispettate e le professionalità in campo sono le più alte a disposizione.
Sembra essere il caso del recente incidente alla centrale idroelettrica di Bargi sul lago di Suviana, impianto gestito da ENEL Green Power, costato la vita a sette lavoratori.
Bargi, la strage nella centrale idroelettrica tra il dolo e la fatalità
Sebbene le indagini siano ancora in corso e si sia ben lontani dall’avere un quadro esatto delle cause e della dinamica del disastro, sembra che esso non sia ascrivibile a incuria o scarsa sicurezza.
Niente a che vedere, quindi, con incidenti come quello di Brandizzo dell’agosto 2023, dove cinque operai sono morti travolti da un treno mentre lavoravano alla manutenzione dei binari nella stazione ferroviaria perché era prassi che le operazioni si svolgessero nonostante il passaggio dei convogli. O quello costato la vita a Luana D’Orazio, trascinata, nel maggio del 2021, nell’orditoio al quale lavorava perché la macchina era stata manomessa, con la rimozione del sistema di protezione, al fine di poter lavorare alla massima velocità.
Nulla di tutto questo, a Bargi non si può parlare di dolo, ma neppure di fatalità. La verità, probabilmente, sta in mezzo, ossia nella colpa (non è un caso che la Procura di Bologna abbia aperto un’indagine per disastro e omicidio colposo), nel malfunzionamento dei macchinari.
Ma che cosa sappiamo, fino qui, di quanto è accaduto alla centrale gestita da ENEL Green Power?
Le ipotesi sull’origine dell’incidente
Dopo mesi di manutenzione e ammodernamento, erano in corso le operazioni per riaccendere le due grandi turbine da 165 megawatt alla base della più potente centrale idroelettrica d’Italia. La prima era già stata accesa ed erano in corso le operazioni per riavviare anche la seconda.
L’esplosione costata la vita ai sette lavoratori è stata preceduta, secondo il racconto dei sopravvissuti, da un frastuono immenso proveniente dai piani bassi dell’enorme struttura in cemento armato. L’unico punto in cui si trovano grandi quantità di olio è nell’alternatore, un gigante che permette all’energia cinetica generata delle turbine a pale spinte dall’acqua di trasformarsi in energia elettrica. In questo caso si tratta di un macchinario di 150 tonnellate che viaggia a 370 giri al minuto grazie a cuscinetti che devono scivolare sull’olio per creare meno attrito possibile. È lì che è avvenuta l’esplosione? O è scoppiata la turbina, che ha poi trovato prodotti combustibili che hanno innescato la deflagrazione?
Secondo gli esperti, per spiegare la reale dinamica dell’incidente la difficoltà principale risiede proprio nel capire dove si è generato l’evento scatenante.
“Ci sono stati più eventi, che chiamano in causa quattro aree di competenza: meccanica, elettrica, idraulica e edilizia”, spiega Vittorio Rubini, delegato sindacale FILCTEM (Federazione Italiana Lavoratori Chimica Tessile Energia Manifatture) di Bologna. “La ricostruzione dei fatti, ancora in fase di accertamento, ipotizza che l’elemento scatenante sia stato un incidente meccanico a carico dei cuscinetti dell’alternatore, che a sua volta ha coinvolto l’olio di lubrificazione che ne permette il funzionamento. A quel punto si sarebbe prodotta una reazione chimica che ha incendiato l’olio, provocando l’esplosione che ha fatto crollare il soffitto del piano -8. Questo cedimento avrebbe fatto collassare l’alternatore, determinando così il crollo della paratia e il conseguente allagamento. Ciò che non sappiamo è che cosa abbia scatenato l’esplosione e perché i sistemi di sicurezza e le protezioni automatiche non abbiano funzionato come avrebbero dovuto”.
Esternalizzati, ma con alta qualificazione: i subappalti nel caso di Bargi sono un’anomalia di lusso
Seppure a Bargi non sembri avere avuto un ruolo nella tragedia, il tema dei subappalti è un punto sempre molto sensibile quando si parla di morti sul lavoro.
“Non siamo in una casistica assimilabile a quella verificatasi a Brandizzo, dove c’è stata una colpevole omissione di qualsivoglia norma e prassi di sicurezza” prosegue Rubini. “Non siamo neppure davanti al caso di un committente che vuole massimizzare i profitti grazie all’abbattimento dei costi garantiti dal subappalto, perché tutte le figure appartenenti ad aziende terze, dai titolari ai dipendenti, ingaggiate per le operazioni di collaudo a Bargi sono altamente qualificate e retribuite. Al contrario di quanto avviene nell’edilizia, dove i lavoratori in subappalto sono destinati a mansioni di basso profilo, qui paradossalmente la parte subappaltata è quella più qualificata. I lavoratori esternalizzati sono tutti ingegneri, quindi in questo caso non si può parlare di lavoro precario, in nero o sottopagato. Sebbene sia una prassi affidarsi ad aziende terze per lavori di questo genere, resta comunque un’anomalia, perché la progettazione e il coordinamento dovrebbero essere in capo al gestore”.
Se spessissimo gli incidenti mortali capitano proprio ai lavoratori esternalizzati, perché non in regola o non formati o costretti a lavorare in totale assenza di misure di sicurezza, in questo caso il problema è un altro. Nel 2029 scadranno le concessioni per la gestione delle centrali idroelettriche e le Regioni indiranno nuovi bandi per le future assegnazioni. La conseguenza di questa prospettiva è una contrazione degli investimenti, perché non c’è certezza che ENEL riotterrà la concessione della gestione delle centrali.
“È un fatto che ENEL Green Power abbia ridotto gli investimenti per il prossimo piano industriale”, dice Rubini. “Le criticità, nella fattispecie, riguardano l’incertezza normativa che coinvolge concessioni ed esternalizzazioni e la scelta di ENEL Green Power di non tramandare ai giovani interni all’azienda le competenze più qualificanti”.
Non una dolosa elusione delle norme di sicurezza, dunque, o una politica di massimizzazione dei profitti, o un errore umano, l’imperizia di lavoratori poco formati; all’origine di questa nuova tragedia potrebbe esserci un problema di fabbricazione o installazione non imputabile al fattore umano.
Una nota a margine, che fa riflettere su come le aziende siano consapevoli che su certi temi si gioca buona parte della propria credibilità: dopo tre mesi di contrattazione e alla vigilia di due manifestazioni nazionali, previste per il 30 aprile e il 2 maggio e ora revocate, ENEL e sindacati hanno chiuso positivamente lo scorso 24 aprile una vertenza che ha riguardato, tra le altre cose, l’esternalizzazione della rete distributiva. Forse si tratta di pura suggestione, ma con ogni probabilità non si pecca di malizia a pensare che, accendendo i riflettori sull’azienda e richiamando l’attenzione sul tema del subappalto, la tragedia di Bargi, ancora così vicina e bruciante, abbia contribuito al raggiungimento dell’accordo.
L’articolo che hai appena letto è finito, ma l’attività della redazione SenzaFiltro continua. Abbiamo scelto che i nostri contenuti siano sempre disponibili e gratuiti, perché mai come adesso c’è bisogno che la cultura del lavoro abbia un canale di informazione aperto, accessibile, libero.
Non cerchiamo abbonati da trattare meglio di altri, né lettori che la pensino come noi. Cerchiamo persone col nostro stesso bisogno di capire che Italia siamo quando parliamo di lavoro.
Photo credits: necrologie.lasentinella.gelocal.it
Leggi anche
La durata media dei procedimenti penali sugli incidenti lavorativi supera molto spesso i sette anni e mezzo previsti, con la riforma Cartabia ad aggravare la situazione, e le poche condanne sono tutt’altro che esemplari. In questo scenario, il ministero della Giustizia non diffonde informazioni statistiche sull’esito dei processi
Venerdi 5 agosto l’ispettorato del lavoro visita il cantiere del Jova Beach Party individuando 17 lavoratori in nero