Bologna, vera capitale del lavoro

Bologna capitale del lavoro: il capoluogo emiliano si candida a rappresentare i diritti di una nuova generazione di professionisti all’alba dell’era del 4.0

La manifestazione
nazionale del primo maggio si terrà a Bologna

La scelta non è casuale. Dopo diciassette anni la città
di Bologna tornerà a essere il palcoscenico
nazionale sui temi del lavoro
. L’ultima volta fu nel 2002, in reazione e
risposta a un evento drammatico che è entrato a far parte della memoria
collettiva della comunità bolognese: l’assassinio del giuslavorista Marco Biagi. Questa volta la scelta di
Bologna da parte delle organizzazioni sindacali vuole invece essere un
riconoscimento importante alla cultura
del lavoro
espressa dal nostro territorio. 

Per il valore che esso produce (automotive, meccatronica,
manifatturiera, biomedicale, packaging), in controtendenza rispetto a una
produzione industriale che oggi, in Italia, più che “dematerializzarsi” sulla spinta della rivoluzione di industria 4.0,
sembra “evaporarsi” a causa di
sterili dibattiti politici e accademici sulle misure dei diversi governi che si
succedono alla guida del Paese, dimenticandosi che il lavoro lo crea l’impresa,
non la politica. 

Per l’attenzione alle donne, che non si misura tanto nell’essere la prima città italiana per tasso di occupazione femminile, ma per la volontà di diventare la prima città europea senza gender gap, attraverso gli investimenti nelle scuole, negli asili e nel welfare aziendale; e poi con la sperimentazione dello smart working anche nella pubblica amministrazione, la riduzione del costo salariale delle donne under 35, il bilancio di genere nelle aziende.

Per la tutela ai
diritti dei lavoratori più deboli
: quelli ad alta intensità di manodopera e
a basso contenuto di conoscenza, che senza un processo di formazione continua
rischiano di essere spazzati via da nuovi processi tecnologici; quei lavoratori
“invisibili” della gig economy, dove
il ritorno al cottimo rischia di essere il metodo (molto vecchio e poco
innovativo) in cui le piattaforme digitali, attraverso gli algoritmi, scaricano
il rischio imprenditoriale sul costo del lavoro. 

Per l’idea che il
lavoro crei inclusione
: dai lavoratori svantaggiati, ai fragili, agli
immigrati, nella convinzione che il reddito da lavoro (non il reddito di
cittadinanza) renda le persone autonome e libere. 

Per l’idea che le politiche
attive del lavoro
si debbano fare insieme:
imprese, sindacati, istituzioni, associazioni del terzo settore.

Per l’idea che le politiche attive del lavoro si debbano fare insieme: imprese, sindacati, istituzioni, associazioni del terzo settore.

Ciò che Bologna ha già ottenuto

Questi non sono solo buoni propositi: sono precise scelte
politiche che hanno come conseguenze azioni concrete. Basti pensare al Patto per il Lavoro siglato in Regione
ER nel 2015. Alla Carta dei diritti
fondamentali dei lavoratori digitali
nel contesto urbano, il primo accordo europeo sulla gig economy. A
Insieme per il lavoro”, dove il comune
e la Città metropolitana, insieme alla Curia, alle organizzazioni sindacali e a
50 imprese presenti nel board, hanno portato nel 2018 a oltre 250 inserimenti
lavorativi di persone fragili e disoccupati di lunga durata, partendo dai
bisogni delle imprese e dai bisogni delle persone per fare matching aziendale,
senza piattaforme digitali e navigator.

Al Protocollo Appalti
del Comune di Bologna
, attualmente in fase di revisione, che valorizza la
clausola sociale per la salvaguardia occupazionale e per gli inserimenti
lavorativi di persone fragili, evita il massimo ribasso negli appalti e
contrasta le infiltrazioni mafiose che
sono ormai una realtà anche per questo territorio, come dimostra il recente
processo “Aemilia”. 

Ai Protocolli di sito
che estendono le nostre regole sugli appalti anche alle società partecipate del
comune e a quelle società private, come dimostrano i recenti casi di
Interporto, Autostazione, Aeroporto, Fico, in cui lavorano migliaia di
persone. 

Certo, nemmeno qui è tutto perfetto. Crogiolarsi sui buoni risultati, appiattirsi su un ragionamento “contabile” e non di visione strategica, confortarsi rispetto a chi in Italia sta peggio e non confrontarsi con chi in Europa sta meglio, è il grande rischio che corriamo anche in questo caso.

Ciò che ancora resta da fare

Ci sono tantissime
cose da fare
. C’è una cultura da difendere di fronte al rischio di tornare
a scelte del passato, in cui si vietava l’ingresso di esterni nelle
aziende. Ci sono le resistenze di alcune multinazionali che fanno del low
cost
il loro unico modello di business, e che attraverso il dumping sociale
finiscono per depredare il territorio senza lasciare valore aggiunto. C’è il
bisogno di proteggere la dignità del lavoro e la qualità del lavoro rispetto al
rischio di creare una guerra tra nuovi
poveri
.

C’è da promuovere una contrattazione
integrativa di secondo livello
che favorisca il dialogo sociale e migliori
le condizioni economiche dei lavoratori rispetto ai contratti collettivi
nazionali. C’è da rispondere ai bisogni di chi un lavoro ce l’ha e vuole
cercare una nuova occupazione, non
tanto per migliorare la propria situazione reddituale, ma per trovare un
migliore equilibrio tra la vita personale e la vita professionale.

Per questo il sostegno e l’adesione a iniziative come quella
del Festival sulla Cultura del Lavoro di
Nobìlita
vanno per noi oltre il dato formale di un patrocinio da parte di
un ente pubblico. È la condivisione dei valori fondanti del viaggio nella
trasformazione che sta cambiando rapidamente e profondamente il mondo del
lavoro. Una trasformazione radicale che richiede un nuovo linguaggio, un nuovo
paradigma culturale, nuovi protagonisti. 

La città di Bologna si è caratterizzata negli ultimi anni per essere diventata una città di destinazione turistica. La prossima sfida è quella di renderla città di destinazione di vita per talenti nazionali e internazionali che hanno voglia di investire sul futuro e di ricercare un nuovo equilibrio tra tempi individuali e tempi di lavoro, tra destino personale e destino comune.

Photo by Samuel Zeller on Unsplash

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