Bruno Mastroianni: “Green pass, il dibattito è già compromesso”

La discussione tra no-vax e pro-vax infuria ma non va da nessuna parte, investendo anche il dibattito sulla certificazione verde. I due schieramenti sono sempre più polarizzati: dove stiamo sbagliando?

Nello scontro pro-vax vs no-vax (e della sua versione aggiornata pro/contro Green pass) siamo di fronte al tipico fenomeno di contrapposizione che rischia di impedire la discussione.

I no-vax fanno ricorso sostanzialmente a prese di posizione incentrate su valori basilari: libertà di scelta, tutela della propria incolumità, sospetto verso ciò che è deciso “dall’alto”. La ragione è abbastanza semplice: questi valori sono naturali e spontanei, diremmo istintivi, i primi che si presentano come fondamentali da difendere per chiunque. Altri valori come il riconoscimento dei propri limiti, l’apertura all’altro, la fiducia sociale, sono come di secondo livello e appartengono al concetto di cittadinanza: richiedono un certo percorso per essere riconosciuti e vissuti.

Qui il paradosso della contrapposizione: i pro-vax che, dall’altro lato, dovrebbero essere i sostenitori del percorso che porta a maturare i valori altruistici, si pongono spesso sulla linea del mero rifiuto antagonistico di qualsiasi istanza che non rientri in un’accettazione piena e completa della loro prospettiva.

Una forma di moralismo che, per difendere valori altruistici e di cittadinanza, si dedica a stigmatizzare e condannare le posizioni altrui senza possibilità di appello. Lo fa con modalità di dominanza – dando per assodata la superiorità morale delle sue idee – e di discredito: tende a disprezzare tutto ciò che viene dalle posizioni basiche degli altri. Diventa insomma il perfetto contraltare che non disinnesca lo scontro, ma anzi alimenta il sistema spettacolare del litigio.

La distinzione è diventata così polarizzante da sovrapporsi al dibattito sul Green pass, che con i vaccini ha a che fare solo in modo collaterale: è fin troppo facile veder bollare come “complottismo no-vax” i rari tentativi di discutere una misura che riguarda l’ambito giuridico e sociale prima di quello sanitario.

In mezzo ci sono i cittadini che si schierano ora da una parte ora dall’altra in base alle loro posizioni pregresse e non a seguito di un dibattito che, di fatto, rischia di non avvenire.

No-vax vs pro-vax: la vera vittima è il dibattito

Questo continuo spettacolo ha successo e raccoglie visibilità a tal punto che viene ricercato anche quando non c’è: sono state grottesche le scene delle presunte manifestazioni no-vax in cui c’erano più telecamere che manifestanti. Il problema è che per assistere a questa specie di show si paga il biglietto più salato: la perdita di fiducia.

Per i pro-vax il sentirsi superiori e costantemente schierati contro un nemico fa perdere la capacità di riconoscere la presenza di dubbi, paure, necessità di spiegazioni, e deteriora ogni aspettativa positiva sulla possibilità di discutere per far cambiare opinione. Per i no-vax è la conferma della loro sensazione di essere assediati da una cultura dominante monolitica ed egemone: un rafforzamento della motivazione che li spinge a una difesa senza appello delle loro istanze.

In altre parole, il problema non è tanto la scarsa qualità del dibattito pro/no vax che si produce, quanto il fatto che esso, alla lunga, potrebbe provocare la scomparsa del dibattito stesso. La creazione di scontri polarizzati diventa – e lo vediamo costantemente – mera produzione di segnali comunicativi identitari (attraverso post sui social, affermazioni pubbliche o qualsiasi altra modalità) che raccolgono il consenso e serrano le file di chi una posizione l’ha già assunta prima ancora che sia discussa. È in fondo un’alzata di mano continua: un puro riconoscersi tra simili e omogenei che si compattano in contrapposizione con altri di diversa opinione.

Le emergenze richiedono una comunicazione di alto livello. Che non c’è stata

A questo punto potrebbero sorgere due obiezioni.

La prima è che il mio discorso è affetto da una generalizzazione indebita: non è vero, infatti, che tutta la comunicazione pro-vax sia così “moralistica” e impermeabile a qualsiasi confronto. La seconda obiezione è di tipo più operativo: in una situazione di emergenza sanitaria non è bene inseguire tutti i dubbi e le insicurezze, altrimenti si rischia di fallire nel tentativo di salvare vite.

Alla prima rispondo che la sostanza della mia riflessione non è basata su una stima quantitativa che vorrebbe sostenere che “così fan tutti”, generalizzando il problema. Sono il primo, infatti, a riconoscere il grandissimo lavoro divulgativo e di risposta ai dubbi che molti protagonisti del dibattito pubblico stanno svolgendo: da Roberta Villa a Barbara Gallavotti a Massimo Polidoro, solo per citarne tre che conosco personalmente e apprezzo per il modo di porsi nei confronti del pubblico.

Il mio ragionamento è piuttosto una proiezione da “peggior scenario possibile” che considera aspetti qualitativi (di bassa qualità in questo caso) delle disfunzioni dei dibattiti riguardanti vaccini e Green pass. È un esercizio mentale che ho imparato a fare occupandomi di comunicazione di crisi: estremizzare le peggiori conseguenze nel futuro di una deriva contingente aiuta a mettere a fuoco fenomeni che stanno avvenendo sotto il naso. Il problema insomma non è quanti fanno così, o se a farlo sono in tanti o pochi, ma quali insidie porta con sé la tendenza a non discutere del tema nelle macro-interazioni pubbliche, così come nelle micro-interazioni private e quotidiane. A pensarci bene è ciò che avremmo dovuto fare con la pandemia: immaginare che potesse arrivare, prima ancora che si presentasse in tutta la sua violenza.

Alla seconda obiezione rispondo che è proprio nelle “situazioni di emergenza” che va tenuto alto il livello di attenzione e cura della comunicazione. Anche qui è uno spunto che viene dalle buone pratiche della gestione di crisi: quando c’è un problema in corso, la tentazione di gettarsi a risolverlo (il fare) trascurando il coinvolgimento partecipe di tutti coloro che potrebbero aiutare a risolverlo (il comunicare) è sempre dietro l’angolo. Ma “il fare” senza “spiegare e coinvolgere” si rivela sempre monco.

Non esistono problemi che si risolvono senza comunicare, così come non esistono problemi che si risolvono solo con la comunicazione. Nel primo caso si avrà una crisi peggiore dal punto di vista delle relazioni tra le persone coinvolte; nel secondo si rallenteranno forse un po’ gli effetti nefasti del problema, che però presenteranno un conto ancora più salato in un secondo momento.

Risolvi mentre spieghi e spiega come stai risolvendo”: sintetizzerei così il principio della buona comunicazione di crisi. Curare un dibattito sano sulle questioni riguardanti vaccini e Green pass, mentre si procede con la campagna vaccinale e tutto il resto, vuol dire gestire la crisi qui e ora.

Vaccini e Green pass: è ancora possibile una disputa felice?

Il vero problema è che la proiezione da “peggiore scenario possibile” non è poi così proiettata, ma molto attuale. Il dibattito, infatti, è già in gran parte compromesso.

La prova? Leggendo queste mie parole al lettore sarà venuto il dubbio: non è che Mastroianni è no-vax? È l’effetto della contrapposizione continua: pensiamo sempre e anzitutto a dove sta posizionato l’altro (in uno schema binario rigido) prima ancora di cercare di capire che cosa sta dicendo e perché. Se il dibattito non è sano, questa tendenza naturale si acuisce e si diffonde, proprio come un virus in una pandemia.

Per rassicurarvi: sono doppio vaccinato AstraZeneca con Green pass senza esitazioni. Ma l’assenza di esitazione non mi impedisce di continuare a riflettere, perché penso che la posizione pro-vax aprioristica e acritica è solo un posto sul palcoscenico creato dalla polarizzazione. E io su quel palco vorrei risparmiarmi di salire.

Proprio per questo mi piacerebbe tanto assistere a dispute su vaccini e Green pass piene di senso che facciano emergere argomentazioni, contro-argomentazioni, limiti e prospettive. Anche perché, per capire che cosa accade e poter decidere, non esiste altro modo che discutere.

Per tutto il resto c’è la presa di posizione sorda al confronto che fa stare fermi sula poltrona a “godersi” uno spettacolo in continua replica, sempre simile a sé stesso, che va erodendo fiducia. Un bene scarso di cui, soprattutto in una crisi, abbiamo estremo bisogno.

Photo credits: valdarnopost.it

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