Il business della paura

“Siamo più propensi a preoccuparci che a essere rassicurati”. Attacca così Patrizia Hrelia, professoressa di tossicologia presso l’Alma Mater Studiorum di Bologna, quando comincio a farle le prime domande. Come darle torto. Non è una notizia il fatto che da sempre più le notizie sono cattive e scandalistiche e più fanno audience. E poi oggi […]

“Siamo più propensi a preoccuparci che a essere rassicurati”. Attacca così Patrizia Hrelia, professoressa di tossicologia presso l’Alma Mater Studiorum di Bologna, quando comincio a farle le prime domande. Come darle torto. Non è una notizia il fatto che da sempre più le notizie sono cattive e scandalistiche e più fanno audience. E poi oggi dobbiamo fare i conti anche con i social, dove le informazioni viaggiano alla velocità della luce, vere o false che siano.

Quello delle fake news è un tema che sta molto a cuore anche alla sorella di Patrizia, Silvana Hrelia, anche lei professoressa all’Alma Mater, ma di biochimica. Da tempo è impegnata nel cercare di sfatare le bufale sull’alimentazione che condizionano le scelte alimentari di tantissimi italiani. “Del resto i continui allarmi e allarmismi sui mass media e sui social network trasmettono ogni giorno l’impressione che non ci sia più un solo alimento ancora salubre sul pianeta”. Ma procediamo con ordine e con quello che va più di moda.

La paura del glutine

Il mercato degli alimenti senza glutine segna anno dopo anno numeri sempre più grandi, grazie alla domanda perennemente in crescita di consumatori che non soffrono di celiachia; tanto che l’Istat nel 2015 ha sancito l’ingresso della pasta e dei biscotti gluten free nel paniere dei prezzi. Da figlia di una madre “veramente celiaca”, che soffre di tutti i limiti e le paure che questa malattia comporta, vorrei sapere che cosa spinge un individuo non allergico a mangiare in quel modo e a spendere molto di più per un prodotto che, nel suo caso, non ha una vera utilità.

È Silvana Hrelia a prendere la parola: “Il prezzo elevato talvolta funge da richiamo per le allodole, perché il consumatore crede che il prodotto costoso abbia un valore aggiunto. In più, a dare maggiore credibilità a queste nutrition fake, si è aggiunto un nuovo sistema di vendita e divulgazione tramite alcune celebrità che propongono e vendono prodotti ‘salutistici’. Victoria Beckham, ad esempio ha dichiarato di aver scelto la dieta senza glutine per perdere peso (come se ne avesse bisogno, N.d.R.) e Gwyneth Paltrow ha detto di averla scelta perché fa bene alla salute. Novak Djokovic ha dichiarato di essere diventato un campione grazie all’alimentazione gluten free. L’impatto sul mercato è enorme, dai libri che pubblicizzano diete miracolose a prodotti creati ad hoc per conseguire risultati in breve tempo (come quelli di Novak Djokovic, N.d.R.)”. E poi ci sono quei soggetti che non solo hanno paura di ingrassare, ma temono che mangiare pasta con glutine possa farli diventare allergici.

“La realtà – prosegue Silvana Hrelia – è che non è consigliabile una dieta senza glutine per i soggetti non celiaci perché si rischia di non raggiungere un adeguato apporto di carboidrati complessi. Già adesso sono sei milioni gli italiani che si considerano affetti da celiachia seguendo, in realtà, falsi miti, e sprecando ogni anno 105 milioni di euro per l’acquisto di cibi gluten free a loro non necessari. Si consideri che secondo l’Associazione Italiana Celiachia i celiaci in Italia sono 600.000, pari al 1% dell’intera popolazione”.

Fortunatamente, a differenza delle celebrità straniere, quelle italiane – come Gaia De Laurentiis, Daniele Bossari e il ministro Giulia Buongiorno – che parlano di dieta gluten free sono tutti soggetti celiaci, e quindi affrontano l’argomento con cognizione di causa. “Vero”, prosegue Silvana Hrelia. “Per ora il malcostume di pubblicizzare tale regime tra i non celiaci è ristretto allo star system americano, ma la contaminazione potrebbe essere virale, per cui occorre vigilare”.

La paura delle contaminazioni

Nove italiani su dieci si dichiarano molto preoccupati di quello che mettono nel piatto. Siamo convinti che tutto sia contaminato, se non addirittura avvelenato. Ovviamente le recenti campagne contro l’olio di palma e le carni rosse hanno incrementato questa sensazione. Io sono cresciuta con le parole di mia mamma e mia nonna: mangia poco di tutto.

Patrizia Hrelia mi interrompe.

“Mamma e nonna avevano ragione. Non esistono cibi da condannare e che sarebbero veleni per l’uomo sempre e comunque. La scienza nel cibo non riconosce né prodotti miracolosi né veleni: in generale, è sempre una questione di dosi. Nessun alimento o ingrediente è di per sé definibile come tossico, e gli eventuali effetti negativi sulla salute vanno misurati sempre sulla base dei consumi. La valutazione degli effetti di un alimento non può mai prescindere dall’analisi del regime dietetico complessivo e, più in generale, dello stile di vita. Resto sempre sconcertata quando vedo persone terrorizzate dalla presenza in un alimento di un additivo e di residuo di fitofarmaco (pesticida) entro i limiti di legge e che magari fumano venti sigarette al giorno ed espongono i loro figli al fumo passivo”.

Una riflessione sul biologico a questo punto è inevitabile. Viene da chiedersi se il notevole incremento del consumo di prodotti bio sia frutto di campagne pubblicitarie ben studiate o sia merito del fatto che siamo davvero diventati consumatori più consapevoli e più attenti all’ambiente.

“Direi entrambe le cose”, spiega Patrizia Hrelia. “Siamo indubbiamente consumatori più attenti. Le nuove generazioni, e soprattutto le donne, hanno una maggiore sensibilità nei confronti delle tematiche ambientali. D’altra parte le campagne pubblicitarie sono sempre più affascinanti e persuasive, ma spesso irreali. Ad esempio, relativamente al biologico c’è un falso credo da sfatare. Un alimento non sarà mai biologico nella sua interezza. Biologico è il metodo di coltura, il processo industriale, ma l’aria, l’acqua e il terreno da cui l’alimento proviene non sono di certo biologici. Quindi il rischio della presenza di inevitabili contaminanti ambientali resta uguale a quello degli alimenti da agricoltura tradizionale, o meglio integrata. I prodotti biologici sono sicuramente più rispettosi dell’ambiente, ma sulla loro presunta superiorità, in termini di qualità e sicurezza, rispetto agli alimenti da metodi colturali e di produzione tradizionali, ci sarebbe da discutere a lungo”.

La paura dell’acqua

Una mattina, mentre accompagnavo mia figlia alla materna, WhatsApp mi ha avvisato che avevo una domanda: “Lara scusa se ti disturbo, ma avrei bisogno di chiederti, visto che tu sei bolognese, cosa ne pensi dell’acqua del rubinetto di questa città, perché io ho letto che in alcune zone nell’acquedotto si sono riscontrate perdite di amianto”. Era una delle mamme della scuola. Come avrete capito il problema era che nella materna che frequentano le nostre figlie si beve acqua del rubinetto. Io le ho risposto quel poco che sapevo, cioè che era una notizia di qualche anno fa, che alcune perdite effettivamente ci sono, ma la Asl ha assicurato che non sono pericolose anche in virtù del fatto che l’amianto è dannoso se inalato, non se ingerito.

Ovviamente non l’ho convinta. Qualche mattina dopo, davanti a un cappuccino post accompagnamento a scuola, la mamma in questione mi ha raccontato che era riuscita a convincere le maestre a non dare a sua figlia l’acqua del rubinetto. Io le ho risposto che ero contenta che le fossero andate incontro, visto che quello sembrava essere diventato per lei un problema insormontabile. Poi, quando il cappuccino era ormai agli sgoccioli, viene fuori che il problema non era poi così grave visto che la bambina avrebbe frequentato la scuola ancora per poco perché non era in regola coi vaccini. L’acqua del rubinetto fa paura, la meningite no?

Mi astengo da ogni commento sulla polemica dei vaccini perché servirebbero altre 10.000 battute che non leggereste mai. Comunque, al di là di questo singolo caso, sono anni che Legambiente individua gli italiani come i più grossi consumatori di acqua in bottiglia, anzi direttamente dichiara che “l’acqua in bottiglia è un’anomalia tutta italiana”. Silvana Hrelia mi spiega come sono riusciti a venderci il mito dell’acqua in bottiglia e a inculcarcelo così bene.

Non è stato dimostrato alcun particolare motivo per preferire l’acqua imbottigliata all’acqua che esce dai rubinetti di casa nostra. Eppure la pubblicità ci mostra sempre modelle bellissime che bevono quel tipo di acqua, atleti che scelgono quell’altra, acqua che fa dimagrire, acqua che elimina l’acqua, acqua che fa stare meglio, bottiglie colorate o pratiche da portare in borsa”. Quindi è solo marketing?

“Direi di sì, nella maggior parte dei casi. Le varie acque in bottiglia hanno caratteristiche diverse, poco sodio, residuo fisso bassissimo (sotto ai 50 mg/l) o elevatissimo (1500 mg/l), ed è spesso su queste proprietà che gioca il marketing per convincerci a comprare questa o quella marca. Nello scegliere dobbiamo però ricordare che l’acqua non deve essere priva di elementi, la presenza di sali minerali è anzi fondamentale per la nostra salute. Acque cosiddette ‘estreme’, con elevate o bassissime concentrazioni di alcuni elementi, possono non fare bene alla salute”.

Inoltre è risaputo che l’acqua del rubinetto è molto più controllata delle acque in bottiglia. “Certamente – continua Silvana Hrelia –, la legge italiana prevede un minimo di quattro analisi all’anno contro un’analisi all’anno delle acque commerciali. Inoltre le analisi sono svolte sia dalla società che gestisce l’acquedotto che dalle Asl, quindi da due soggetti indipendenti tra loro, che svolgono analisi su 67 parametri, più di quelli previsti per le acque in bottiglia. In poche parole, l’acqua cosiddetta “del sindaco” che arriva nelle nostre case non ha niente da invidiare a quella in bottiglia dal punto di vista della qualità, e anzi è quattro volte più controllata di quella che compriamo al supermercato.”

Fake news, le nuove influencer?

“Cibi che danneggiano la salute, presunte abitudini scorrette, diete innovative strampalate e chi più ne ha più ne metta ingannano tre italiani su quattro (66%), che si trovano a spendere di più senza ottenere risultati dal punto di vista di protezione della salute”. Sono i numeri che emergono da un’indagine della Coldiretti.

Non ho pensato questo articolo per farvi smettere di comprare acqua in bottiglia, prodotti biologici o cibo senza glutine. Anche perché io stessa non bevo acqua del rubinetto – per questioni di gusto. Allo stesso modo compro volentieri biologico, non perché credo faccia bene a me, ma all’ambiente in cui vivo (anche se pensando a tutte le bottiglie di plastica che consumo mi sento già incoerente, e cercherò di rimediare). Invece non compro e non comprerò mai prodotti gluten free per due motivi: perché costano troppo e per rispetto di chi davvero soffre di questa patologia. Quindi, almeno per ora, non stravolgerò le mie abitudini d’acquisto, come voi probabilmente non cambierete le vostre; ma mentre ascoltavo Patrizia e Silvana Hrelia e mentre scrivevo questo pezzo il mio punto di vista su questi prodotti e sul modo di pubblicizzarli, venderli e comprarli è cambiato.

Spero possiate dire lo stesso nel leggerlo e spero che d’ora in poi sarete più vigili, evitando di far diventare le fake news le maggiori influencer della vostra dieta.

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