Cara Italia, ci mangio con la laurea in Beni Culturali?

Il tema è molto dibattuto in Italia e pone numerosi interrogativi – legittimi – sul perché, quando i giovani affermano di voler studiare Storia dell’Arte per lavorare nel settore culturale del nostro Paese, rimaniamo scettici. Partendo dalla famosa e infelice frase “con la cultura non si mangia” attribuita a Giulio Tremonti, il quale ha poi […]

Il tema è molto dibattuto in Italia e pone numerosi interrogativi – legittimi – sul perché, quando i giovani affermano di voler studiare Storia dell’Arte per lavorare nel settore culturale del nostro Paese, rimaniamo scettici.

Partendo dalla famosa e infelice frase “con la cultura non si mangia” attribuita a Giulio Tremonti, il quale ha poi negato di averla mai pronunciata, il percorso di chi in Italia cerca di seguire un corso di studi in Storia dell’Arte e lo termina, nella speranza di inserirsi nel mercato del lavoro culturale nel nostro Paese, è precario. O meglio: risulta assai tortuoso, nel tentativo di trovare non solo un impiego coerente con la propria laurea, ma anche uno stipendio degno di questo nome. Esempio ne è una delle ultime offerte di lavoro che hanno destato scalpore: la ricerca da parte del sindaco di Senigallia di un direttore per il museo cittadino, che oltre ad avere i giusti requisiti professionali fosse anche disponibile a prestare la propria attività lavorativa in forma totalmente gratuita.

Per capire meglio la situazione di chi studia e lavora in questo settore abbiamo intervistato diversi studenti laureati in Arte: Matteo, 40 anni, che adesso vive a Barcellona; Francesca ed Eleonora di 35, che vivono e lavorano a Milano, e Concetta di 33 che vive a Foggia.

 

Matteo, da Parma a Barcellona: “In Italia nessuna prospettiva”

Matteo si è trasferito da tempo a Barcellona: ha conseguito la laurea all’Università di Parma diversi anni fa, prima della riforma Moratti, in Conservazione dei Beni Culturali. Quello di Parma è l’Ateneo dove Arturo Carlo Quintavalle, storico dell’Arte italiano, ha fondato e diretto per diversi anni il Centro Studi e Archivio della Comunicazione.

Ora che vive a Barcellona, pur essendoci in città svariati bandi e concorsi nel settore culturale in numero e frequenza maggiori rispetto all’Italia, dopo anni dal conseguimento del titolo accademico Matteo si ritrova con una difficoltà inaspettata: la laurea del vecchio ordinamento non viene riconosciuta in Spagna per ottenere punteggio nelle graduatorie della città di Barcellona. Una semplice laurea triennale del nuovo ordinamento gli basterebbe per guadagnare punti. “Con altri laureati italiani del vecchio ordinamento ci stiamo organizzando per capire come muoverci per superare questo paradossale cavillo”, spiega a Senza Filtro.

Prima di andare a Barcellona, però, Matteo ha fatto diversi tentativi per inserirsi in ambito culturale in Italia: “Dopo aver discusso la tesi sperimentale in Storia dell’Architettura del Rinascimento sulla Chiesa del Santissimo Corpo di Cristo, nota anche come Chiesa di Villa di Castiglione Olona (VA), ho preso parte al Restauro di Villa Litta a Lainate (MI) dove ci siamo occupati sia della manutenzione ordinaria del Ninfeo che di quella straordinaria del mosaico pavimentale del Ninfeo del Settecento a figure geometriche”.

Il suo relatore, il professor Arturo Calzona, è direttore dell’Istituto di Storia dell’Arte presso l’Ateneo parmigiano: “Per un breve periodo dopo la laurea ho collaborato a stretto contatto con il docente, ma non c’erano mai all’orizzonte prospettive concrete, mancavano i fondi, non c’erano bandi, nessun concorso; e così ho cercato altrove”. Matteo ha compreso da tempo che l’Italia non avrebbe potuto offrirgli quegli sbocchi professionali nel mondo culturale che si aspettava dopo aver conseguito la laurea, scegliendo di lasciare il Paese.

Francesca: “Poco lavoro e pochi concorsi. Serve l’intervento dei privati”

Francesca si è laureata nel 2005 all’Università degli Studi di Milano in Beni Culturali seguendo il corso triennale, e poi nel 2007 ha conseguito la laurea magistrale, sempre alla Statale, in Storia e Critica dell’Arte.

La sua prima esperienza professionale è stata al FAI di Milano subito dopo aver concluso il suo ciclo di studi, iniziando con uno stage di sei mesi con rimborso spese poi prorogato con un anno di contratto a progetto, dove ha poi curato per FAI il censimento per i luoghi del cuore. Dopo la fine del contratto a progetto nel corso degli anni ha ottenuto diverse collaborazioni esterne facendo visite guidate e attività di ufficio stampa e comunicazione.

Dal 2011 al 2017 ha lavorato per la Società per le Belle Arti ed Esposizione Permanente di Milano, occupandosi di diverse attività, tra cui ufficio stampa, segreteria organizzativa di mostre, eventi artistici e culturali, comunicazione.

“Nel 2018, dopo aver risposto a un bando dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Milano, sono stata selezionata come collaboratrice part-time, e seguivamo i progetti di eventi culturali in città. Terminata questa esperienza ho cercato nuove opportunità professionali, anche se in questo ambito hai maggiori possibilità di trovare un lavoro attraverso la rete dei contatti che hai instaurato nel corso degli anni, piuttosto che cercando tra gli annunci – anche perché di offerte di lavoro se ne trovano davvero poche”. È un mondo difficile, quello dell’arte; è affascinante, unico, eppure chi vuole inserirsi in questo ambito professionale deve attraversare di continuo un percorso a ostacoli.

“Credo che l’Università formi gli studenti esclusivamente sul piano teorico-culturale, ma poi, una volta che noi laureati cerchiamo di entrare concretamente nel mondo del lavoro rappresentato da gallerie d’arte, musei, etc., viviamo innumerevoli difficoltà perché non sappiamo come muoverci concretamente per cercare e ottenere collaborazioni professionali.”

Non solo per questi laureati diventa difficile trovare offerte di lavoro nel mondo culturale, in Italia, ma c’è anche un’ulteriore difficoltà oggettiva: la carenza di concorsi pubblici. “Andrebbero incentivati anche i privati a investire in cultura, così come nel caso dei Della Valle che hanno finanziato il restauro del Colosseo. Questo potrebbe portare ad un aumento delle opportunità di lavoro per i laureati”.

 

Concetta: “Stage e tirocini anche durante gli studi e non fermarsi mai”

Concetta ha 33 anni. Si è Laureata all’Università di Bari nel 2009 in Scienza per la diagnostica e conservazione dei beni culturali, e nello stesso ateneo nel 2016 ha conseguito la magistrale, e ha altresì conseguito un master in Comunicazione delle Scienze all’Università di Padova.

“Durante gli anni universitari, mentre frequentavo la triennale ho iniziato uno stage per il Museo della Scienza e della Terra dell’Università di Bari, organizzando visite guidate e laboratori didattici per non vedenti, ipovedenti e bambini”.

Concetta sembra non fermarsi mai: suggerisce ai tanti giovani che volessero seguire studi culturali all’università di accettare stage e tirocini durante l’attività di studio, che permettono di approcciarsi fin da subito con il settore culturale, imparando a districarsi concretamente in questo mondo anche dopo il conseguimento della laurea. Dal 2013 Concetta è una guida turistica abilitata della Regione Puglia ed è docente per Alpha Test di Chimica e Logica.

 

Eleonora, da collaboratrice nel settore culturale a web analyst

Eleonora ha 35 anni si è laureata nel 2004 in Scienze dei Beni Culturali, indirizzo Storia dell’Arte, e nel 2011 in Storia e critica dell’Arte. Entrambi i titoli accademici li ha conseguiti all’Università degli Studi di Milano.

“Dopo essermi laureata nel 2011 per almeno sei mesi ho letteralmente girato a vuoto, alla ricerca spasmodica di un lavoro nell’Arte. Mi sono ritrovata completamente impreparata a farlo. Questo perché ero stata formata in maniera eccellente sul piano teorico del mondo dell’arte, ma una volta concluso il mio percorso di studi ero persa e sembravo una sprovveduta”.

Eleonora però, dopo quel breve periodo di smarrimento, è riuscita a ottenere un tirocinio al Comune di Busto Arsizio con un piccolo rimborso spese come assistente all’Ufficio Cultura della responsabile della didattica museale. Un’attività che le piaceva molto e che avrebbe voluto continuare, ma per poterlo fare avrebbe dovuto seguire tanti laureati in arte nella stessa sofferta decisione: aprire una partita Iva. Costi esorbitanti di gestione, che per un operatore culturale sono eccessivi.

L’altra strada è quella di provare a ottenere, attraverso una rete di conoscenze, diverse collaborazioni tra comuni e cooperative che chiamano a seconda delle esigenze dei committenti come collaboratore occasionale: “Molti di loro non arrivano a 1000 euro al mese, vivendo in una sorta di precariato permanente”.

Eleonora è rimasta aggrappata al mondo culturale collaborando con Arte Varese, un portale specializzato in Arte, per il quale scrive. “Adesso faccio tutt’altro: lavoro come web analyst in un’azienda di Milano. La ragione mi ha portato a cercarmi un’occupazione professionale lontana dall’arte; il cuore mi ha convinto a non abbandonarla del tutto, scrivendo di cultura.”

 

Quali scenari per il settore culturale per il 2020?

Alla luce di ciò, i dati Eurostat riferiti al 2016 raccontano un’amara verità: nonostante il nostro patrimonio artistico e culturale, i lavoratori impegnati in questo settore sono solo il 3,4% del totale. Sui 28 Paesi dell’Unione europea ci collochiamo al diciannovesimo posto.

Non si vedono all’orizzonte scenari migliori per chi ha conseguito una laurea in Arte, così come non si hanno notizie di concorsi pubblici da parte del Mibac. In uno studio Isfol – Ares 2.0 sul Settore dei Beni Culturali per l’anticipazione dei fabbisogni professionali, pubblicato nel 2014, c’è un capitolo dedicato allo scenario prospettato per il 2020:

Il 2020 sarà caratterizzato da una maggiore enfasi sulla competitività e sull’efficienza; da un progressivo spostamento dell’attenzione dalla funzione di tutela alla funzione di valorizzazione; da una compenetrazione della dimensione turistica nei programmi di promozione culturale; da una crescente compartecipazione del privato; da una ricerca di forme organizzative che permettano di fare rete e mettere a fattor comune esperienze e capacità di promozione; da un utilizzo della tecnologia che favorisca lo sviluppo di tutte queste tendenze.

A che punto siamo, quindi? A mio avviso, c’è ancora moltissimo lavoro da fare. Che cosa aspettiamo a creare sinergie e connessioni tra pubblico e pubblico – penso per esempio a quelle tra Mibac e Miur: cultura, turismo e università – e tra pubblico e privato, anche incentivando nuove forme di mecenatismo 2.0?

Concludo: chi meglio dei laureati in Arte può rappresentare quella spinta propulsiva per il progressivo spostamento dalla funzione di tutela a quella di una valorizzazione del nostro patrimonio artistico-culturale? Il 2020 è davvero alle porte.

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