Chi certifica la green economy ha un jolly in tasca

Con oltre 24mila certificazioni siamo il secondo paese al mondo per numero di certificati ISO 14001. Il primo per numero di certificazioni di prodotto EPD, il terzo per Ecolabel ed EMAS. Siamo inoltre il quinto paese del G20 per certificazioni forestali di catena di custodia FSC. Questa la bella fotografia scattata dal rapporto “Certificare per […]

Con oltre 24mila certificazioni siamo il secondo paese al mondo per numero di certificati ISO 14001. Il primo per numero di certificazioni di prodotto EPD, il terzo per Ecolabel ed EMAS. Siamo inoltre il quinto paese del G20 per certificazioni forestali di catena di custodia FSC. Questa la bella fotografia scattata dal rapporto “Certificare per competere” di Fondazione Symbola e Cloros, presentato a Milano a fine febbraio.

Prendendo in considerazione i quattro settori tradizionali del made in Italy, Automazione, Abbigliamento, Arredocasa, Alimentari – le cosiddette 4A – Symbola e Cloros hanno messo a confronto le perfomance delle aziende certificate con quelle delle non certificate. Con risultati eloquenti. In piena crisi, tra il 2009 e il 2013, le imprese delle 4A amiche dell’ambiente hanno visto i loro fatturati aumentare, mediamente, del 3,5%, quelle non certificate del 2%: le certificazioni portano in dote, cioè, uno ‘spread’ positivo di 1,5 punti percentuali.

Ancora meglio nell’occupazione, dove lo spread arriva a 3,8 punti percentuali: le aziende certificate hanno visto crescere gli addetti del 4%, le altre dello 0,2%. La maggiore volontà delle imprese di utilizzare i green jobs è dimostrata dal fatto che sempre più nel settore si utilizzano forme contrattuali stabili: ben 46 professionisti verdi su 100 vengono assunti con tempo indeterminato; ben 12 su 100 con contratto di apprendistato, quota che scende a 9 su 100 per altri profili.

Per uscire dalle fredde percentuali e andare nel territorio, la regione che offre più opportunità lavorative ai professionisti della green economy è la Lombardia, che conta 71mila imprese verdi, pari a un quinto del totale nazionale, e circa 19mila assunzioni (fonte: Unioncamere/Fondazione Symbola).

Il discreto successo delle aziende che, attraverso la certificazione del sistema di gestione ambientale del proprio processo produttivo, strizzano l’occhio alla green economy è testimoniato anche da un sondaggio Ipsos, che attribuisce agli italiani buona familiarità e fiducia verso le certificazioni ambientali: l’80% degli intervistati le ritiene affidabili.

Essere un energy auditor: la definizione normativa

Com’è noto, la certificazione può declinarsi in tutti i settori produttivi e riguardare (seguendo anche norme di diverso tipo) non solo il rispetto per l’ambiente, ma anche l’attività aziendale, l’efficacia dei sistemi di sicurezza per i lavoratori, la responsabilità sociale d’impresa. Anche l’accesso a questa professione è regolato da una norma (UNI EN ISO 19011) e per svolgerla si deve seguire un percorso di studi preciso: dopo il diploma, preferibilmente ad indirizzo tecnico o scientifico (cinque anni), bisogna conseguire una laurea specialistica in Biologia, o Ingegneria per l’ambiente ed il territorio, o Chimica o Scienze ambientali. Dopo aver fatto esperienza nel campo si deve seguire un percorso formativo presso un ente certificato, che rilascia un attestato.

Un auditor può lavorare da dipendente o da autonomo e può arrivare a guadagnare anche 250-350 euro al giorno. A differenza dei colleghi che lavorano come consulenti o responsabili interni per la qualità, il valutatore non è al servizio dell’azienda, ma di un ente di certificazione (un centinaio quelli accreditati presso il Sistema nazionale per l’accreditamento degli organismi di certificazione Accredia), che lo invia sui luoghi della produzione per effettuare dei veri e propri test sul rispetto degli standard internazionali. La qualifica inoltre consente di partecipare a concorsi indetti dalle ARPA regionali o dall’ISPRA.

Infine, come le aziende, anche gli auditor possono essere certificati per la qualità della loro professione. La certificazione, va detto, non costituisce uno step obbligatorio, ma rappresenta comunque una garanzia di qualità.

L’Energy Auditor, invece, è un ingegnere che si occupa di effettuare diagnosi energetiche sugli edifici, valutando gli immobili e il loro fabbisogno energetico e pianificando interventi di riqualificazioni. Per un neolaureato che si avvicina a questa professione lo stipendio medio è di circa 23 mila euro l’anno (fonte: mondolavoro.it). Altra figura green molto richiesta è quella del Certificatore Energetico, che certifica le prestazioni energetiche di case ed edifici, effettuando rilievi sull’immobile e stimando il suo consumo energetico medio. Non è necessaria una laurea, può bastare anche un diploma da perito industriale, agrario o geometra, ma l’accesso alla professione è dato da un corso di 70/80 ore. Dallo scorso anno il certificatore energetico può esercitare come libero professionista o sotto contratto con enti specializzati nell’ispezione delle costruzioni edili e/o società di servizi energetici.

Insomma, ricapitolando, funziona così: un’azienda per essere competitiva deve anche dotarsi di un sistema di gestione ambientale che quantifichi gli impatti del processo produttivo e ne definisca gli obiettivi di miglioramento. Questa “politica energetico-ambientale”  deve essere messa nero su bianco ed essere certificata da un ente terzo accreditato (esempio: SGS, Bureau Veritas, Certiquality, TUV), il quale verifica periodicamente gli impegni e rinnova o revoca la certificazione. Infine, chi rilascia la certificazione a sua volta deve essere accreditato presso un organismo pubblico (Accredia) ma anche il singolo verificatore (auditor) può ottenere a sua volta una certificazione.

 

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