Chi è senza progetti scagli i primi Sassi

Era il 7 ottobre 2014. Quel giorno il ministro ai Beni e alle Attività culturali e al Turismo Dario Franceschini, in seguito alla valutazione della giuria internazionale, annunciò che Matera sarebbe stata la “Capitale Europea della Cultura per il 2019”. Tra rulli di tamburi e proclami televisivi, cominciò l’avventura di questa cittadina lucana con poco […]

Era il 7 ottobre 2014. Quel giorno il ministro ai Beni e alle Attività culturali e al Turismo Dario Franceschini, in seguito alla valutazione della giuria internazionale, annunciò che Matera sarebbe stata la “Capitale Europea della Cultura per il 2019”. Tra rulli di tamburi e proclami televisivi, cominciò l’avventura di questa cittadina lucana con poco più di 60.000 abitanti, nota per i suoi Sassi: i quartieri Sasso Caveoso e Sasso Barisano – costituiti da abitazioni rupestri scavate nella roccia della Murgia e abitati fin dalla preistoria – dal 1993 sono nella lista dei Patrimoni dell’umanità targati Unesco. È stato il primo sito dell’Italia meridionale cui è andato questo riconoscimento, perché rappresentano un ecosistema urbano tanto antico quanto unico.

In effetti i Sassi, visti oggi, sono meravigliosi e suggestivi, sebbene sommersi da una marea di turisti. Parecchi giovani materani dal 2014 in poi sono tornati. Magari hanno aperto un b&b nella vecchia casa ereditata da nonni o bisnonni; le strutture ricettive extra-alberghiere tra 2016 e fine 2018 sono passate da 157 a 556; poi si sono moltiplicate, nel cuore antico, trattorie, birrerie, pizzerie, paninoteche. Insomma, il titolo di capitale culturale europea sembra la ciliegina, anzi il ciliegione, sulla torta di un rilancio tutto rose e fiori. Sarà davvero così? Qualcuno sta pensando non solo all’oggi, ma anche a quello che resterà dopo l’ubriacatura legata al grande evento?

 

Matera, dalla miseria dei Sassi al boom turistico

Facciamo qualche passo indietro. Nella prima metà del Novecento, i Sassi erano sinonimo di miseria nera. Li descrisse bene Carlo Levi, scrittore antifascista confinato da queste parti tra 1935 e 1936, nel suo libro Cristo si è fermato a Eboli, pubblicato da Einaudi nel 1945. Li aveva visitati all’apice di un collasso demografico che era iniziato nell’Ottocento. Descrive “grotte scavate nella parete di argilla indurita del burrone”. Poi: “Le porte erano aperte per il caldo. Io guardavo passando e vedevo l’interno delle grotte, che non prendono altra luce e aria se non dalla porta. Dentro quei buchi neri, dalle pareti di terra, vedevo i letti, le misere suppellettili, i cenci stesi. Sul pavimento stavano sdraiati i cani, le pecore, le capre, i maiali”.

Nel dopoguerra si viveva ancora malissimo, tanto che nel 1948 nacque la questione dei Sassi di Matera, sollevata da Palmiro Togliatti prima e da Alcide De Gasperi poi. Nel 1952 una legge ne stabilì lo sgombero, e i 15.000 abitanti furono trasferiti in quartieri popolari nuovi. Là sotto non rimase quasi più nessuno. Poi la graduale riscoperta, anche grazie al cinema nazionale e poi internazionale. Tra le decine di film ambientati qui, Il Vangelo secondo Matteo (1964) di Pier Paolo Pasolini, Cristo si è fermato a Eboli di Francesco Rosi, Ben-Hur (2016) di Timur Bekmambetov e persino Wonder Woman (2017) di Patty Jenkins. Nel 2004 Mel Gibson ha ambientato nei Sassi – trasformati in Gerusalemme – gli esterni de La Passione di Cristo. Sono stati anche uno scenario del manga D.Gray-man di Katsura Hoshino e della sua trasposizione animata nel 2006, diretta da Nabeshima Osamu.

I Sassi sono diventati così – da una quindicina di anni – una meta importante: raccoglievano già nel 2017 più di un terzo dei turisti che visitano la Basilicata. Fino al boom di quest’anno, grazie a Matera Capitale Europea della Cultura. Sono arrivati finanziamenti pubblici (locali, statali ed europei) per circa 60 milioni; altri, imprecisati, dagli sponsor privati. Proprio i Sassi sono l’epicentro di questi investimenti. Dal 3 settembre 2014 esiste la Fondazione di partecipazione Matera-Basilicata 2019, che resterà attiva fino alla fine del 2022: “La durata della Fondazione”, si legge nel sito Matera-basilicata2019.it, “è collegata all’arco temporale in cui si attuerà la strategia culturale delineata nel dossier di candidatura (2015-2020) e alla esigenza di gestire, monitorare e valutare gli esiti e gli impatti della strategia stessa”.

Se fosse vero, sarebbe confortante; tanto più che in Italia già altrove incombe lo spettro di luoghi storici trasformati i fast-food/luna park, svuotati della loro identità: da Venezia alle Cinque Terre, da Alberobello con i suoi trulli ai centri storici di Firenze o Roma. Peccato che pure Matera stia rischiando di celare, dietro gli sfarzi attuali, il rischio di uno stravolgimento del tessuto urbanistico e sociale. «Più che altro siamo preoccupati per il 1° gennaio 2020, quando tutto sarà passato e resteremo soli con noi stessi e coi nostri guai. Matera è drogata di turismo, il costo della vita è impazzito», raccontava al Corriere della Sera, nel settembre 2018, Eustachio Nicoletti, segretario della Cgil cittadina, che col dossier Matera 2019: l’opportunità mancata? aveva già denunciato «ritardi e criticità».

 

“Matera 2019 rischia di essere un’occasione persa”

In effetti questa trasformazione pone due questioni. Lo sfruttamento massiccio del turismo è davvero una prospettiva? Qualcuno sta immaginando che cosa succederà dopo questa overdose di popolarità? Non ci sta pensando sul serio nessuno, secondo la professoressa Annalisa Percoco, ricercatrice senior della Fondazione Eni “Enrico Mattei” e docente a contratto di energy economics a Potenza, nell’Università della Basilicata. Già nell’agosto del 2018 aveva suonato il campanello d’allarme nel suo rapporto Il valore della cultura per costruire città e comunità sostenibili. Indicazioni da Matera 2019, realizzato per la Fondazione.

 

Professoressa Percoco, che cosa non sta funzionando?

Ovviamente non entro nel merito del programma culturale di Matera 2019, non è il mio settore. Posso dire che tutto ora deve seguire un copione prestabilito, in base ai progetti approvati. In teoria si sarebbe potuto reinventare il futuro di quest’area, con effetti positivi in termini di creazione di valore per il territorio, ridisegno della mappa urbana, valorizzazione delle risorse locali, rinnovamento di immagine e dei valori di fondo, accelerazione dei processi di cambiamento, attrazione di investimenti e costruzione di nuove infrastrutture, sviluppo di attività imprenditoriali, rafforzamento del capitale sociale, aumento delle competenze della comunità locale. Però occorre la capacità di progettare e gestire l’evento fin dalla fase di candidatura per schivare possibili effetti negativi, in maniera tale che i benefici raggiungano la collettività locale.

In pratica, invece, che succede?

Sostanzialmente, al di là della felice intuizione, Matera 2019 rischia di essere solo produttrice di eventi. Offre poche opportunità alla diversificazione dell’economia locale, allo sviluppo di nuove imprese e all’individuazione di nuove risorse. Bisognava chiedersi prima del lancio: è un investimento soltanto per i visitatori o anche per gli abitanti? Al primo posto dovrebbero esserci i cittadini locali, ma non è così. Inoltre tutto il peso di questa manifestazione si concentra sui Sassi, patrimonio Unesco che dovrebbe essere tutelato con attenzione perché è un ecosistema fragilissimo. I Sassi rischiano di diventare le vittime di questa iniziativa. C’è una concentrazione di turisti, lì dentro. E fuori?

Non sono state create infrastrutture utili anche per il futuro?

Le infrastrutture di collegamento sono solo quelle pugliesi, finora. Di fatto, Matera gravita sulla vicina Puglia e su Bari, distante 70 chilometri: da sempre, e oggi ancora di più. Invece non c’è quasi nessun rapporto col resto della Basilicata. La città è un’enclave isolata. Agli altri Comuni lucani è stato offerto soltanto il progetto “Capitale della cultura per un giorno”, con finanziamenti irrisori. Di fatto, viene aggiunto solo il logo di Matera 2019 sui manifesti delle solite sagre o feste patronali.

Qual è il rischio concreto che corre Matera?

Potrebbe verificarsi il forte contraccolpo di progetti poco sostenibili sul tessuto sociale, ambientale ed economico locale. Per esempio, il fatto che Matera appartenga al patrimonio Unesco impone un protocollo da rispettare, ma non viene rispettato.

Si possono prevenire questi rischi, anche se ormai siamo a metà dell’anno dedicato a Matera?

Sono mancati interrogativi di partenza e ragionamenti lungo il percorso dell’iniziativa. Ora si può cercare di limitare i danni, sperando che non ci sia solo il tempo per valutarli. Un’occasione persa per pensare in grande. È un problema di cultura politica ed economica, non solo locale ma anche nazionale. Eppure un evento culturale può offrire una contributo alla competitività di imprese e territori, se gestito in modo sostenibile.

Che cosa sarebbe stato necessario?

Occorre la capacità di progettare e gestire l’evento in maniera tale che i benefici raggiungano la collettività locale. Solo a questa condizione viene garantito lo scopo primario dell’iniziativa: rafforzare la coesione, la cooperazione e l’orgoglio di appartenenza a una comunità. Non bisogna perseguire soltanto processi di mera ed effimera cosmesi urbana. In altri termini si rischia che, dopo l’evento, gli unici impatti duraturi siano quelli economico-immobiliari, senza una ricaduta sulla vita della città e dei suoi abitanti.

 

Non resta che aspettare il 2020, e gli anni successivi, per poter capire se Matera sarà riuscita a evitare il rischio di trasformarsi in un altro parco divertimenti per turisti, svuotato della sua anima. Perché uno dei paradossi dell’economia turistica “selvaggia” è questo: porta ricchezza per alcuni, ma può fare perdere l’identità di tutti.

 

 

Foto di copertina by https://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/

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