Colloqui di lavoro per aziende sponsor. Vi faremo sapere.

Qualsiasi colloquio di lavoro è per sua natura sbilanciato. La conversazione pende, è inevitabile. L’offerta sta dietro la scrivania e, quando va bene, ascolta. La domanda sta davanti alla scrivania e, quando non si fa ascoltare, perde. Colloqui di Lavoro mette piede nella prima città italiana nel 2017. Era settembre e Padova sembrava della taglia […]

Qualsiasi colloquio di lavoro è per sua natura sbilanciato. La conversazione pende, è inevitabile.

L’offerta sta dietro la scrivania e, quando va bene, ascolta.

La domanda sta davanti alla scrivania e, quando non si fa ascoltare, perde.

Colloqui di Lavoro mette piede nella prima città italiana nel 2017. Era settembre e Padova sembrava della taglia giusta per attrarre un pubblico che fosse anche giovane e figlio di una Università tanto storica: in redazione cercavamo una sponda di pensiero. Ci aspettavamo che non venissero soltanto studenti ma persone più mature di professione, buone teste forgiate anche dal lavoro di quella che era stata per tutti la locomotiva d’Italia.

Eravamo in casa Feltrinelli, la madre certa di tutte le librerie prima che diventasse snaturata verso la sua stessa indole.

C’è un aneddoto che traccia con esattezza chirurgica quanto le librerie – in modo paradossale quelle che hanno fatto la storia e il mestiere – non siano state capaci di interpretare i venti che da tempo tiravano forte. Quando andai per la prima volta a proporre il progetto alla direttrice della libreria padovana, questa fu la risposta e queste le parole: “Siamo molto interessati, l’idea è originale. Pensa, però, che potremmo cambiare il nome alla rassegna? Abbiamo il timore che chiamarla Colloqui di lavoro possa trarre in inganno il pubblico e riempirci la libreria di persone”.

Riempire le librerie di persone poteva essere un problema così come, neanche a dirlo, sembrava esserlo il rischiare di vendere più libri.

Svogliatezza mista a disinteresse da parte degli stessi collaboratori, gelido il clima di lavoro interno, meritevole soltanto lo sforzo isolato della Responsabile addetta agli eventi: una mosca bianca che dopo poco hanno fatto nera.

I libri non si vendono e gli italiani non leggono sono le uniche due frasi con cui sento solitamente argomentare il tema cultura. Nessuno che racconti mai l’arretratezza manageriale della maggior parte delle librerie italiane; di dire tutte non me la sento ma la tentazione è forte. La colpa non è sempre di Amazon eppure la scusa viene sempre tirata a lucido.

La comunicazione aziendale sa di vecchio

Dopo Padova arrivò Milano. Altra storia. Non tanto per la città in sé ma per l’attitudine al mestiere e per il senso di responsabilità di chi sceglie un lavoro come quello. La Libreria Centofiori chiamarla indipendente è striminzito: il lavoro lento e costante di chi si costruisce un pubblico e lo affianca passo passo, lo sostiene, gli offre tutto ciò che Amazon non avrà mai e lo trasforma in forza.

Diciamolo: è ciò che dovrebbe fare un’azienda coi suoi collaboratori che sempre più vedono nel lavoro un’opportunità per scoprire i propri bisogni e per scoprire come sono fatti aldilà di un ruolo. 

Molti obietteranno che non è questo il compito di chi ci offre un lavoro ma altrettanti ribatteranno quanto il lavoro non sia più quello di una volta e quanto lo sarà sempre meno. Appoggio i secondi ad occhi chiusi.

Per questo un festival che riporta in mezzo alle persone la cultura del lavoro si prende la responsabilità di trasformare anche certi atteggiamenti – per non chiamarle inerzie – con cui la comunicazione aziendale si è nel tempo strozzata da sola accontentandosi di autorizzare un logo.

Dopo appena due anni, Nobìlita ha sperimentato una formula evoluta dei suoi Colloqui di lavoro uscendo dalle librerie ed entrando nelle aziende: nove libri ma soprattutto nove autori che hanno resistito alla tentazione di se stessi e del parlarsi addosso al proprio libro, uscendo dal vortice delle serate in libreria dove uno parla di sé e tutti gli altri costretti ad ascoltarlo. Colloqui di lavoro invita alla lettura ma il vangelo è che il libro è soltanto una scusa per mettere intorno a quel tema il pensiero complessivo dei tre terzi: l’autore, l’azienda sponsor, il pubblico. 

E per una volta i colloqui di lavoro non sono più sbilanciati. I due terzi inaspettati sono i contrappesi inevitabili per tornare a casa e non sentirsi soli davanti a quel libro e a chi l’ha scritto; le aziende, e quelle facce e quelle voci che ha fatto entrare in casa, si sentono in diritto di dire la loro. 

La cultura del lavoro ringrazia e il farsi sponsor di un festival diventa il sentire a pelle cosa voglia dire stare per una volta alla pari, dall’altra parte, fino a prenderci gusto. Finito il tempo del logo da inviare entro l’ora di pranzo perché la locandina va in stampa o della brochure semilucida che “è possibile metterla sulle sedie del pubblico?”. Il pubblico sulle sedie non sa che farsene di una presentazione in cui l’azienda sta per dirci che è lei la migliore di tutte e che non ha peccati davanti al Dio mercato o che il suo prodotto è diverso dagli altri o che è cruciale, nella sua scala di valori, il peso della responsabilità sociale o dell’inclusione.

Scivolare sulle scale di valori

Chi sostiene Nobilita quella scala di valori la mette in mostra aprendo di sera le porte di casa e invitando il pubblico del festival ad entrare, a parlare con le persone che lì dentro ci vivono ogni giorno più che nella cucina di casa, ad ascoltare il benvenuto di un Amministratore delegato o di un Responsabile che non ha paura di uscire dal virgolettato inamidato del comunicato stampa scritto come si deve per apparire come si vuole.

Apparire ed essere sono la corda su cui ogni azienda si improvvisa funambola.

Quando invitiamo a cena qualcuno, nella vita che tutti i giorni sa di vero, la bellezza sta nel fargli conoscere chi siamo aldilà di ciò che gli abbiamo fatto immaginare e come prendiamo la vita attraverso gli spazi o i ritmi e le regole che ci diamo in casa: un quadro appeso che potrebbe non piacere ma che ci rappresenta, un mobile eccentrico o troppo classico, la luce che entra male dalla finestra. Sono i momenti in cui rischiamo di non apparire perfetti come vorremmo quelli in cui strappiamo un’amicizia. 

Immaginateli così i nostri Colloqui di lavoro e venite a farne qualcuno perché di certo non finiscono qui.

Photo credits: Aeroporto di Bologna. Osvaldo Danzi e Pino Mercuri durante la tappa di chiusura della rassegna culturale.

CONDIVIDI

Leggi anche

La percezione del pericolo, ecco di cosa abbiamo avuto paura

Percezione del pericolo, delle soluzioni possibili, delle categorie di persone più esposte all’emergenza, percezione della nostra fragilità e della nostra forza: prima, durante e dopo una crisi è vitale saper gestire i bias che possono impedirci di vedere le dinamiche della crisi riconoscendo le risorse disponibili.   Prima della crisi: la mancata percezione del pericolo […]

Produttività e sostenibilità, tra ossimori e luoghi comuni

Secondo il rapporto United Nations Brundtland Commission del 1983, la sostenibilità può essere definita come “il soddisfare le necessità e fabbisogni presenti senza compromettere alle generazioni future di poter soddisfare i loro”. La sostenibilità non si limita alla semplice riduzione del nostro impatto sull’ambiente, riguarda le persone e la loro qualità di vita. Secondo questo approccio, […]

Capodichino Revolution

Ore d’anticipo per affrontare l’iter dei sacrosanti quanto estenuanti controlli. Ore d’attesa per il recupero del bagaglio da stiva, la pratica in aeroporto più noiosa di sempre. Ore nel vagare in cerca di un posto auto che sia non troppo lontano, non troppo caro, per la lunga sosta o custodia. L’incubo di ogni aspirante turista […]