COVID-19: la paura dei dentisti dall’Italia alla Svezia

Il premier svedese Stefan Löfven ha scelto la scorsa domenica sera per parlare del COVID-19, quando il tranquillo weekend di routine si smorzava. Intanto alla redazione di Senza Filtro continuavano ad arrivare segnalazioni di condotte professionali pericolose, in particolare in ambito odontoiatrico. Il premier, dai toni tutt’altro che perentori in materia di quarantena, ha scelto […]

Il premier svedese Stefan Löfven ha scelto la scorsa domenica sera per parlare del COVID-19, quando il tranquillo weekend di routine si smorzava. Intanto alla redazione di Senza Filtro continuavano ad arrivare segnalazioni di condotte professionali pericolose, in particolare in ambito odontoiatrico.

Il premier, dai toni tutt’altro che perentori in materia di quarantena, ha scelto questo frangente, interrompendo i palinsesti della tv di Stato, per il suo primo discorso alla nazione da quando è stato in qualche modo rieletto nel 2018. Già questo avrebbe dovuto mettere finalmente in allarme una cittadinanza finora troppo rassicurata, troppo poco informata sui pericoli del coronavirus e dell’impreparazione del sistema svedese alla voce “emergenze”.

Torniamo a parlare degli italiani che vivono a queste latitudini e delle loro paure, proprio a seguito delle numerose richieste di aggiornamenti che ci sono arrivate dagli italiani in Svezia e dai famigliari degli stessi in Italia. E delle richieste di aiuto che alcuni professionisti ci hanno lanciato, combattuti tra il rispetto dei dettami deontologici italiani e le non risposte delle autorità svedesi in merito alle linee guida per arginare il contagio.

 

Il dentista italiano in Svezia: “Costretto a operare senza protezione anche durante la pandemia”. Gli risponde l’Ordine dei Medici di Padova

La più emblematica è quella di Luca Pirero, 38 anni, dentista originario di Sanremo, in Svezia dal 2008. Luca ci ha contattati per capire come comportarsi sul luogo di lavoro, senza venir meno né ai suoi imperativi professionali né alla tutela della salute della collettività.

“Dal momento in cui è stata dichiarata la pandemia fino a ora – spiega – le disposizioni sono state: rimanere a casa in caso di sintomi anche lievi, evitare che i pazienti over 70 visitino la clinica odontoiatrica, misurazione della temperatura corporea del paziente e dei colleghi all’ingresso della clinica mandando a casa chi mostrasse segni di febbre.”

“Siccome l’obiettivo in uno stato di pandemia è quello di diminuire il contagio, per evitare il collasso del sistema sanitario e dunque il collasso economico, e siccome la fascia d’età di incidenza non è solo over 70, mi sono chiesto con che coraggio, consapevole di poter essere un portatore asintomatico del virus, potevo eseguire prestazioni sui miei pazienti, col rischio di contagiarli, essere contagiato e contagiare quindi i colleghi. Perché al lavoro usiamo le comuni mascherine chirurgiche, che non ci proteggono come invece le maschere FFP3. La visiera che utilizziamo è aperta, e non c’è quindi un sigillo sicuro del volto dell’operatore durante la prestazione. Inoltre, pur avendo una buona tecnica di aspirazione, non si ha mai un controllo totale delle sostanze liquide nel cavo orale. Così, la scorsa settimana ho chiesto ai vertici dell’azienda se non fosse il caso almeno di ottenere un consenso informato, affinché tutti fossero consapevoli del rischio contagio, in modo tale che ci fosse chiarezza etica. Non ho ricevuto alcuna risposta in merito e, ai miei dubbi riguardo un eventuale aggiornamento alle linee guida di igiene in fase pandemica, mi è stato detto di attenermi alle linee guida di base, poiché il contagio della stragrande maggioranza della popolazione è comunque inevitabile e nella maggioranza dei casi i sintomi sono leggeri.”

“Le misure prese dall’operatore allo stato attuale sono dunque identiche a quelle adottate precedentemente nei confronti di qualunque potenziale virus influenzale. Ovvero: mascherina chirurgica, visiera, guanti, completo a manica corta, grembiule di plastica monouso (che non copre gli avambracci). A questo si aggiungono ovviamente le normali misure di disinfezione delle superfici di contatto tra un paziente e l’altro. Ho anche posto domande riguardo alle distanze tra paziente e personale della reception e suggerito che nella zona di sala d’aspetto, cosi come anche in altre zone al di fuori della sala odontoiatrica, si adottino diversi comportamenti e misure di sicurezza. Anche in merito a questo non ho ricevuto risposta. Parallelamente ai dubbi deontologici, sono arrivati diversi messaggi da parte dell’azienda, ma in cui si parlava anzitutto dei contraccolpi economici globali che anche il nostro settore avrebbe avuto a seguito del coronavirus. Non posso non essere molto preoccupato”.

Gli risponde dall’Italia il dottor Ferruccio Berto, presidente della Commissione albo Odontoiatri dell’Ordine dei Medici di Padova, firmatario di una lettera di monito al vetriolo con la quale da settimane ha intimato agli associati di non lavorare se non in casi d’emergenza. “In questi giorni tutti noi siamo a rischio, più noi dentisti dei pazienti. Ma la cosa più importante per noi ora è far stare la gente a casa e non intasare gli ospedali. Molti dentisti sono stati chiamati negli ospedali pubblici e riconvertiti a far tamponi, o in pronto soccorso. Già da settimane ho ammonito i colleghi che non stavano rispettando il regime di quarantena. L’ultimo decreto emesso domenica sera poi lo dice chiaramente. I dentisti devono fare solo prestazioni urgenti, definite dopo un triage telefonico. Ripeto, solo urgenze indifferibili. Come la necessità di un’estrazione, o in caso di traumi o ascessi quando l’antibiotico non basta. Solo allora il paziente può recarsi allo studio dentistico; se è maggiorenne deve andare da solo, su appuntamento, assolutamente senza fermarsi in sala d’aspetto”.

Ma lei si sta riferendo a disposizioni relative alla sanità pubblica?

In Italia solo il 3-4% dei dentisti lavora nel pubblico; gli altri lavorano in studi privati. Comunque la deontologia è la stessa per tutti.

Il suo consiglio al giovane collega che lavora in Svezia?

Non esiste che il capitale vada a invadere la nostra etica professionale. Siamo medici, non commercianti. Anche qui in Italia purtroppo ci sono stati molti studi che hanno cercato di tenere aperto, perché hanno personale da pagare e quindi volevano far rendere “il giochino”. Ma ora è chiuso tutto, e deve restare chiuso tutto fino a quando non sarà superata questa situazione.

 

Svezia: le autorità negano il pericolo coronavirus, ma nel frattempo il Paese si prepara

Da settimane in Svezia medici e ricercatori coraggiosi, prima italiani e da qualche giorno anche svedesi, cercano di anticipare quanto la diffusione del COVID-19 sta ormai facendo in questi giorni anche al Nord. L’intento era quello di prevenire, rimarcando l’importanza non solo delle buone pratiche igieniche, ma soprattutto della quarantena collettiva, sulla scia di Cina e Italia.

I risultati, però, sono stati solo gli interventi pubblici di epidemiologi e infettivologi che sostenevano che gli asintomatici non fossero contagiosi e che i bambini dei malati di coronavirus potevano andare tranquillamente a scuola. L’epidemiologo di Stato Anders Tegnell, in particolare, aveva dichiarato che qualora vi fosse stata una diffusione del virus anche in Svezia il sistema sanitario avrebbe retto molto meglio di quello italiano. L’Ambasciatore italiano in Svezia ha risposto adeguatamente. Solo oggi Tegnell parla di “possibile dura prova per i medici”, dopo una serie di conferenze stampa quotidiane all’insegna del negazionismo generale, informazioni vaghe o sbagliate e indicazioni ambigue alla popolazione, che si è subito precipitata a svuotare gli scaffali dei market.

In realtà gli ospedali, che solo ieri hanno compreso l’importanza di stabilire accessi differenziati, sono in grossa difficoltà; se così non fosse non si spiegherebbe il fatto che a Stoccolma e Uppsala la Difesa sta montando ospedali da campo. I dottori esperti in medicina delle emergenze sono stati a lungo zittiti, anche dai media. Da settimane spiegano di non avere adeguate linee guida e sufficienti presidi di protezione individuale per il sempre più carente personale specializzato.

I numeri dei morti e dei contagiati crescono giorno dopo giorno anche qui, mentre le autorità per la cura della salute pubblica concentrano le loro conferenze stampa quotidiane sui focolai maggiori. Prima l’Italia, ora gli Usa. Intanto la maggior parte degli svedesi si reca al lavoro, perché “invitati” alla quarantena solo se ravvisano qualche sintomo, ma martedì le autorità della Pubblica Istruzione hanno deciso di cancellare tutti gli esami di scuola primaria e secondaria. Le grandi catene di distribuzione alimentare hanno svuotato per ragioni igieniche i banconi delle insalate self-service, e invitano sempre di più la popolazione a ordinare la spesa online per potersi limitare al ritiro presso il market. Ma l’iniziativa è ancora una volta dei privati, esattamente come nel 2018, quando i devastanti incendi estivi distrussero boschi per settimane: furono le aziende a togliere dichiaratamente dagli scaffali il necessario per il barbecue all’aperto.

L’unica azione presa dallo Stato è stata quella di posticipare per motivi non chiari l’orario di apertura dei negozi di monopolio per la vendita al dettaglio degli alcolici. Risultato: clienti comuni e persone con evidenti problemi di alcolismo si ammassano all’entrata, accedono in gruppo e formano in pochi istanti lunghe file alla cassa.

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