Critica ragionata al Manager Bergoglio

Ho avuto un grande privilegio, sono nato nell’era “pacelliana-mussoliniana”  e, essendo più vecchio di entrambi, morirò nell’era “bergogliana-renziana”. Due periodi storici così diversi ma con curiosi tratti in comune. Per questo sono molto interessato, sia a Bergoglio che a Renzi, ieri ho parlato del Premier, oggi “tocca” a Bergoglio. Una premessa doverosa. Sono, in contemporanea, […]

Ho avuto un grande privilegio, sono nato nell’era “pacelliana-mussoliniana”  e, essendo più vecchio di entrambi, morirò nell’era “bergogliana-renziana”. Due periodi storici così diversi ma con curiosi tratti in comune. Per questo sono molto interessato, sia a Bergoglio che a Renzi, ieri ho parlato del Premier, oggi “tocca” a Bergoglio.

Una premessa doverosa. Sono, in contemporanea, un cattolico “silente”, un liberale “liberale”, un Àpota. Come cattolico mai mi permetterei di contrastare il Papa, mentre non ho alcuna sudditanza intellettuale verso l’uomo che è in lui. Per questo, analizzo e commento il discorso che Bergoglio ha tenuto, nel decennale della morte di don Giussani, agli 80.000 aderenti a Comunione e Liberazione. E per un motivo molto semplice: CL è un modello organizzativo dal quale uno studioso di business e di management, come me, non può prescindere. Il management attualmente al potere, quello che si riconosce in Lloyd Blankfein di Goldman & Sachs (ricordate l’insuperabile “io faccio il lavoro di Dio”?) ha alcuni tratti che si ispirano al modello CL.

Eppure, Bergoglio, in 17 minuti e 4 secondi, ha freddamente messo a cuccia i ciellini, andando pure teologicamente sul pesante: “il centro non è il carisma, il centro è solo Gesù”  e ha ripetuto la sua strategia pastorale: “la comprensione del rispetto non solo per tutte le persone, ma anche per tutte le idee, con il primato delle opere per i poveri e per gli ultimi”. Curiosamente, nel suo linguaggio sono scomparsi termini come “cultura cattolica”, “filosofia cristiana”, sostituite da fratellanza, condivisione, assistenza. Si capiva che CL è lontana dalle sensibilità di Bergoglio, come la “minoranza dem” lo è da Renzi. Allora, mutuando la celebre metafora ferroviaria di don Giussani, possiamo forse dire che la Chiesa di Bergoglio non vuole più essere locomotiva ma “fanalino di coda di treni altrui”? Se così vuole, così sia.

Quale era l’originale filosofia manageriale di CL? Fare business, rispettando rigorosamente le regole del mercato, quindi del capitalismo, e utilizzare i relativi profitti per i poveri, una forma intelligente di “catto capitalismo” cresciuto in Italia, vedi caso, al tempo del “catto comunismo”. Gli ingenui di CL, carenti sul versante dell’internazionalizzazione, non hanno capito il mutamento genetico del capitalismo, verificatosi nel frattempo. Oggi siamo immersi nel “ceo-capitalismo” (il copyright è mio), un uomo solo al comando, con azionisti e Stati ai suoi ordini.

Quando Bergoglio dice “i carismi della Chiesa devono essere decentrati”, significa che la produzione della ricchezza e la sua distribuzione compete ormai al solo “ceo-capitalismo” (amici di CL prendetene atto). Bergoglio non sarebbe un gesuita se non avesse capito che questo tipo di capitalismo genera pochi posti di lavoro, per lo più professionalmente “poveri”, e produce invece molti “sfridi”. Questi finiscono nelle “periferie del mondo”, che stanno ingrossandosi mostruosamente. Il modello che ne deriva è proprio quello sudamericano delle favelas e delle lussuose ville adiacenti. In comune i due mondi finora avevano solo il “collante” del denaro e della droga (quelli delle ville consumavano, quelli delle favelas fornivano). Culturalmente, Bergoglio ha tagliato uno dei due, degradando però il denaro a sterco del diavolo che resta così nell’esclusiva disponibilità di coloro a cui compete, nella nuova ripartizione dei ruoli e del nuovo protocollo di valori. Il “ceo-capitalismo” produce ricchezza per le élite (solo loro sono autorizzate a maneggiare lo “sterco”, osservate la destrezza con la quale i ricchi borghesi raccolgono persino quello dei propri cani), delegando alla politica dei singoli Stati, ai Renzi del caso, la gestione operativa delle implicazioni, attraverso la strategia fattasi norma di “impoverire la classe media, sedare quella povera”.

Vi chiederete, ma quando parte della classe media sarà irrimediabilmente povera che succede? C’è la chiesa bergogliana che si fa carico della gestione di questi “sfridi”, cercando di dar loro un minimo di dignità umana. Bergoglio, seguendo Madre Teresa di Calcutta, anziché il Benedetto XVI di Ratisbona, ha deciso di non combattere ma di “confinare” la Chiesa nelle periferie, nelle banlieue, nelle favelas, negli slum, e trasformare i sacerdoti in “kapò buoni”. Una rivoluzione copernicana, una strategia che a un cattolico “silente” come me pare senza respiro futuro, ma chi sono io per giudicare?

Nello stesso tempo, avendo passato gran parte della mia vita con i giacobini, i liberal, le élite, le classi dominanti mi è chiarissimo perché costoro siano così “innamorati” di Bergoglio, e ultimamente pure di Renzi. Mi è meno chiaro che gli “sfridi” siano così silenziosi e apatici, così come noi dei media. Saremo mica tutti sedati?

[Articolo originale pubblicato su Italia Oggi]

CONDIVIDI

Leggi anche

Un’idea teatrale che vale più di un curriculum

In tempi di realtà virtuale, webinar, social network e curriculum con codici QR, può apparire anacronistico se non bizzarro che si usi una forma di comunicazione antichissima come il teatro per insegnare ai giovani come predisporsi a trovare lavoro. Certo, va detto che specialmente per i giornalisti è diventato di moda travalicare il media abituale e […]

L’ambiente senza educazione

Educazione ambientale come driver dello sviluppo sostenibile. Questa era la concezione che era alla base della Conferenza di Tbilisi, organizzata dall’UNESCO nell’ottobre 1977 sul tema che però già allora, eravamo agli arbori dell’ambientalismo che in quegli anni cresceva con il rifiuto del nucleare, aveva sentore della complessità. In quella occasione, infatti, l’educazione ambientale fu definita […]

Il Lato A di Andrea Pontremoli

Scarica il podcast della puntata. Andrea Pontremoli è amministratore delegato, direttore generale e partner di Dallara. È un uomo dotato della rara capacità di coniugare forma e sostanza, un eccellente oratore con un’importante carriera manageriale alle spalle, che negli ultimi anni ha trovato spazio anche nel settore imprenditoriale. Un risultato eccellente, senza dubbio; soprattutto per un giovane […]