Da giornalista a precaria: la “storia al contrario” di un’orfana dell’Unità

Un’ex giornalista a contratto racconta la perdita del lavoro e la vita da precaria in seguito alla chiusura del quotidiano fondato da Gramsci. Recensiamo “Una storia al contrario” di Francesca De Sanctis.

Francesca da Cassino frequenta il Dams a Bologna, dove segue le lezioni di Umberto Eco e Paolo Fabbri, si laurea con profitto e soddisfazione, si specializza alla scuola di giornalismo, inizia a collaborare con varie testate e a ventisei anni firma il suo primo contratto giornalistico.

Accade nel 2001, sembra un’era geologica fa. Oggi che nel mondo del giornalismo tutto è cambiato e torme di eterni collaboratori precari si arrabattano tra compensi ridicoli, false partite Iva e pagamenti in visibilità, l’inizio della storia autobiografica di Francesca De Sanctis, raccontata in Una storia al contrario (Giulio Perrone Editore, 192 pp., 17 euro), potrebbe perfino provocare un senso di fastidio in alcuni. Il suo percorso di carriera – certamente sudato, ma lineare – ci parla di qualcosa che sembra non esistere più. L’entrata in redazione come stagista, l’assunzione come redattore, la promozione a caposervizio sono tappe di un percorso professionale che oggi molti giovani giornalisti neppure si permettono di sognare, talmente accidentato sembra essere perfino il sentiero per ottenere una collaborazione retribuita il giusto.

Questa, però, è Una storia al contrario: dopo anni di lavoro stimolante e appassionato, la ventiseienne con il contratto a tempo indeterminato diventa, di colpo, una quarantenne precaria.

Il fallimento dell’Unità e quel contratto che non c’è più

Il giornale che l’aveva assunta e le aveva permesso di “fare a tempo pieno il mestiere che avevo sempre desiderato”, di scrivere di teatro e di cultura e di crescere personalmente e professionalmente, è infatti L’Unità. Il quotidiano fondato da Antonio Gramsci sospende le pubblicazioni nel 2017, a novant’anni dalla sua nascita, lasciando senza lavoro novanta giornalisti e poligrafici. Tra di loro c’è anche Francesca De Sanctis, incinta di quattro mesi e già madre di una bambina di cinque anni, per giunta in balia dei capricci di una malattia autoimmune che trae un forte nutrimento dalle preoccupazioni e dai momenti di stress.

Chi volesse approfondire le tormentate vicende del quotidiano storicamente vicino alla sinistra – i mille passaggi di proprietà, i cambi di direzione, linea politica, formato e contenuti – può facilmente rintracciare in rete le cronache di quegli anni. La narrazione di Francesca De Sanctis è invece e per forza di cose molto più personale.

L’Unità era una meravigliosa palestra letteraria, che puntava sui giovani talenti lasciando loro la libertà di scrivere e di ragionare”, scrive con evidente nostalgia. Francesca non si rassegna alla perdita di una redazione che considera come una famiglia e di un lavoro che è il centro di tutta la sua vita. L’Unità è “caduta sotto il fuoco nemico. Già il nemico, ma chi è il nemico? L’azienda? Un bilancio in rosso? Una linea politica sbagliata? Il mercato? Il PD?”, si interroga. Intorno a lei solo indifferenza e silenzio.

La guerra tra poveri dei precari del giornalismo

Occorre rimettere insieme i pezzi, ritrovare la propria identità, ricollocarsi in un mercato del lavoro che nel frattempo è profondamente cambiato e si è fatto sempre più barbaro e ingiusto. Da ex garantita, Francesca De Sanctis si scontra da un lato con un esercito di precari giovanissimi e agguerriti, pronti anche ad accettare le briciole pur di lavorare, e dall’altro con gli ultraprivilegiati, pochi e sparuti, ma decisi a non cedere di un millimetro di fronte alle richieste dei collaboratori.

Francesca si ritrova ad “affrontare la vita senza quel lavoro, che significava soldi, che significava amore”. Alle frenetiche giornate passate a scrivere in redazione si sostituiscono gli interminabili pomeriggi sprecati ad attendere una risposta del caporedattore di turno o la chiamata dell’amico vicedirettore che aveva promesso di dare una mano. In mezzo, la delusione per le proposte scartate o del tutto ignorate e le interviste assegnate ad altri.

A un certo punto Francesca De Sanctis non può fare a meno di scriverlo: “Quando incontro qualche collega freelance che, al contrario di me, non è mai stato assunto con un contratto giornalistico, mi sembra che provi anche un pizzico di felicità: ‘Adesso lo sai anche tu cosa si prova a stare nella merda’. Ammetto di averlo pensato anch’io, da ex giornalista senza tutele, per quanto, è bene ribadirlo, stiamo pur sempre parlando di una guerra tra poveri che non avvantaggia nessuna delle parti”.

Perché leggere Una storia al contrario

“Ho scritto per raccontare la gioia di una venticinquenne che firma il suo primo contratto giornalistico e il dolore di una quarantenne cassintegrata”, specifica Francesca De Sanctis nella prima pagina del libro, avvertendo l’esigenza di dover scrivere, stavolta, la propria storia invece di quella degli altri.

Ogni tanto, nella narrazione, l’autrice inserisce brani di alcuni articoli scritti durante la sua carriera: inserti che in verità poco aggiungono alla storia, da considerare senz’altro segno di orgoglio per il proprio lavoro piuttosto che mera autocelebrazione. La testimonianza di Francesca è dolorosa ma lucida, e le riflessioni che mette sul piatto andrebbero estese al mercato del lavoro nella sua interezza e non solo a quello del giornalismo (leggi alla voce rider).

“Vedo ragazzi giovanissimi accettare cinque euro lordi, accumulare un pezzo dopo l’altro e assestarsi sullo stesso risultato: cifre ridicole. Allora mi chiedo: cosa stiamo sacrificando sull’altare del lavoro?” C’è da rifletterci.

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