Disabilità: le persone giuste al posto giusto

Alternanza Scuola-Lavoro: i dati non sono confortanti Se si considerano i dati forniti dal MIUR nel rapporto sulla integrazione scolastica degli alunni con disabilità nell’a.s. 2014/2015 si attesta un notevole aumento delle iscrizioni negli istituti di ogni ordine e grado (+39,9% rispetto a dieci anni fa) con un aumento degli insegnanti di sostegno pari +6.4% nel 2015. Ma […]

Alternanza Scuola-Lavoro: i dati non sono confortanti

Se si considerano i dati forniti dal MIUR nel rapporto sulla integrazione scolastica degli alunni con disabilità nell’a.s. 2014/2015 si attesta un notevole aumento delle iscrizioni negli istituti di ogni ordine e grado (+39,9% rispetto a dieci anni fa) con un aumento degli insegnanti di sostegno pari +6.4% nel 2015. Ma le evidenze sull’alternanza scuola-lavoro sono ancora più preoccupanti. La qualità dell’istruzione degli studenti con disabilità è ancora problematica tant’è che l’8,5% delle famiglie nella scuola primaria e il 6,8% nella secondaria di I grado hanno presentato ricorso all’Autorità Giudiziaria.

I continui trasferimenti degli insegnanti di sostegno non assicurano la continuità didattica ed è inevitabile che anche la qualità della formazione ne risenta. I servizi di assistenza ai disabili nelle scuole non sono sempre garantiti in tutte le Regioni e anche l’accesso agli studi universitari presenta delle discrepanze a livello territoriale. Il tutoraggio è discrezionale, e, a causa della carenza di fondi, in molte realtà accademiche il servizio viene interrotto. Di fronte a queste informazioni, che rivelano delle mancanze di base, è chiaro che risulta molto difficile attuare un adeguato percorso di alternanza scuola-lavoro.

E infatti, è molto allarmante il tasso di occupazione dei giovani con disabilità che escono dalle scuole: appena il 3,5% riesce a trovare lavoro. Questo è il punto di partenza della proposta del II programma di azione biennale per la promozione dei diritti e l’integrazione delle persone con disabilità.

Nonostante il quadro critico possa suscitare sconforto, SenzaFiltro guarda al futuro e alle nuove sfide professionali, provando a tracciare un quadro oggettivo delle opportunità, ma anche delle carenze per quanto riguarda l’inserimento professionale dei disabili.

Non solo assistenzialismo. Ci vuole il lavoro

Quando si parla di disabilità negli ambienti di lavoro la lente di ingrandimento si restringe quasi sempre sui pregiudizi, sulle discriminazioni (o addirittura sugli abusi) che si verificano sia nella fase di ingresso professionale sia nella fase di collocamento. Tuttavia già parlare di “aiuti”, “tutele” o “garanzie” anziché di  “valorizzazione delle potenzialità e delle competenze dei disabili”, dà l’idea di quanto la prospettiva su questo argomento sia ancora oggi piuttosto limitata.

Complice un sistema assistenzialistico che mette la disabilità davanti a tutto, e non pone al centro la persona in quanto possibile risorsa umana proficua per l’azienda, al contrario la considera un ostacolo alla produttività. Andrea Canevaro è padre della pedagogia speciale e docente emerito dell’Università Alma Mater di Bologna, autore di diverse pubblicazioni di prestigio internazionale sulla disabilità. Secondo il docente, bisogna uscire dalla mentalità dell’elemosina e della commiserazione, bensì ci vogliono percorsi che valorizzino non la “diversa abilità” (espressione tanto ingenerosa quanto pregiudizievole), ma la diversificazione delle competenze. “Devono sentirsi lavoratori e non disabili e pertanto essere assunti per quello che sanno fare e non per la propria condizione.

La diagnosi di una malattia non deve utilizzata come una carta di credito per ottenere delle agevolazioni. Ad esempio, se una persona ha una disabilità fisica, ma altrettante capacità che possono essere potenziate con dei percorsi personalizzati, i limiti passano in secondo piano, perché non influiscono sull’attività che andrà a svolgere, afferma Canevaro.

Pertanto l’alternanza scuola-lavoro è una grande occasione da non perdere per creare un intreccio positivo tra cooperativismo e mondo aziendale, affinché non ci si accontenti di offrire una semplice “prestazione caritatevole”, ma concrete possibilità di inserimento lavorativo. «È importante incentivare progetti di didattica alternativa che puntino ad una innovazione che includa il turismo sociale, l’agricoltura solidale e i servizi alla persona» continua il pedagogista. «Il volontariato è una grande opera buona, ma non è lavoro».

«Ci vuole la collaborazione degli ordini professionali che devono uscire dalla loro storia di difesa dei diritti corporativi» conclude il docente dell’Università di Bologna.

Occorre un collocamento mirato

Simona Petaccia è una giornalista che da anni si occupa di comunicazione e turismo accessibile. È consulente presso enti pubblici, aziende ed associazioni che intendono realizzare progetti rivolti a tutti, e non solo ai disabili. Il suo impegno, anche in qualità di presidente della Onlus Diritti Diretti, è finalizzato “far comprendere che la progettazione universale significa qualità e sviluppo socio-economico per la comunità e l’imprenditoria, non solidarietà verso i disabili oppure obbligo di legge” come si legge nella presentazione del suo profilo.

Simona ci spiega qual è la sua visione del rapporto tra disabilità e mondo professionale e quali sono barriere da abbattere. «Per i disabili, la vera difficoltà legata all’ingresso nel mondo del lavoro è la fase dedicata alla selezione del personale. Si pensa ancora alle assunzioni obbligatorie, senza considerare che la legge 12 marzo 1999, n. 68 (norme per il diritto al lavoro dei disabili) parla di “collocamento mirato”» dice Simona. «Mi spiego meglio: Bisogna aspirare a mettere la persona giusta al posto giusto, valutando adeguatamente le persone con disabilità nelle loro capacità lavorative. Non comprendendo questo, infatti, si cercano tutte le scappatoie per non assumerli» afferma la giornalista. «Le quote d’obbligo e le sanzioni economiche (aumentate nel Job Act) sono state leve importanti per l’integrazione lavorativa di molti».

»Purtroppo, sono ancora necessarie perché la società non ha ancora fatto un vero e proprio cambio di mentalità, ma bisogna comunque migliorarla in base alla realtà odierna che registra numerosi disabili che hanno conseguito specializzazioni, lauree, master ecc» conclude Petaccia.

Disabilità valorizzate. Storie di successo

Simone Soria, 37 anni, affetto da tetraparesi spastica. Dopo la laurea in ingegneria informatica conseguita nel 2004, inizia a sviluppare FaceMouse, un software che aiuta i disabili motori a scrivere al computer senza l’utilizzo delle mani. Il brevetto, interamente ideato e progettato dall’ingegnere Soria, viene esportato anche all’estero, ottenendo riscontro perfino in Giappone, e diventa uno degli strumenti di comunicazione, studio e lavoro più accreditati.

Da lì nasce l’idea di fondare nel 2015 Aida Onlus, una cooperativa sociale che realizza ausili per persone disabili. Da un anno ha ideato progetti di alternanza scuola-lavoro, con la speranza di dare un esempio valido per le altre aziende. Tra gli obiettivi di Aida vi è anche la costruzione di un centro polivalente per realizzare percorsi di vita indipendente. Certamente il percorso che ha portato Simone a realizzare i traguardi prefissati non è stato esente da difficoltà ed insidie, come ci racconta grazie all’aiuto del suo collaboratore Michael. «Quando ho iniziato l’università a Modena nel 1998 – confida l’ingegnere – non c’era un percorso specifico per disabili».

«Hanno introdotto questo servizio tre- quattro anni dopo, quando ero sul finire dei miei studi. Durante il periodo accademico mi hanno aiutato i compagni di corso, sopperendo a quelle esigenze semplici (prendere appunti, mangiare o andare in bagno) che avrebbe dovuto garantire il servizio universitario».

Secondo il presidente di Aida Onlus i percorsi di alternanza scuola-lavoro sono uno strumento molto utile per creare opportunità ed innescare un circolo virtuoso. Invece per quanto riguarda i datori di lavoro che preferiscono pagare multe anziché assumere almeno la percentuale di disabili stabilita per legge, l’ingegnere non lascia dubbi. «Non è solo colpa delle aziende, ma anche dei Centri per l’impiego e degli altri uffici di collocamento non fanno un grande lavoro per l’inserimento dei disabili nei contesti lavorativi. C’è anche molta ignoranza sul piano legislativo. La legge per le assunzioni dei disabili esiste, ma si fatica a capire come debba essere applicata. Inoltre, l’azienda ha paura di assumere il disabile, perché teme che possa rallentare la produttività, soprattutto negli ambienti dove si pensa più al profitto» conclude Soria.

Disabilità penalizzate. Ogni escamotage è utile per non assumere

Leonardo Torto, 28 anni, abruzzese, affetto da Paraplegia, da anni conduce la sua lotta per la tutela dei diritti dei disabili, tra sentenze e ricorsi alla Commissione Giustizia UE. Per Lorenzo, superare la barriera del pregiudizio significa attuare, senza ipocrisie, una vera rivoluzione culturale che parta proprio dal mondo scolastico fino ad arrivare ai Centri per l’Impiego. «Gli annunci sono scandalosi e contrari alla direttiva comunitaria 78/2000 che impone soluzioni ragionevoli per il datore di lavoro che assume un disabile.

Basta andare sulla pagina principale per trovare annunci per categorie protette, come operaio, saldatore, elettricista, gommista o altri mestieri che implicano una grande potenza fisica, e che un disabile non potrà mai svolgere. La stessa cosa avviene nei Centri per l’Impiego di tutta Italia. È un escamotage per evitare di incorrere nelle multe previste dalla legge 68/1999 che, peraltro, sono molto irrisorie”. Di qui la provocazione forte: «Lo Stato deve prendere provvedimenti penalmente perseguibili, che non siano le semplici multe, e che arrivino fino alla chiusura dell’azienda per i datori di lavoro che non assumono disabili» conclude l’abruzzese.

Quando la fattoria sociale diventa un esempio di integrazione

Conca D’Oro è una fattoria sociale di Bassano del Grappa che ha trasformato un podere in un gioiello produttivo. Un esempio concreto di come sia possibile coniugare le risorse umane con disabilità all’impegno degli operatori. «La nostra cooperativa prevede diverse fasce, che vanno accoglienza nelle residenze-alloggio fino all’inserimento professionale, con i centri diurni, con i progetti alternativi attuati con la collaborazione della Asl e delle istituzioni, fino alla proposta concreta di far diventare le persone con disabilità socie della cooperativa, e quindi lavoratori a tutti gli effetti» afferma il presidente Fabio Comunello, psicologo e psicoterapeuta è il fondatore della cooperativa. Secondo lui: «Non si può pensare che le aziende, con i problemi che hanno, possano accettare così facilmente persone con disabilità».

«I tempi aziendali sono molto veloci e non si può realizzare un accompagnamento graduale e mirato al lavoro». Questo è, secondo il fondatore di Conca D’Oro, il vantaggio di essere assunti in una cooperativa sociale, dove l’ambiente è protetto e si possono realizzare progetti personalizzati.  «Molti giovani vengono inviati dal SIL (Servizio di Inserimento Lavorativo); c’è una fase di osservazione con un protocollo articolato attraverso il quale individuiamo le funzioni attive, cioè le loro competenze, e in base a ciò che sanno fare creiamo dei percorsi di apprendistato che durano fino a due anni. Insegniamo loro i codici di comportamento: la costanza, l’applicazione e il rispetto delle regole, che sono fondamentali per il lavoro di squadra».

«È importante che queste persone sentano che senza il loro contributo l’azienda fallisce» afferma il fondatore di Conca D’Oro.  Insomma tra battaglie vinte e altre ancora in corso, oggi c’è sicuramente maggiore sensibilità nei confronti dell’argomento rispetto al passato. Ora bisogna superare la sfida tra le sfide: uscire dal retaggio della disabilità come condizione di sofferenza e trasformarla in talento.

 

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