Ditelo ai gastronomi che la cultura non si mangia

In Italia la categoria che tutela e diffonde la conoscenza dei prodotti tipici di un territorio non ha un riconoscimento ufficiale e fatica a trovare una formazione adeguata. Ne parliamo con due rappresentanti dell’Associazione Gastronomi Professionisti.

Parlare di cibo significa parlare anche di sicurezza, storia, antropologia, turismo, salute.

Per scoprire meglio lo stato dell’arte di questo settore dal punto di vista professionale e degli esercizi commerciali – le gastronomie – ci siamo interfacciati con chi conosce approfonditamente le diverse sfaccettature dell’ambito: Paolo Tegoni e Giorgio Maria Zinno, rispettivamente presidente e segretario dell’Associazione Gastronomi Professionisti.

Nata nel 2019 e con sede a Parma, una delle province più riconosciute e ammirate in Italia dal punto di vista gastronomico, la realtà è stata fondata proprio da gastronomi professionisti che si occupano anche di didattica e formazione alta sul tema, collaborando con le università e facendo interventi di sensibilizzazione nelle scuole di vario ordine e grado.

“Il lavoro del gastronomo ha miriadi di applicazioni possibili, e tutte importanti”, chiarisce subito Giorgio Zinno.

I gastronomi professionisti, narratori del cibo e del territorio

La chiarezza prima di tutto: che cosa fa il gastronomo professionista? L’associazione parmense dà una definizione chiara e che vuole rendere giustizia alle diverse sfaccettature della professione, così come esplicitato sul sito istituzionale.

Il gastronomo professionista studia le dinamiche del cibo dalle sue origini alla produzione e al consumo. È un attento conoscitore dei territori, delle produzioni locali, dei mercati e dei vini. Degusta, distingue e giudica i prodotti, consapevole dei valori nutrizionali, identitari, etici e simbolici che essi rappresentano e racchiudono. Protegge e trasmette le peculiarità delle filiere agroalimentari.”

Chiarito questo punto importante chiediamo: che cosa significa essere gastronomi e gastronome oggi, anche rispetto al territorio? “Possiamo definirci dei comunicatori che mettono in risalto il portato culturale di un territorio dal punto di vista dei prodotti del settore agroalimentare”, sottolinea Paolo Tegoni. “Siamo quindi anche dei narratori attraverso il cibo, cartina tornasole straordinaria. Il gastronomo diventa così una figura indispensabile per tenere uno stretto contatto tra il pubblico e quel determinato territorio. Attenzione però, io sono parmense, ma ciò non significa che sia focalizzato solo su questo contesto: possiamo spaziare in ogni luogo, sia dal punto di vista scientifico che umanistico e letterario”.

Dal vostro osservatorio avete percezione che la figura del gastronomo e della gastronoma sia valorizzata a livello di formazione e di controlli, e quindi di tutela, oppure l’improvvisazione è un rischio che s’intrufola spesso in quest’ambito? “L’improvvisazione purtroppo esiste eccome”, chiosa Tegoni. “La nostra associazione è nata apposta per valorizzare la formazione con il corso di scienze gastronomiche. Si tratta di un lavoro che richiede preparazione”.

“Da un lato siamo fortunati perché i consumatori stanno aiutando a eliminare gli improvvisati”, sottolinea Zinno. “In particolar modo la pandemia ha fatto da setaccio a maglie più strette rispetto agli improvvisati, alzando l’asticella della richiesta di qualità e sicurezza. Dall’altro lato c’è tuttora tanta gente che ci prova, a improvvisarsi con la gastronomia. Anche come esercizio commerciale, ossia le gastronomie”.

Un esempio? “Pensiamo alle numerose call che girano adesso su LinkedIn in cui si scrive di ricercare gastronomi, ma in realtà, guardando la descrizione, vengono richiesti dei banconisti. C’è molta confusione tra i ruoli, con il rischio di dare un’immagine stereotipata del gastronomo, da alcuni ancora identificato con la figura sorridente al bancone che serve i prodotti e magari ti regala un grammo in più di prosciutto. In realtà nella nostra figura c’è ben di più”.

I nostri intervistati segnalano che ad oggi non esiste un albo e che risulta difficile inquadrare la categoria. “Per noi resta importante essere prima di tutto un’associazione di promozione sociale, raggiungendo le persone e facendo conoscere il vero ruolo dei gastronomi”, ribadiscono.

Ristoranti e gastronomie, la concorrenza che non ti aspetti

Le gastronomie nel tempo hanno saputo sempre più rinnovarsi, intercettando clientela che non solo porta a casa cibo già accuratamente cucinato, ma che si ferma magari in loco ad assaggiarlo o a consumarlo. Con i referenti dell’Associazione Gastronomi Professionisti riflettiamo sul rapporto tra gastronomie e ristoranti, e chiediamo: tra loro sono competitor, complici o segmenti diversi di uno stesso grande ambito?

“Probabilmente c’è una sorta di concorrenza”, riflette Tegoni. “Dall’altro lato però comprendo bene se una gastronomia punta a fare di più, ad esempio degustazioni, ovviamente nei termini in cui è possibile farlo e rispettando tutte le regole previste. È chiaro che questo incide sulla ristorazione, dove, non va dimenticato, c’è un corollario d’insieme che va al di là della pari qualità di prodotto, che non dipende dal fatto di essere un ristorante o una gastronomia”.

Ragionando sul fronte della cultura del lavoro Giorgio Zinno ci segnala un importante cambiamento rispetto alle figure lavorative: “I cuochi, ad esempio, sembrano ora puntare più a offerte di lavoro in grado di assicurare una maggiore libertà di tempo per sé piuttosto che a quelle che promettono maggiore remunerazione ma minor tempo libero”. Dati per testimoniare il fenomeno non ne abbiamo, ma ci troviamo sicuramente di fronte a una fase di cambiamento nel settore.

Gastronomie di quartiere vs centri commerciali: quali sono migliori?

Focalizzandoci sul tema delle gastronomie come esercizio commerciale, queste si dividono in due tipologie: il negozio di quartiere, magari anche in centro città, oppure la gastronomia all’interno del supermercato o del centro commerciale.

Ci sono differenze da voi rilevate in merito al servizio o alla qualità del prodotto? “La gastronomia della grande catena fa spesso più gola, perché mediamente consente di accedere a una parte di artigianalità anche a chi non ha determinate disponibilità economiche”, spiega Zinno. “Poi molto dipende dal contesto: mi è ad esempio capitato di trovare più selezione di salumi in una gastronomia di una conosciuta catena di supermercati che nella gastronomia di quartiere che magari non ha saputo rinnovarsi. Ci sono infatti gastronomie scomparse perché rimaste indietro o che si sono trasformate, raggiungendo così un livello elevatissimo”.

“Chi fa un lavoro di ricerca sugli alimenti, ad esempio sui formaggi, salumi, prodotti ittici o vino, poi raggiunge determinati traguardi e riesce a distinguersi rispetto all’offerta del supermercato. Ci sono però tanti tipi di qualità e il filtro lo fa il consumatore. C’è chi cerca più l’aspetto della salute, ad esempio un salume con meno grassi, e chi punta più alla tipicità o all’aspetto edonistico del cibo”.

Restando in tema, con SenzaFiltro abbiamo intercettato una segnalazione da parte di lavoratori che prestano servizio nelle gastronomie dei supermercati: in diversi lamentano una criticità, ossia la scarsità di personale. Questo determinerebbe maggior impegno e ritmo incalzante per loro. Da parte delle persone con cui vi interfacciate e che svolgono questo lavoro avete mai colto questa problematica? “Già da tempo conosco persone che lavorano in questi ambiti e che lamentano mancanza di personale”, afferma Tegoni. “Questo a detrimento della qualità del servizio, implicando anche turni più gravosi”.

“C’è anche la questione che ora vengono richieste competenze più elevate in termini di sicurezza e HACCP”, commenta Zinno. “Il fatto che alcune catene magari richiedano persone già formate e non investano loro stesse nella formazione crea magari più difficoltà nel reperimento delle persone adatte, e di conseguenza nella gestione del lavoro”.

Gastronomi, cosa serve, cosa manca

Abbiamo parlato di diversi aspetti, ma secondo voi che cosa manca tuttora nel settore della gastronomia – e che voi caldeggiate affinché venga sviluppato – per tutelare chi lo fa per lavoro, e i consumatori stessi?

“È necessario più che mai sviluppare una buona formazione in giovane età, Qui nel parmense avviene già da tempo grazie a una società chiamata Madegus, con cui collaboriamo”, specifica Tegoni. “Occorre prendere coscienza del valore del cibo fin da giovani e considerarlo un fattore culturale, che deriva dal lavoro dell’uomo in diversi contesti che coinvolgono la storia e la geografia. Dopo di che ci sarebbe da affrontare un percorso universitario, se possibile. Se fossi ministro batterei duro su questo tasto e inserirei nel programma scolastico, fin da bambini, la conoscenza e il valore del cibo, in modo ludico e adatto all’età, ma in maniera capillare e a livello nazionale. Questo formerebbe una società migliore anche sul tema dello spreco e della responsabilità, arrivando a comprendere meglio la figura del gastronomo oggi”.

“Una formazione come quella di cui parliamo eviterebbe lo scollamento tra i bambini e l’educazione al cibo che tuttora sussiste”, riflette Giorgio Zinno. “Mi è capitato di sentire bambini a scuola che pensavano che il latte si facesse con la farina perché bianca. Questa formazione permetterebbe anche un consumo più consapevole e salutare oltre che un rispetto maggiore nei confronti dell’ambiente, quanto mai essenziale per l’oggi e per il domani”.

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