Editoriale 101. La vita on demand

Era il 1989 quando uscì sul grande schermo Tesoro, mi si sono ristretti i ragazzi (il titolo originale era Honey, I Shrunk the Kids). Era figlio della Walt Disney Pictures e sta tuttora in cima ai casi di successo commerciale delle commedie fantascientifiche: soltanto Men in Black del 1997 (e i vari sequel) gli rubarono il […]

Era il 1989 quando uscì sul grande schermo Tesoro, mi si sono ristretti i ragazzi (il titolo originale era Honey, I Shrunk the Kids). Era figlio della Walt Disney Pictures e sta tuttora in cima ai casi di successo commerciale delle commedie fantascientifiche: soltanto Men in Black del 1997 (e i vari sequel) gli rubarono il podio. La storia è semplice e la chiave di lettura mi ha ricordato molto quanto accaduto ed accelerato nel 2020 con la questione pandemica: il mondo, e anche le persone, si sono rimpicciolite dentro gli schermi. Il grande tema è quello della miniaturizzazione del vivere.

Nel film il professor Wayne Szalinski, talentuoso inventore, rende quasi impossibile la vita alla sua famiglia e a quella dei vicini di casa, i Thompson. Il suo sogno è costruire ingegnosi oggetti capaci di sostituire vecchi elettrodomestici di casa ma Szalinski ha un grande limite: non ha tempo di perfezionarli, li lascia un po’ a metà, funzionano così e così. Finché un giorno, mentre lui va a presentare la sua ultima idea a un convegno di scienziati, in casa scoppia il finimondo tra i suoi figli e quelli dei vicini sempre in guerra: una palla tirata male accende il laser di una macchina sperimentale che può ridurre tutto a dimensioni microscopiche. E così sarà per i ragazzi delle due famiglie, il resto è la tessitura dell’intero film.

Dal 2020 abbiamo visto molto chiaramente un lato delle nostre vite fino a quel momento rimasto sfumato per molti (per chi non voleva capire) e chiarissimo a tutti gli altri. Abbiamo dovuto aumentare le distanze col mondo, da quello più lontano ai familiari più prossimi: in mezzo a questa catena emotiva è stato un attimo diluirci i gesti, gli acquisti, i consumi, le abitudini, il tempo libero, le scelte, le cose di tutti i giorni. Non ci siamo nemmeno accorti, lì per lì, quale fosse il contraccolpo sulla catena del lavoro perché proprio non siamo abituati a pensarla la catena del lavoro. Che invece è lunghissima, spesso abusata, incompresa, non di rado faticosa e dolorosa. Il rischio della miniaturizzazione del vivere è che si restringe anche lo sguardo su tutto quello che c’è dietro le nostre scelte.

Il mensile La vita on demand è dedicato all’invisibile e lo fa senza metro di giudizio: per scelta della redazione non troverete alcun contributo socio-psicologico sul patetico conflitto del giusto o sbagliato quando si parla di web o di online o di servizi in remoto. Semplicemente il Covid 19 potremmo considerarlo come il calcio accidentale dato sulla finestra di casa Szalinski mentre eravamo impegnati, ognuno di noi, a fare normalmente tutt’altro. Si è frantumato il vetro e siamo diventati piccolissimi: l’augurio è che ci si accorga di quanto gigante sia il problema del lavoro a cui non rivolgiamo mai lo sguardo perché meno a portata di mano del nostro lavoro personale.

C’è gente che lavora per noi e che riempie di senso tutti i nostri click ma il mercato del lavoro non li guarda e non li considera tanto quanto non lo facciamo noi: guardiamoli finalmente come ai fili d’erba di colpo giganti che si trovarono di fronte i minuscoli figli di casa Szalinski.

Photo by Victoria Heath on Unsplash

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