Editoriale 45. In questo mondo di guru

Davanti a certi facchini che sollevano pesi smisurati, il “come fanno?” ce lo siamo chiesto tutti. Che inganno, il nostro, tutte le volte in cui facciamo da mazziere con noi stessi al gioco delle tre carte e puntualmente perdiamo; o quando, tra il fare e il sentire, diamo per vincitore il primo a tavolino. Siamo tutti […]

Davanti a certi facchini che sollevano pesi smisurati, il “come fanno?” ce lo siamo chiesto tutti.

Che inganno, il nostro, tutte le volte in cui facciamo da mazziere con noi stessi al gioco delle tre carte e puntualmente perdiamo; o quando, tra il fare e il sentire, diamo per vincitore il primo a tavolino. Siamo tutti facchini, è solo che spostiamo altro. Solleviamo pensieri più grandi di noi e, pur sentendone il peso, andiamo avanti come fossimo traslocatori di professione. E’ in quel trambusto, in quello sforzo esatto, che si insinua una tentazione di scioltezza, di rapida elasticità per progredire.

Togliere peso: i guru dovrebbero fare questo di mestiere, che però funziona nella misura in cui non indeboliscono pure la struttura. Al contrario, se ci guardiamo intorno, l’impressione è che i guru abbiano messo in atto abili mistificazioni a cui molti han dato fede. Guru sono quattro lettere in croce a cui abbiamo delegato stili di vita, di vendita, di relazione, modelli per tutte le taglie anche se abbiamo corporature distinte. Dalla finanza alla politica, con tutto l’umano lavoro che in mezzo si dimena per arrivare a campare, ci hanno distratti proprio per bene invitandoci a guardare verso la loro via maestra mentre ci smontavano le fondamenta dal basso. Non si tratta di colpe a senso unico, va detto soprattutto per i cultori degli alibi, perché il guru ti porta fin dove gli consenti di andare; le eccezioni esistono e non si chiamano così a caso.
Jean Raspail ha 91 anni e il mondo intero lo sta riesumando solo adesso da quell’unico lavoro letterario considerato bibbia per le politiche anti-immigrazione, Campo dei Santi scritto nel ’72. A livello globale assistiamo a un’arte del governo più fragile delle piume, con la differenza che le piume dopo un po’ volano via. Consiglieri che bisbigliano ad altri consiglieri dentro un meccanismo da telefono senza fili in cui basta fraintendere una vocale per rovinare un universo. Steve Bannon, poco più che cinquantenne con diversi mestieri in tasca dal giornalismo al cinema e pubblicamente ispirato all’anziano francese, senza dubbio è la voce all’orecchio di Trump, il suggeritore delle sue mosse a venire. Sembra un lavoro a sé la politica ma non è poi così distante dalla consulenza spinta che ha saturato imprese e persone, svuotandone la responsabilità dei ruoli e infilandola sotto il cappello di qualcun altro. Il guru vive a tanti livelli solo se glielo si permette, capace com’è di lavorare al posto nostro, facendo il terzista delle decisioni, offrendosi persino come controfigura e come stuntman nelle scelte più serie.

L’iperaccelerazione moderna, ormai innescata senza freni, confonde volutamente le velocità dei singoli – imprese, persone, storie – mentre ci sarebbe da stringere i denti tutti i giorni per ribellarsi a quella direzione a senso unico dettata da pochi. Certo che può esser d’aiuto avere la complicità di qualcuno messo in posizione diversa dalla nostra per avere buoni indizi di percorso ma la differenza sta nel dove gli concediamo di appostarsi: troppo in alto, per guardare più lontano al posto nostro, e rischiamo di non sentirne la voce; troppo vicino, per coprirci le spalle, e ci facciamo schiacciare; troppo distante, per garantirgli un campo visivo più ampio, e ci confonde col resto.
Anche per la nostra immagine e reputazione, complici tecnologia e social media, siamo stati sommersi da “maestri” che si esprimono per avverbi, convinti che sia sufficiente spremere i modi per far uscire la sostanza. E’ l’illusione della beata ignoranza per la quale non è più tempo di intercedere: abbiamo invece il dovere di scegliere insegnanti diversi e il diritto di rimandare al mittente i fasulli.

Piccoli indizi si fanno preziosi: chi ci spinge al consumo ci inganna, chi ci invita a sottrarre ci aiuta; i metodi uniformi ci svuotano, l’espressività individuale ci eleva; chi si espone costantemente in pubblico ha già messo al centro se stesso e figuriamoci se può guidare la vita di un altro; buone dosi di silenzio rendono i maestri più credibili.
La giusta distanza dai consigli è il mezzo di trasporto più sicuro. Vale sempre, lavoro compreso.
“Dissolvere la compattezza del mondo” fu una delle espressioni usate da Calvino nella prima delle sue irrinunciabili Lezioni Americane. I guru dovrebbero darci la leggerezza che manca e non offrirci soluzioni che spettano per buona sorte a noi. Raccomandazione d’obbligo è non farsi mai sottrarre paure e insicurezze, cartine geografiche in rilievo di ciò che siamo istante per istante. E’ in viaggio, solo da turisti, che possiamo permetterci il lusso di chiedere indicazioni precise sulla strada. Per tutto il resto vale la pena accontentarsi di buoni indizi coi quali rimboccarsi le maniche da soli.

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