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È presuntuoso parlare di felicità nelle aziende? Diamo materiale e motivo ai nullafacenti? Creiamo ambienti poco produttivi? O più semplicemente il lavoro, nell’immaginario collettivo, è impegno, fatica, stress, competitività che mal si sposano con le caratteristiche della parola felicità? Identikit della felicità lavorativa Allenarsi alla felicità non è vedere sempre tutto rosa, perdere di vista […]
È presuntuoso parlare di felicità nelle aziende? Diamo materiale e motivo ai nullafacenti? Creiamo ambienti poco produttivi? O più semplicemente il lavoro, nell’immaginario collettivo, è impegno, fatica, stress, competitività che mal si sposano con le caratteristiche della parola felicità?
Allenarsi alla felicità non è vedere sempre tutto rosa, perdere di vista i problemi reali, avere sempre il sorriso sulle labbra e considerare tutto semplice. La vita è difficile e va presa sul serio. Ma essere seri e essere felici è davvero una contraddizione? In realtà la felicità non esclude il senso di responsabilità, la profondità di pensiero, la consapevolezza delle proprie azioni. Si può essere felici e seri, felici e ottimi lavoratori, felici e genitori attenti. La felicità fa parte della complessità della vita: è la lente con la quale interpretiamo positivamente la realtà. È uno stato mentale, una positività che influenza il modo in cui approcciamo gli altri, leggiamo le cose che accadono, reagiamo agli ostacoli, i sogni che ci permettiamo, i desideri che coltiviamo.
Le Nazioni Unite stampano a settembre di ogni anno il World Happiness Report, un rapporto sul benessere dei cittadini nel mondo, e vi è un capitolo in cui si analizzano i benefici del pensiero positivo e della felicità rispetto ai fattori relativi a Reddito, Produttività e Comportamento Organizzativo. Questi i risultati:
Che cosa vuol dire e come portare la felicità nelle aziende? La felicità è un modo di essere che va appreso e messo in atto.
Le neuroscienze ci dicono che non si nasce felici; o meglio, che essere felici non è un fattore esclusivo del DNA o di fattori esogeni (es. i soldi, lo status sociale, l’aspetto fisico), ma la qualità della nostra vita passa attraverso la qualità dei nostri pensieri, che a loro volta producono sentimenti e comportamenti. La maniera in cui percepiamo il mondo, le cose che ci accadono, le parole che si dicono e quello che facciamo, determina in positivo o in negativo il nostro approccio alla felicità.
Lavorare per la felicità vuol dire acquisire competenze che riguardano la conoscenza di come si formano i pensieri, che cosa sono gli automatismi comportamentali e come immettere nuove abitudini. Significa comprendere come nascono le emozioni e come, non gestite, possono diventare degli autogol; essere consapevoli delle resistenze al cambiamento, conoscere i propri modelli interpretativi e leggere in maniera diversa il contesto tramite il reframing. Infine, vuol dire anche imparare la metodologia delle domande produttive, allenarsi alla resilienza mentale ed emotiva, definire le proprie aspettative, quelle dei propri colleghi, quelle dei clienti, e incorniciarle all’interno delle proprie competenze.
La felicità in azienda è una cosa seria fatta di più ingredienti, dalle neuroscienze alla psicologia, alla mindfulness, all’organizzazione aziendale, alle tecniche motivazionali.
In questi ultimi anni si parla spesso di mettere al centro l’individuo, che le imprese sono fatte dalle persone, che l’innovazione è una competenza umana. Si parla di benessere organizzativo e c’è una corsa generale al welfare aziendale. Come ho già sottolineato in altri miei articoli, pur non negando l’importanza di tutte le attività di welfare e l’attenzione all’ambiente di lavoro, io posso avere in azienda l’asilo nido ed essere una persona fondamentalmente negativa o pessimista; posso avere il biliardino e utilizzarlo per aumentare la competitività con il mio collega, e così via.
Lavorare con e per le persone vuol dire aiutarle a conoscere al meglio i propri meccanismi di pensiero e di azione, dare loro nuove tecniche di approccio alle situazioni, ricongiungere i propri obiettivi agli obiettivi dell’azienda.
Non dobbiamo avere paura della felicità: non ha controindicazioni, approva il successo e il business. E a tutti i manager che, al momento di mettere in calendario il seminario, hanno detto e mi diranno “va bene tutto, ma possiamo cambiare titolo? Non so, allenarsi al benessere, alla gioia, allo star bene, ma utilizzare il termine felicità, non le sembra esagerato?”, rispondo con un sorriso: “No, parleremo proprio di felicità”.
Gli atenei riprendono le lezioni tra app di tracciamento, detassazioni e protocolli. Ma i rettori avvertono: “Questa non è la vera università”.
Parli di Torino e delle sue imprese e puoi star certo che qualcuno evocherà lo “spirito sabaudo”. Forse qualcosa di vero c’era, un secolo fa. Oggi è un trito stereotipo, per di più parecchio sviante. Le imprese torinesi e piemontesi hanno poco a che fare con l’ottuso rigore dei Savoia, per inciso una delle peggiori […]
I paradossi del lavoro contraddistinguono la società del XXI secolo nella quale si registrano situazioni poco chiare come nelle facoltà umanistiche dove la frequenza del dottorato non è compatibile con i corsi di abilitazione all’insegnamento. I dottorati che intendono insegnare nelle scuole medie devono iniziare un percorso nuovo, perdendo quel tempo prezioso e procrastinando di […]