Il tesoretto delle fondazioni bancarie, congelato da interessi finanziari

Quattrocento milioni di euro in fumo, dal buco nero dei crediti facili di Banca Marche, soldi delle tre fondazioni bancarie principali azioniste dell’istituto di credito: i risparmi che intere generazioni di marchigiani avevano accumulato nelle vecchie casse di risparmio. Lente nell’adeguarsi ai dettami normativi, latitanti dal ruolo primario di motore dello sviluppo del territorio, le fondazioni bancarie restano […]

Quattrocento milioni di euro in fumo, dal buco nero dei crediti facili di Banca Marche, soldi delle tre fondazioni bancarie principali azioniste dell’istituto di credito: i risparmi che intere generazioni di marchigiani avevano accumulato nelle vecchie casse di risparmio. Lente nell’adeguarsi ai dettami normativi, latitanti dal ruolo primario di motore dello sviluppo del territorio, le fondazioni bancarie restano passive spettatrici, nel travaglio economico del Belpaese.

Un caso da manuale, quello marchigiano, dell’anomalia tutta italiana delle istituzioni del privato sociale – quali le fondazioni, appunto – che detengono partecipazioni azionarie e governance delle principali banche italiane, oltre al 18,4 per cento della Cassa Depositi e Prestiti con 64 azioniste, in un contesto di mancata trasparenza, in bilico tra l’impiego delle erogazioni con finalità sociale e di investimento per lo sviluppo territoriale e la necessità di scelte finanziarie e di credito – derivanti dalla gestione di mercato – alla base della normale attività bancaria.

“Le fondazioni bancarie stanno in un punto centrale del sistema economico e possono essere il motore di questo pensamento, dove sono pezzo dell’interesse generale – osserva l’economista Roberto Schiattarella. La finanza e le banche hanno una funzione di interesse generale. Riuscire a coinvolgere nelle visioni etiche luoghi così importanti nel funzionamento del sistema economico, per intercettare il futuro sarebbe semplicemente una scelta doverosa e nello stesso tempo piena di possibilità, aprirebbe a tutti noi delle possibilità straordinarie”.

Per modificare il ruolo delle fondazioni nel sistema economico l’allora ministro Giulio Tremonti propose nel 2002 una riforma del sistema, mai andata a regime e bocciata anche dai ricorsi al Tribunale amministrativo regionale del Lazio ed alla Corte Costituzionale, sul modello americano, per cui molti la definirono “esproprio di Stato” essendo prevista la cessione delle partecipazioni bancarie.
All’epoca, l’avvocato Giuseppe Guazzetti, presidente dell’Acri (Associazione di fondazioni e Casse di risparmio) aveva puntato il dito contro la riforma, che a suo dire trasformava le fondazioni in “enti pubblici asserviti allo Stato e agli enti pubblici locali”.

Classe 1934, Presidente della Fondazione Cariplo dal 1997 e dell’Acri dal 2000, si è impegnato nell’applicare il  Protocollo di intesa firmato lo scorso aprile dall’Acri con il Ministero dell’Economia e delle Finanze che prevede di limitare il patrimonio delle Fondazioni all’interno delle banche ad una quota massima del 30 per cento, per poter applicare alcune norme previste dalla legge Ciampi-Amato, che risale al 2003. Si stima che questo porterà ad un’iniezione di liquidità possibile nel sistema economico, pari ad otto milioni di euro, un “tesoretto” per iniziative sociali, ma molto resta da fare.

Al 31 dicembre 2014 su 88 Fondazioni 26 non avevano più alcuna partecipazione nella banca originaria, 50 avevano partecipazioni minoritarie in società bancarie conferitarie facenti parte di gruppi bancari, mentre le altre 12, di minori dimensioni, mantenevano una quota di maggioranza, come ad esse consentito dalla deroga alla riforma Ciampi. “C’è una crisi di valori nel modo in cui si gestisce la cosa pubblica, la politica è resa subalterna alle ragioni dell’economia, come se queste ragioni fossero talmente forti da costringere a comportamenti che non hanno come riferimento l’etica. Occorre un recupero del ruolo sociale delle fondazioni – osserva ancora Schiattarella – ricominciando a pensare ai valori che noi vogliamo, riguardare la Costituzione, pensare a dei momenti di elaborazione che permettono di creare luoghi del futuro, quella civiltà possibile che attraverso istituzioni come le fondazioni possono diventare una civiltà veramente possibile”.

Il sistema bancario nazionale è “ancora prevalentemente condizionato dal ruolo delle fondazioni, le quali avrebbero dovuto invece assumere un ruolo distinto e non di azionista, con investimenti diversificati finalizzati allo sviluppo di attività sul territorio”, parola di Giovanni Pitruzzella, presidente dell’Antitrust. A dare una stoccata alle possibilità di commistione di interessi nelle banche da parte delle fondazioni è l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato che nelle “Segnalazioni per la legge annuale per il mercato e la concorrenza 2014”, raccomanda di “rafforzare la separazione tra fondazione e banca conferitaria”, ampliando il “divieto di detenere il controllo di una banca anche nei casi in cui è esercitato di fatto, anche congiuntamente con altri azionisti”.

Nella relazione del presidente Pitruzzella si sollecita anche una più incisiva applicazione delle norme in materia di nomine degli organi di queste istituzioni.
La forte presenza delle fondazioni nell’azionariato bancario evidenzia secondo lui limiti “in termini di scarso incentivo allo sviluppo di una piena concorrenza” poiché si assiste “alla presenza di una fondazione di riferimento con conseguente limitata contendibilità della banca partecipata e rischi di effetti domino tra la situazione patrimoniale di fondazioni azioniste e banche partecipate; alla presenza delle medesime fondazioni nell’azionariato di più banche che invece dovrebbero essere concorrenti”, ricordando che sulla necessità di una loro riforma si è espresso anche il Fondo Monetario Internazionale.

In uno studio del settembre 2014 l’Fmi ha affermato che le fondazioni “non hanno azionisti e sono soggette all’influenza politica, che finisce così per colpire la composizione dei corpi decisionali e le attività delle banche italiane”, aggiungendo inoltre che “sono azioniste di maggioranza nel 23% delle attività bancarie italiane attraverso la partecipazione in oltre il 20% del capitale bancario”.

Al 31 dicembre 2014 il patrimonio delle fondazioni bancarie italiane, secondo i dati Acri, è di 48,6 miliardi di euro, tra il 2000 ed il 2014 le erogazioni totali hanno raggiunto i 18,4 miliardi di euro. Nel 2014 l’avanzo di gestione è stato di 1,662 miliardi contro 1,099 miliardi del 2013 (+51,2%). Le erogazioni deliberate sono cresciute dagli 884,9 milioni di euro del 2013 ai 911,9 milioni del 2014 (+3,1%).

Di queste risorse il 29,9% (272,8 milioni) è andato al settore Arte, attività e beni culturali; il 14,4% a Volontariato, filantropia e beneficenza (131,7 milioni, di cui 45 milioni destinati ai Centri di servizio per il volontariato, in base alla legge 266/91); il 13,6% (123,6 milioni) all’Assistenza sociale; il 13,3% (120,9 milioni) al settore Educazione, istruzione e formazione; il 12,5% (114,4 milioni) a Ricerca e sviluppo; il 7,6% (68,9 milioni) alla Salute pubblica; il 5% (45,4 milioni) allo Sviluppo locale; il 2% (18,4 milioni) alla Protezione e qualità ambientale; lo 0,9% (8,1 milioni) a Sport e ricrezione; il restante 0,9% va ai settori: Famiglia e valori connessi; Religione e sviluppo spirituale; Diritti civili, prevenzione della criminalità e sicurezza pubblica.

Salito il carico fiscale: “si è passati dai 100 milioni di euro di carico fiscale complessivo nel 2011 ai 170 del 2012 e del 2013 per arrivare ai 424 milioni di euro pagati dalle Fondazioni nel 2014”, si legge nella nota Acri, con il rendimento medio del patrimonio che cresce al 5,5 per cento. Nel 2014 le Fondazioni hanno finanziato 22.805 iniziative (+2,1% sul 2013), con un valore medio per intervento di 39.985 euro (39.619 nel 2013); 259 è il numero dei progetti realizzati mediamente da ogni Fondazione.
I beneficiari delle erogazioni delle Fondazioni sono sempre soggetti che perseguono finalità non lucrative di utilità sociale: dunque sono soggetti privati non profit – ad essi va il 67,7% degli importi erogati (67,1% nel 2013) e il 69,1% del numero di interventi (69,6% nel 2013). In merito alla distribuzione geografica delle erogazioni, al Nord va il 70,6% delle risorse, di cui il 40% al Nord Ovest e il 30,6% al Nord Est; al Centro il 22,7%; al Sud e Isole il 6,8%.

L’Europa osserva con uno sguardo critico la situazione italiana e chiede di cambiare. Nello studio della European Foundation Centre, Giuliana Gemelli e Maria Alice Brusa dell’Università di Bologna affermano che “la maggior parte delle fondazioni non ha collaborato allo studio di dettaglio per la mancanza di un database strutturato e di politiche di trasparenza”.

“Nonostante pochi casi di buone pratiche a supporto della ricerca nei settori delle tecnologie e biomedico, le fondazioni di origine bancaria rappresentano un quadro istituzionale molto asimmetrico ed irregolare, di recente frequentemente caratterizzato dagli scandali (il più recente riguarda una delle maggiori fondazioni italiane Monte Dei Paschi di Siena) nonché dal fatto che praticamente nessuna fondazione promuove in modo diretto la ricerca innovativa“, aggiungono le studiose, “inoltre la loro ambivalenza istituzionale tra la definizione statutaria di entità private ed il loro “pratico” comportamento come enti pubblici che frequentemente tratta o interagisce con questioni politiche e potere pubblico regionale o locale, ha prodotto un livello crescente di biasimo”.

Per cambiare scenario rilevano Gemelli e Brusa c’è “bisogno di colmare il divario tra la “vecchia” struttura istituzionale e giuridica, in cui la mancanza di trasparenza e partecipazione pluralistica è ancora in evidenza, ed il nuovo impeto verso l’innovazione, nel quale le consuete pratiche in termini di creazione di sovvenzioni prevalgono”, superando “la mancanza ed il limitato sviluppo delle fondazioni direttamente coinvolte come attori principali o esclusivi coinvolti nella ricerca, senza un intermediario nel settore pubblico (Miur) o in quello privato (fondazioni di origine bancaria)”.

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