Con te non ci lavoro!

Ogni azienda ha una serie di criteri, più o meno condivisibili, per la scelta dei collaboratori esterni con cui portare avanti progetti. Quasi sempre questi criteri sono un risultato delle nostre passate esperienze lavorative, dei valori che abbiamo abbracciato e dell’approccio che ci aspettiamo di trovare nelle persone da selezionare. Se c’è un aspetto utile […]

Ogni azienda ha una serie di criteri, più o meno condivisibili, per la scelta dei collaboratori esterni con cui portare avanti progetti. Quasi sempre questi criteri sono un risultato delle nostre passate esperienze lavorative, dei valori che abbiamo abbracciato e dell’approccio che ci aspettiamo di trovare nelle persone da selezionare.
Se c’è un aspetto utile che consiglio di tenere sempre a mente, è il fare tesoro di tutte le esperienze lavorative vissute nei vari ruoli: da dipendente o da freelance o da imprenditore.

Il posto del freelance

Una cosa che ho imparato ad apprezzare sono i freelance che sanno stare al loro posto, questo posto però non è come molti pensano dietro al cliente. Non servono professionisti fedeli come cagnolini che aspettano il biscottino del “permesso a fatturare”. Bensì il posto di un lavoratore autonomo è di fronte al cliente, con la capacità di esprimere il proprio parere e la serietà di articolarne le motivazioni.

La giornata lavorativa

Se mi viene venduta una giornata di lavoro, esigo una giornata di lavoro. Significa che mi aspetto che l’attività lavorativa inizi e sia condotta da una persona possibilmente riposata, che le interruzioni per “mettere a posto X per cliente Y” non ci debbano essere (per davvero) e che il collaboratore faccia reali pranzi e poi stacchi quando la giornata lavorativa è conclusa. Gli hero coder che fanno nottate in bianco per far vedere quanto lavorano sono dannosi, cerco professionisti che abbiano la mente acuta e sveglia per risolvere i task assegnati nel migliore dei modi. Se poi hai l’abitudine di fare 16h di lavoro al giorno, vendendo 2 giornate di lavoro a due clienti diversi, va persa. E’ una mancanza di rispetto per il team con cui il freelance lavora, con l’azienda, con me ma anche con tutti gli altri clienti.

Il valore rilasciato deve combaciare con quello fatturato

Se viene scelto un freelance per fare un’attività particolare, è perché c’è bisogno di una specifica competenza. Se pago un collaboratore in proporzione più di un dipendente senior, non è perché mi aspetto solo la stessa capacità produttiva, ma perché mi aspetto, soprattutto, che venga portato al progetto e al team un valore aggiunto dato dalla sua esperienza e che questa esperienza sia trasmessa costantemente.

La prima impressione è importante

Riceviamo moltissime email con proposte di collaborazioni. Alcune scritte senza guardare la grammatica, la punteggiatura o anche gli errori di battitura. Altre, quelle che più ci danno fastidio, sono quelle dove ci viene detto che siamo una webagency (non lo siamo) e ci viene allegato un sito/curriculum comprato da ThemeForest (o simile) con case studies tutti uguali ricchi di lorem ipsum. Se la prima tipologia di errori è in qualche modo accettabile, non posso dire lo stesso per la seconda tipologia. Proposte fatte senza aver minimamente studiato – ma anche solo inquadrato – il cliente e il mercato che rappresenta vengono scartate a prescindere e lasciano terra bruciata sotto i propri piedi.

Investiamo in chi investe in se stesso

In diverse occasioni ci siamo ritrovati a sentire scuse come: “eh, questo computer non è il mio, non conosco bene il sistema operativo”, “sono mesi che dovrei aggiornare/rimettere in sesto/comprare un nuovo computer ma non trovo mai il tempo di farlo” o anche “non ho mai studiato X perché non l’ho mai ritenuto utile per il mio lavoro”. Sono tutte scuse e, per di più, sono scuse che denotano una scarsa professionalità nell’aggiornarsi professionalmente e nel lavorare in condizioni ottimali per la propria produttività. Fare lo sviluppatore con un laptop vecchio di 5–6 anni significa rilasciare più lentamente il proprio codice, non poter usare agevolmente macchine virtuali o IDE di ultima generazione o, semplicemente, rischiare da un momento all’altro la morte di un dispositivo ormai logorato. Un lavoratore autonomo deve investire in se stesso e nelle proprie attrezzature, perché proprie queste ultime divengono il veicolo di trasmissione delle sue competenze.

Non cerchiamo un dipendente

O meglio, stiamo cercando un freelance. Non è venuto in mente che probabilmente lo facciamo perché ci mancano competenze su qualcosa in particolare relativo ad uno specifico progetto? E che forse poi non ci serviranno una volta terminata l’attività? Un bravo libero professionista deve sapersi gestire il tempo in modo da mantenere le proprie attività di networking ed avere sempre un paio di clienti attivi. Occupare il 100% del proprio tempo per un singolo cliente significa che in realtà la scelta professionale che si vuole perseguire è quella del dipendente, non quella del freelance. Diventa anche opportuno avere l’onestà intellettuale di chiedere al cliente se è interessato all’assunzione.

Telelavoro solo a chi se lo merita

Ormai lavorare in un’azienda diffusa è abbastanza comune, o almeno lo è nel ramo del knowledge work. Noi stessi incoraggiamo questo concetto spronando i dipendenti a prestare il proprio servizio da spazi di coworking o da altre aziende, come ospiti. Questo però non significa poter fare telelavoro in orari improbabili o in strutture inadeguate. Ad esempio, se il lavoro richiesto necessita di confronto continuo con il team, bisogna innanzitutto valutare se la propria connessione sia idonea a consentirlo e se l’ufficio in cui si risiede è sufficientemente silenzioso o insonorizzato per permettere lo svolgimento di lunghe sessioni di call. Situazioni quali: ADSL ai limiti del ridicolo, la mancanza di un supporto hardware ottimale, prime tra tutte le cuffie con riduzione del rumore, sono solo alcuni esempi che esprimono l’impossibilità di lavorare da dove si vuole.

Ogni cosa al suo tempo

È facilmente intuibile per quale motivo alcuni freelance facciano questa scelta professionale, innanzitutto la totale autonomia nel gestire il proprio tempo di lavoro. Il voler fare il remote worker è certamente un privilegio che mai deve impattare negativamente sul lavoro dell’intero team. Forzare i propri ritmi o allungare il ciclo del feedback perché si è abituati a lavorare in notturna non facilita il lavoro in un gruppo, anzi lo rallenta e rischia di inficiarne la qualità, con ricadute disastrose. Ecco perché abitudini come lavorare di notte, da soli o nei weekend, non sono viste di buon occhio dalle aziende soprattutto da quelle realtà che cercano una competenza particolare da inserire nel team.
In sostanza alle aziende non piacciono i mercenari del codice ma cercano professionisti che sappiano portare valore aggiunto in quello che fanno, che abbiano voglia e capacità di aggiornarsi costantemente e che sappiano lavorare con le persone, anche da remoto, con atteggiamento costruttivo.

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