Generazione Vulture

Che temperatura si respira oggi in questa regione, o meglio, cosa è successo negli ultimi vent’anni di vino in questa terra? Lo abbiamo chiesto a Elena Fucci – da poco presidente del Movimento Turismo del Vino Basilicata –, la quale ci ricorda quanto fosse complicato per un adolescente, in quel tempo e in quella zona, […]

Che temperatura si respira oggi in questa regione, o meglio, cosa è successo negli ultimi vent’anni di vino in questa terra?

Lo abbiamo chiesto a Elena Fucci – da poco presidente del Movimento Turismo del Vino Basilicata –, la quale ci ricorda quanto fosse complicato per un adolescente, in quel tempo e in quella zona, optare per studi universitari relativi alla viticoltura/enologia, e soprattutto non vendere i suoi vigneti. Complicazioni di vario carattere, sociale, culturale ed economico, di certo non semplici da risolvere, e che potevano provocare sicuramente scompensi a livello generazionale. “Io volevo fare l’università, non mi sarei accontentata di una scuola professionale o di un istituto superiore”. Già, Elena ci tiene a rimarcare questo passaggio, perché “con il senno di poi tutti siamo bravi. Ma non tutto è casuale, e probabilmente non ce ne rendevamo neanche conto che le condizioni intorno a noi erano così pronte e sviluppate per migliorare lo status quo”.

Cristallino. Ma cosa è cambiato, allora, rispetto a quell’epoca? Molti giovani come Elena sono ritornati all’ovile, hanno cambiato la mentalità perché hanno studiato e hanno compreso che per aumentare la qualità media della produzione vitivinicola occorrono coraggio, passione e applicazione. Retorica? Per nulla, “perché se alla tradizione non si affianca l’apprendimento, allora io potevo anche evitare di svolgere cinque anni al Sant’Anna di Pisa e continuare l’operato di mio nonno, senza eccessivi stress o logorii”.

 

L’Aglianico del Vulture, tesoro della viticoltura lucana

Oggi la sola denominazione dell’Aglianico del Vulture conta 60 aziende sparse nelle varie municipalità, e mediamente, per intenderci, almeno 35-40 esportano parecchio bene anche all’estero. Investire la propria vita con tenacia e ottimismo rappresenta una rara dote, di questi tempi; crederci fino in fondo senza disporre di un capitale pazzesco, poi, è “tanta roba”, per usare un gergo di comoda lettura.

Insomma, “bisogna per forza essere positivi e costruttivi se si ha deciso, come me, di rimanere in Italia”. Anche la comunicazione fa degnamente parte di questo processo di evoluzione, soprattutto perché da Roma in su, non troppo tempo fa, spiegare dove fosse il Vulture e la Basilicata appariva davvero un’impresa titanica. “Anche la Doc Matera, datata 2010, godrà sicuramente di un exploit dopo quest’anno, e tutto ciò sarà bellissimo, ma chiaramente la storicità dell’universo vitivinicolo in Basilicata viene dal Vulture”.

 

Tanto sono cambiati, questi giovani, in termini di propaganda e contatti, quanto sono stati brillanti nell’aver colto che l’unione delle forze e delle competenze non solo risponde a bisogni immediati, ma crea le condizioni per diventare un punto di riferimento per il progresso dell’intera zona. Intuizioni che non sono mai scontate, tutt’altro, e che diventano, attraverso una sana organizzazione, una garanzia per il futuro. Se non altro, comunque, gettano le basi per la solidità di domani. “I fondi europei ci hanno dato una grossa mano, inutile negarlo, ma hanno fatto bene a noi, come al Veneto, alla Toscana o al Piemonte”. Osservazione, obiettività e umiltà: gli ingredienti giusti per un confortante prosieguo, ovvero l’innovazione associata alla parsimonia: “Se ci manca qualcosa è solo riferita al fatto che siamo una superficie vitata che al momento deve raggiungere la sua maturità. In un distretto conta chi ha investito, chi ci ha messo testa e soldi, cioè chi ha la visione imprenditoriale”.

 

I numeri del vino in Basilicata

In questa minuta regione, che forse culturalmente è stata la più lontana d’Italia per svariate motivazioni, la coltivazione della vite è stata piuttosto ridimensionata. Stando ai dati Istat, la superficie vitata negli ultimi dieci anni si è accorciata di quasi due terzi di ettari complessivi tra la provincia di Potenza e il Materano (da 4500 a 1800 circa), mentre la produzione di vino, negli ultimi quindici anni, è in costante calo. Essa è transitata da 473.000 hl nel 2000 a 144.000 nel 2009, per scendere a 86.000 nel 2016. Alla diminuzione produttiva è corrisposto un miglioramento del livello di produzione, che si è espresso però in un lieve abbassamento delle DOC e degli IGT (rispettivamente 5% e 10% annuo circa) e in una drastica caduta per il vino da tavola (da 206.000 hl a 29.000).

 

Che cosa significa questo? Il valore cerca una dignitosa via di salvezza, e con orgoglio tenta almeno di rimanere a galla, mentre la cosiddetta quantità pare essere arrivata alle sue ultime cartucce. E se vogliamo scomporre un minimo le parti, troviamo per esempio che l’impostazione per la nascita di un consorzio soffre di forti rallentamenti a causa degli intramontabili contrasti tra produttori o dell’insufficienza di un mercato regionale interno. Oppure, ancora, vediamo le classiche problematicità di collegamento territoriale, così come l’assenza effettiva di tipologie bianchiste o rosate.

 

Il futuro del vino lucano? Parte dalla Generazione Vulture

Ed ecco che, in un quadro ormai sempre più articolato, dinamico e ipercompetitivo, arrivano non per incanto, ma come diretta conseguenza della progettualità, proiezioni in grado di aggregare professionalità volitive, talvolta spensierate, e tuttavia vivaci: Generazione Vulture. “Siamo otto aziende molto giovani, anzi un semplicissimo gruppo di otto amici che hanno deciso di scegliersi autonomamente, e autonomamente vogliamo crescere per portare la nostra amata Basilicata in giro per il mondo, raccontarla con i nostri occhi”.

C’è un unico imperativo nel suo ragionamento: quello di fare squadra e/o impresa attraverso una concezione diversa rispetto al passato, senza inutili protagonismi. Coerenza, genuinità e coesione nel promuovere le diversità del Vulture, consapevoli che, nel complicato gioco di incoming e outcoming, le innumerevoli sfaccettature dell’Aglianico, se raccontate con serietà e leggerezza, non possono che ricompensare le attuali generazioni – e magari anche quelle future. Un circolo virtuoso in cui l’oggetto del discorso (il vino) si amalgama al contesto (il turismo), in maniera tale che il termine “territorio” viene inteso come l’insieme di tutti gli elementi che connotano la vita di una comunità originaria.

Le potenzialità lucane esistono, quindi, e pare non ci siano dubbi e perplessità a questo proposito: un’attrazione impetuosa data da una bellezza naturale incontaminata e dalla regolarità di chiese rupestri, castelli federiciani e masserie.

Matera Capitale della Cultura quest’anno è un grande vantaggio per tutti, viticoltori compresi.

 

 

Foto di copertina di Mauro Fermariello

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