Premetto: nessuna analisi originale, solo la lettura ragionata dei principali giornali, cartacei e digitali. La notizia tramessaci è questa: Fca investirà nel triennio 5 miliardi in 13 nuovi modelli o restyling di modelli esistenti negli impianti italiani. Nascerà la 500 elettrica, pardon full electric, e verrà prodotta a Mirafiori a partire da inizio 2020, 50.000 […]
Germania e Italia: due economie interconnesse
Da italiano residente a Berlino, è interessante osservare com’è raccontata e analizzata l’economia tedesca negli ultimi mesi, soprattutto in relazione all’export e alle differenti politiche commerciali con l’estero. Dall’aumento delle partecipazioni in aziende greche prima, alle più recenti notizie di un rinnovato interesse delle imprese tedesche per M&A sul suolo italico, viene da leggere nella […]
Da italiano residente a Berlino, è interessante osservare com’è raccontata e analizzata l’economia tedesca negli ultimi mesi, soprattutto in relazione all’export e alle differenti politiche commerciali con l’estero. Dall’aumento delle partecipazioni in aziende greche prima, alle più recenti notizie di un rinnovato interesse delle imprese tedesche per M&A sul suolo italico, viene da leggere nella sfera macro un riflesso di quello che è lo stereotipo spesso associato all’imprenditore tedesco. Stereotipo che ruota essenzialmente intorno a due parole chiave: distacco e aggressività.
Quando ci si cala nella realtà, le cose non sono così lineari. Al contempo non possiamo fare a meno di indagare il tema: l’Italia è per la Germania il settimo partner commerciale, davanti a nomi quali Svizzera, Russia o Giappone, e per converso la Germania è il primo partner commerciale dell’Italia. Le due economie sono interconnesse, per molti versi complementari: la ricerca di migliori pratiche per agevolare i rapporti commerciali è un elemento da cui ambo le parti hanno da trarre grandi vantaggi.
La Germania è storicamente riconosciuta, piuttosto che per i propri imprenditori, per i grossi gruppi industriali da sempre votati all’export. Anche l’Italia ha una sua radicata cultura dell’esportazione, tuttavia maggiormente confinata all’imprenditorialità di nicchia, mentre la Germania tende a operare in ambiti meno ristretti e con supply chain necessariamente distribuite lungo diversi mercati nazionali (l’industria chimica, ad esempio). A questo si sommano la situazione della moneta unica, così come una politica fiscale interna che ha portato a un alleggerimento del carico fiscale sulle imprese e all’aumento dell’IVA passata al 19% nel 2008 (dal 16% precedente). Non si può tracciare un quadro completo in poche righe, ma è evidente che le ragioni dell’export e l’aggressività percepita poggiano su motivazioni storiche così come contingenti, che non possono certo essere ignorate.
Analogamente, quando si va a osservare il comportamento delle persone è importante tenere presente le risorse di cui dispongono e l’ambiente in cui operano. Ad esempio, a fronte di aziende italiane spesso a bassa capitalizzazione, le aziende tedesche tendono ad avere disponibilità più alte. È naturale dunque per l’imprenditore tedesco poter immaginare investimenti più sostanziosi e a lungo periodo, avendo anche la possibilità di assorbire meglio eventuali perdite rispetto all’imprenditore italiano.
Gli stereotipi tuttavia vanno oltre – penso ad esempio all’immagine del tedesco formale e strutturato, rispetto all’italiano passionale e meno conforme. Le nuance esistono ma ci sono casi in cui trovare elementi di verità. La ritualità, ad esempio. Tra partner commerciali italiani, è normale dedicare ampio tempo ai preamboli, magari indulgere in un caffè e proseguire l’incontro a tavola. In tutto questo, i confini tra i tempi di svago e di contrattazione sono sfumati o non esistono del tutto. Con un partner commerciale tedesco, esistono limiti meglio definiti: si discutono gli affari e, a trattativa terminata, si può parlare d’altro e abbandonare le formalità. Naturalmente il confine è molto più sfumato, ma volendo tratteggiare dei ruoli questa può essere una buona descrizione.
Ho poi l’impressione che nelle realtà italiane sia rimasta una propensione per la gerarchia più radicata rispetto a quanto in Germania. Interfacciandosi con un partner italiano è evidente a chi spetta la decisione finale, mentre è più comune trovarsi in una negoziazione con un partner tedesco e osservare la controparte dibattere liberamente certi aspetti. Questo tipo di contrasto è ancora più marcato quando a incontrarsi sono due mondi diversi – nel nostro caso spesso questi mondi sono il fashion e il digital.
Difficile tuttavia identificare univocamente uno dei due modelli come superiore. Ad esempio, aziende con maggiore accentramento decisionale nella figura dell’AD o altri, hanno spesso una brand identity molto forte e ben definita. Inoltre, agli occhi dell’azienda tedesca il fatto di poter contare su una voce unica con cui interfacciarsi può risultare garanzia di certezza e chiarezza nelle decisioni, a fronte di quello che potrebbe essere percepito come rischio e nebulosità decisionale.
Vale anche la pena notare come l’imprenditore italiano susciti ancora un certo fascino, soprattutto se consideriamo certi esempi presi dalla moda. In Germania vi è una cultura manageriale radicata e funzionante che consente processi decisionali maggiormente distribuiti, ma l’Italia può vantare una cultura imprenditoriale che all’estero continua a piacere: l’imprenditore indipendente e appassionato per il prodotto, per un progetto che sente come proprio, affascina.
Anni di fruttuosi rapporti commerciali hanno insegnato a imprenditori italiani e tedeschi a conoscersi reciprocamente, ma oggi vediamo i due mercati estendere ulteriormente il raggio delle proprie interazioni. Con il calo dei consumi interni, le aziende italiane guardano all’estero con rinnovato interesse – si vede nei numeri, ma anche nei prodotti. L’auspicio è che tale sviluppo sia accompagnato da una nuova cultura delle relazioni, dove le differenze non siano viste come ostacoli e diventino basi su cui costruire trattative più fruttuose per ambo le parti.
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