I dipendenti e il rischio di parlare sui social: il diritto di critica è un lusso da Ferragnez?

Parlare del diritto di critica è di moda – fino a un certo punto. Il caso di Roberto Cristello, operaio ex Ilva licenziato per un commento su Facebook, e del Comune di Milano che limita le esternazioni dei dipendenti, con l’opinione di Fabio Salvi, dirigente delle risorse umane di Flixbus.

Pare che il termine “libertà” sia il più utilizzato (e abusato) da ogni tribuna, sia essa politica, social, civile; senza che poi la percezione reale e concreta di questa libertà si affacci nel nostro vivere quotidiano. Anzi.

La stessa libertà d’espressione, giova ricordarlo, è sancita dalla Costituzione del nostro Paese nell’articolo 21, che recita testualmente: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”.

Il caso di Fedez si presta molto a questa lettura. Il rapper si è letteralmente scagliato contro i vertici di Rai3, colpevoli, a suo modo di vedere, di voler censurare alcune parti di un testo che aveva preparato in occasione della sua esibizione al Concerto del 1 maggio a Roma: apriti cielo. La valanga social che è riuscito a muovere ha smosso l’opinione pubblica sul tanto dibattuto ddl Zan.

Eppure la domanda da porre sarebbe un’altra: se in questo Paese non ti chiami Fedez, che cosa succede?

Riccardo Cristello, licenziato dall’ex Ilva per un post su una fiction

Partiamo dalla vicenda dell’operaio della ArcelorMittal di Taranto, Riccardo Cristello, che dopo aver esternato via social la sua opinione sulla fiction Svegliati amore mio, serie in tre puntate andata in onda tra l’ultima settimana di marzo e la prima settima di aprile, è stato licenziato per giusta causa.

Nella serie tv è protagonista una donna – interpretata da Sabrina Ferilli – in cerca di giustizia dopo aver scoperto che la causa della malattia di cui soffre la figlia potrebbe essere stata provocata proprio dalle emissioni sprigionate dalla fabbrica dove lavora suo marito. E il caso di sua figlia non è isolato.

Troppe le analogie con la ex Ilva di Taranto, e Riccardo Cristello, operaio da più di vent’anni in quei siti poi acquistati da ArcelorMittal, non si è trattenuto. Così, seguendo la fiction in TV, ha scritto su Facebook: “In nome del profitto la vita dei bambini non canta. Assassini!”. Da qui il già citato licenziamento per giusta causa dall’azienda.

Tra l’altro, oltre ad ArcelorMittal – l’azienda franco-indiana che ha rilevato lo stabilimento ex Ilva – da dicembre dello scorso anno lo Stato italiano è entrato a far parte del gruppo attraverso Invitalia. Al termine dell’operazione, a maggio del 2022, con ulteriori aumenti di capitale da parte di entrambe, Invitalia diverrà azionista di maggioranza con il 60% di capitale della società, con ArcelorMittal che manterrà il 40%. L’accordo siglato tra le parti prevede, oltre al riassorbimento dei 10.700 lavoratori impegnati nel sito produttivo, investimenti ambientali e industriali al fine di realizzare il processo di decarbonizzazione dello stabilimento per la produzione di acciaio green, facendolo diventare così uno dei più grandi a livello europeo.

Visto l’intervento e il supporto dello Stato, anche il Ministero del lavoro si è sentito in dovere di chiedere chiarimenti sul provvedimento di licenziamento formalizzato da ArcelorMittal nei confronti dell’operaio quarantacinquenne. I vertici aziendali hanno semplicemente aperto alla possibilità di un possibile dietrofront con reintegro del lavoratore solo se lo stesso avesse chiesto pubblicamente scusa all’azienda.

Anche Sabrina Ferilli venuta a conoscenza dell’increscioso episodio. Poi, insieme a Simona Izzo e Ricky Tognazzi, registi della fiction (senza dimenticare l’attore tarantino Michele Riondino), hanno espresso solidarietà al lavoratore e offerto il loro supporto, anche se lo stesso operaio si è detto pronto a difendersi nelle sedi opportune, affiancato dal suo avvocato e dal sindacato dove è iscritto ed è delegato sindacale per l’USB.

Fabio Salvi, HR Flixbus: “Aziende, autenticità significa anche accettare le critiche”

Può un post su Facebook diventare motivo di licenziamento da parte di un’azienda nei confronti di un proprio dipendente?

Fabio Salvi è dirigente delle risorse umane di Flixbus. A lui abbiamo chiesto se pensa che i cittadini/lavoratori oggi siano molto più deboli nell’affermare il proprio diritto di espressione e di critica, soprattutto via social, visto il caso dell’operaio di ArcelorMittal. Va ripensata la gestione delle risorse umane?

“È evidente che c’è un problema di questo tipo: ci combatto da anni all’interno delle aziende. Purtroppo questo importante tema relativo alla libertà di espressione non viene gestito dalle risorse umane, quanto piuttosto dalle pubbliche relazioni, che sono più preoccupate del rimbalzo reputazionale immediato piuttosto che dall’educare le persone alla responsabilità.”

“In qualche modo, noi stiamo affermando che i lavoratori hanno meno diritti di espressione di quelli che hanno le persone stesse: trovo che sia un messaggio deresponsabilizzante e diseducativo. Siamo in un’epoca in cui tutti possono dire tutto, che sia giusto o sbagliato; stiamo andando verso questo modello di comunicazione, che è quello rappresentato dal mondo dei social, che permette di esprimersi su qualsiasi argomento. Il tema che potrebbe poi educare le persone a un utilizzo più consapevole dei social non è tanto quello dell’argomentazione, di quello che si può dire o che non si può dire, quanto quello della responsabilità, che non si ottiene per decreto, regolamentazione o policy; si ottiene con l’educazione. Solo che scegliendo la policy si punta verso la strada più breve.”

“Quindi se tu dici: ‘La mia azienda è pessima’, o divulghi un segreto industriale o un’informazione non corretta, esistono già le leggi che in qualche modo tutelano l’azienda rispetto a questo. Tutto il resto è opinione, e deve essere colui che la formula a capire l’importanza di esprimerla nel modo corretto. Cioè, io non riesco a capire: sembra che l’importante sia solo quello che appare online, non quello che la gente pensa davvero, mentre credo sia fondamentale far emergere il pensiero della persona nel contesto aziendale e nel contesto non aziendale, diciamo pubblico.”

“C’è la responsabilità personale e c’è anche un tema di autenticità delle persone: io non mi fido di una comunicazione aziendale fatta dai comunicati stampa, preferisco cinque commenti positivi e uno fortemente negativo rispetto a una comunicazione piatta e edulcorata che puzza di falso, di promozionale. È chiaro che l’azienda, come forma mentis, deve essere pronta sia al positivo che alle critiche, perché queste sono le conversazioni. Se invece non vogliamo la conversazione, ma lo spot, siamo a un altro livello.”

Milano, il sindaco blinda i dipendenti: vietate interviste e occhio ai social

Esternare le proprie opinioni può essere controproducente non solo se sei un operaio dell’acciaieria di Taranto, ma rischia di essere oltremodo pericoloso anche se sei un “semplice” impiegato al Comune di Milano, se è vero che il sindaco Sala ha annunciato con il nuovo codice di comportamento per i dipendenti di Palazzo Marino di voler “regolarele esternazioni dei propri dipendenti. Su questo nuovo modus operandi si è deciso financo di raccogliere informazioni online sulla bontà del progetto, contribuendo – sul sito del Comune di Milano – al nuovo codice di comportamento da adottare. I processi partecipativi sono aperti a tutti i residenti e ai city users maggiori di sedici anni.

A far discutere maggiormente a riguardo del codice di comportamento è senza dubbio l’articolo 16, che a sua volta porta con sé ulteriori punti che invitano il dipendente comunale a non parlare con organi di stampa, e allo stesso tempo a non esprimere la sua opinione su argomenti sensibili che riguardino l’ufficio in cui lavora o lo stesso Comune di Milano di cui è dipendente: “Il dipendente che accede ad un Social Network con un account personale per propri interessi, non lo utilizza dal luogo di lavoro ed è personalmente responsabile dei contenuti pubblicati sul Social utilizzato se attinenti all’attività dell’Ente.”

E qui si ritorna al termine tanto dibattuto del “giusto contestorispetto al quale la libertà d’espressione di un operaio di un’azienda privata, o di un impiegato di un ente pubblico, possa venire regolamentata, e di fatto portata verso una limitazione della libertà d’espressione, che tuttavia non può e non deve mai essere circoscritta. Né sul luogo di lavoro, né nella sfera privata, anche attraverso l’utilizzo di canali social legati ai propri profili personali.

“Libertà di espressione? Bisogna scegliere tra persone e dipendenti”

Il diritto di espressione e di critica da parte del dipendente, dunque, deve essere differente nei confronti di un’istituzione pubblica rispetto a un’impresa privata?

“Su questo sono disallineato”, risponde Fabio Salvi. “Non so se sono troppo avanti o troppo indietro. A me non importa chi è il datore di lavoro: è importante la condizione, che non è quella di dipendente, ma di persona. La persona che lavora all’interno di un’azienda ha un rapporto di lavoro subordinato: non è che questo contratto lo renda schiavo, oppure un cittadino di serie B.”

“Se vogliamo che all’interno delle aziende, siano esse pubbliche o private, lavorino delle persone e non dei dipendenti, questo significa anche liberare il loro potenziale creativo di responsabilità e di soluzione. Dobbiamo assumerci anche il rischio che queste persone abbiano un pensiero critico nei confronti dell’organizzazione, che sia pubblica o che sia privata: non è che il pubblico sia intoccabile e che nel privato può succedere qualsiasi cosa.”

“Quindi va cambiato lo status che vogliamo dare alla persona che lavora all’interno dell’organizzazione. La vogliamo chiamare dipendente, quindi una persona vincolata da tutta una serie di regolamenti ulteriori, rispetto a quelle che sono già una serie di responsabilità oggettive che un rapporto di lavoro comporta, o vogliamo una persona che sia libera di esprimersi nel suo contesto personale, pubblico, privato, prendendosi la responsabilità di quello che dice? È questa la scelta a monte: la persona o il dipendente? Se si sceglie il dipendente, allora ha perfettamente senso quello che sta facendo il Comune di Milano; se si sceglie la persona, allora, io non riesco a capire quale sia il punto di vincolare le persone che lavorano per l’organizzazione, castrando la loro libertà di esprimersi.”

Se assumete una persona, diverrà (anche) un vostro dipendente, ma continuerà a essere una persona: se fosse dotata anche di senso critico, che l’organizzazione la benedica, piuttosto che persegui(ta)rla.

Photo credits: valenciaplaza.com

CONDIVIDI

Leggi anche