I lavori intellettuali? Li chiameremo usuranti

Quando pensiamo ai lavori del futuro ci immaginiamo tutti che saranno lavori forse più belli, o forse no, ma che quantomeno allevieranno la fatica del lavoro. Se guardiamo indietro, dallo specchietto retrovisore, vediamo nel passato lavori insalubri, insicuri, faticosi, che hanno lasciato un po’ alla volta il posto a lavori diversi, magari più complessi, ma […]

Quando pensiamo ai lavori del futuro ci immaginiamo tutti che saranno lavori forse più belli, o forse no, ma che quantomeno allevieranno la fatica del lavoro. Se guardiamo indietro, dallo specchietto retrovisore, vediamo nel passato lavori insalubri, insicuri, faticosi, che hanno lasciato un po’ alla volta il posto a lavori diversi, magari più complessi, ma certo più sani. Qualche tempo fa, parlando con un imprenditore che si occupa di logistica alimentare, ricordava come un tempo nei magazzini frigoriferi a -20° ci lavoravano persone in carne e ossa, e oggi invece è tutto automatizzato e nessuno ci deve più entrare se non per interventi brevi.

Di esempi così ce ne sono tantissimi altri. Cionondimeno, l’Italia è ancora un Paese in cui si muore (troppo) di lavoro, e di lavori faticosi, usuranti, ce ne sono eccome. Ho fatto un esercizio: per curiosità, e sono andato a riguardare le tabelle dei lavori usuranti, per come si sono modificate nel tempo, e ho scoperto qualcosa di interessante. Le previsioni sui lavori usuranti sono state introdotte nel nostro ordinamento per riconoscere un trattamento di favore, ai fini dell’accesso alla pensione, a tutti coloro che svolgono lavori particolarmente faticosi, e la nozione di “usurante” è sempre stata riferita a lavori che, per le condizioni in cui si svolgono o per l’impegno fisico che richiedono, sono da considerarsi particolarmente faticosi: lavori in galleria, cava o miniera, lavori ad alte temperature, lavori svolti in spazi ristretti, lavori notturni, lavori in catena ma anche, più recentemente, il lavoro dell’insegnante della scuola dell’infanzia e degli educatori degli asili nido, e delle infermiere e delle ostetriche che lavorano in turni.

Sono certo che nel prossimo futuro ci saranno ancora lavoratori – molti o pochi, poco importa – che svolgeranno questo tipo di lavori usuranti, e altri sicuramente se ne aggiungeranno. Ed è di questi che voglio parlare, di quelli che saranno, forse inaspettatamente per qualcuno, i lavori usuranti del futuro.

 

I lavori intellettuali saranno i nuovi lavori usuranti

Non ho certo capacità divinatorie, ma se guardo avanti e penso a quello che sta succedendo già ora, mi vien da dire che i lavori usuranti del futuro saranno i lavori intellettuali.

Quando ho cominciato a ragionare su questa aggettivazione associandola ai lavori del futuro mi è parsa una po’ alla volta una verità difficilmente contestabile, a patto di chiarirci subito su cosa intendiamo per “lavori intellettuali”. I lavori intellettuali non sono i lavori di concetto, in contrapposizione ai lavori manuali (contrapposizione utile per distinguere due categorie, quella degli impiegati e quella degli operai, ma ormai sempre meno). I lavori intellettuali sono quelli che richiedono uno sforzo intellettivo, una capacità di ideazione ed elaborazione (più o meno creativa), una profonda conoscenza, un continuo processo di aggiornamento, che non hanno tempi e spazi delimitati perché pervadono molti momenti della giornata, senza un preciso ordine.

Sono i lavori di chi si trova ad analizzare, esaminare, elaborare, produrre ogni giorno qualcosa che ha a che fare con l’intelletto, con l’uso dell’intelletto, da cui provengono idee, progetti, piani, azioni, e così ogni giorno, settimana, mese, anno. Ragionandoci sopra mi sono venute alcune associazioni e qualche spunto di riflessione che voglio condividere.

La prima associazione: il lavoro intellettivo è un lavoro altamente prestazionale, e se nello sport professionistico non si può mantenere un livello ottimale di prestazione per un periodo troppo prolungato, così nel lavoro intellettivo non si può pensare di avere alte performance per un periodo troppo lungo. Il lavoro intellettivo può ottenere risultati distintivi in un arco di svolgimento delimitato nel tempo; dopo di che la prestazione decade per usura, affaticamento, e per mille ragioni che assomigliano molto ai motivi per cui un atleta a un certo punto non è più lo stesso. Per ottenere grandi risultati ci vogliono disciplina, lavoro, frequenza, convinzione; quando qualcuno di questi ingredienti viene a mancare o comincia a scarseggiare, il livello della prestazione diminuisce. Da qui le domande: cosa fare quando la prestazione cala, come organizzare il lavoro, il ciclo di vita di lavoro delle persone che lavorano di intelletto?

La seconda associazione: il lavoro intellettivo è un lavoro per fasi e cicli, e abbiamo già alcuni esempi a cui far riferimento per organizzarlo. Pensiamo al lavoro di ricerca scientifica e insegnamento, dove l’una nutre l’altra: normalmente prima si ricerca, si studia, si sperimenta, e poi si insegna. Il lavoro intellettivo è un lavoro di ricerca, di sperimentazione, di approfondimento, che per le ragioni che abbiamo detto può essere svolto per un periodo limitato nel tempo; solo dopo si può insegnare, raccontare, per far crescere altri che prenderanno il proprio posto.

Questo è un passaggio importante e corrisponde al naturale svolgersi delle cose: ricerca, sperimentazione, applicazione, successo, e poi restituzione. Dobbiamo imparare a programmare su questi diversi piani, e restituire quello che abbiamo imparato per poter consentire anche agli altri di crescere partendo da dove siamo arrivati.

 

Una sosta garantita per i lavoratori intellettuali

Allora, le domande e qualche spunto di riflessione. Primo punto: il lavoro intellettivo è per sua natura un lavoro faticoso con orizzonte temporale di breve-medio periodo. Secondo: dobbiamo abituarci a lavorare per fasi e cicli, alternando periodi di intensa attività a periodo di riposo. Terzo: dobbiamo imparare, e anzi scoprire, il gusto di restituire quello che abbiamo imparato; la vita lavorativa è un processo continuo, un gioco che non ha una fine, e dobbiamo imparare a starci anche quando non abbiamo molto da fare, scoprendo il senso del dare. Ultimo: se non capiamo questo rischiamo che il lavoro ci travolga, e il lavoro intellettivo, tra tutti, è quello più pericoloso, non solo più usurante; perché occupa la mente, senza confini di tempo e spazio, e tocca la testa, che fa male tanto quanto il corpo e spesso di più.

Dunque, per concludere, ecco la mia provocazione. Dobbiamo pensare a una forma di tutela per il lavoro intellettivo, analogamente a quanto oggi è previsto per i lavori usuranti, ma diversa per funzione: i lavoratori intellettuali devono potersi fermare per un periodo prolungato, che si chiami congedo sabbatico o altro, e devono poterlo fare con una garanzia sul posto che occupano, anche se poi non rientreranno. Perché senza sicurezza non c’è libertà, e senza libertà e sicurezza non c’è rimedio.

I lavori del futuro, nella misura in cui ci chiederanno di usare di più l’intelletto, rischiano di consumarci di più, e di più avremo bisogno di tempo per congedarci, riposare, ripristinare le energie psicofisiche che inevitabilmente vengono usurate, consumate dalle nostre menti sempre in funzione. Quindi, al termine di questo intervento, ho preso una decisione: dopo più di vent’anni di lavoro senza sosta, mi prendo un periodo sabbatico anch’io.

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