I ragazzi di oggi, quelli del “Perché no?”

“Voi siete il futuro”. Questa specie di mantra avvizzito e vuoto l’ho sentito pronunciare centinaia di volte da centinaia di adulti, in altrettanti contesti che prevedevano la presenza di una platea giovane. “Voi siete il futuro” è un evergreen buono per tutte le stagioni, perfetto per la chiusura di un discorso. Assomiglia un po’ all’altrettanto […]

Voi siete il futuro”. Questa specie di mantra avvizzito e vuoto l’ho sentito pronunciare centinaia di volte da centinaia di adulti, in altrettanti contesti che prevedevano la presenza di una platea giovane. “Voi siete il futuro” è un evergreen buono per tutte le stagioni, perfetto per la chiusura di un discorso. Assomiglia un po’ all’altrettanto classico “e vissero felici e contenti”, presente in ogni favola che si rispetti.

In realtà “voi siete il futuro” esprime il nulla cosmico per un motivo molto semplice: gli adolescenti ci sono adesso, sognano adesso e sono morbosamente attaccati al loro quotidiano. Il concetto di futuro non è cosa loro; preferiscono essere concentrati sul presente, perché è quella l’essenza vera del loro domani. Chi si muove nel mezzo dei suoi vent’anni è troppo concentrato su ciò che accade oggi per potersi permettere divagazioni o fantasie su ciò che verrà. Ed è così, day by day, che costruisce il suo cammino.

Penso alle migliaia di studenti che da oltre vent’anni incontro a ogni latitudine e al loro modo di essere prepotentemente calatinell’attimo”, alla loro inesauribile forza che riesce, come un fresco rigagnolo di sorgente, a farsi largo tra il fango del pessimismo e della corruzione, a valicare il muro della paura che ogni giorno ci viene distribuita.

Ero convinto che i ragazzi, una volta perso qualche capello e con qualche ruga in più, non mi avrebbero più ascoltato. Sbagliavo. Sottovalutavo la loro capacità di analisi e la loro profondità di pensiero. Gli adolescenti hanno poca esperienza ma molto istinto, sanno distinguere chi parla dicendo qualcosa da chi parla senza dire nulla, dai dispensatori di consigli retorici, da chi infarcisce il proprio monologo con un rosario di “ai miei tempi” o “voi siete il futuro”. I ragazzi sanno distinguere il pieno dal vuoto, le parole vive da quelle morte.

Ho ideato decine di campagne di sensibilizzazione rivolte ai giovani, dal bullismo alla droga, dalla tutela dell’ambiente alla sicurezza stradale, ma la chiave comunicativa rimane sempre la stessa: sfiorare le loro intelligenze emotive, evitare di dispensare consigli, seminare dubbi piuttosto che verità, regalargli storie lasciando a loro il compito di decodificarle e metabolizzarle.

Inevitabilmente, in tanti anni, grazie anche al prezioso contributo di una figlia ventiduenne, mi sono fatto un’idea precisa di cosa si nasconda sotto le loro felpe troppo larghe e qualche tatuaggio frutto di lunghe trattative con mamma e papà.

 

I ragazzi figli del mondo

Oggi i nostri ragazzi hanno scarsa dimestichezza con i concetti di confine e di bandiera.

Il patriottismo è qualcosa che non gli appartiene per un semplice motivo: loro sono figli del mondo, i loro orizzonti sono decisamente più ampi e faticano a immaginare una vita statica. Noi adulti siamo ancora legati alla nostalgia della terra lontana, agli italiani d’Argentina che affogavano il loro dolore nel tango o alla ricostruzione di una Little Italy nella pancia di New York. Il Brennero e Ventimiglia rappresentano ancora le nostre arcaiche linee di frontiera. Oggi è tutto diverso. Come dice Sepulveda, vale la regola che “ognuno è di dove meglio sta”.

Inseguono le loro passioni con la dedizione di un cane da tartufo. Fiutano l’aria e partono senza porsi troppi limiti. Convivere a Berlino o ad Atlanta con ragazzi che provengono da altri angoli del pianeta è la regola. Trovarsi a frequentare un master tra canadesi, brasiliani e francesi è solo fonte di arricchimento e non di disagio. Eventualmente il disagio iniziale nel giro di poco si trasforma in esperienza.

Quello è il futuro, ma i nostri ragazzi lo stanno già vivendo. La loro forza è nella mobilità e nella rapidità. Si muovono sulle macerie di un mondo abbastanza sbagliato che gli stiamo lasciando in eredità, ma loro sono andati oltre. Stanno già ricercando equilibri che viaggiano al di là del consumismo esasperato, e hanno ben compreso che la loro realizzazione ha un valore inestimabile.

Gli abbiamo insegnato che il successo è proporzionale a un numero di conto corrente, ma per fortuna le nuove generazioni si stanno muovendo diversamente. E questo è fantastico. Sclerotizzati dentro il nostro pessimismo cosmico, fatichiamo a comprendere la loro devastante energia. Fatichiamo ad accettare che un nostro figlio possa vivere felicemente a Sidney o Barcellona, eppure è così che stanno le cose. Le distanze si sono accorciate e soprattutto quelle mentali.

 

Le generazioni del “perché no?”

Qualche mese fa, tra i possibili lavori futuri, ipotizzavo scherzosamente, quello del restauratore di tatuaggi. Tra pochi anni milioni di persone si troveranno sul corpo draghi cadenti, fiori di loto appassiti e frasi illeggibili. Restaurare tatuaggi, perché no? Loro, i nostri figli, sono quelli del “perché no?”. Interessante logica che si collega al mai fatto, al nuovo, alla nuova frontiera.

Perché no?” potrebbe apparire come una domanda, ma in realtà è la risposta più solida e convincente da regalare a chi tenta di porci dei limiti, e le nuove generazioni sono particolarmente inclini a tuffarsi nel nuovo. La tecnologia è per loro un grande supporto, una bussola e una soluzione, ma al loro servizio. La tecnologia è strumento e non contenuto. Siamo di fronte a una nuova maniera di ragionare e di muoversi, ed è ancora complicato tracciare la linea di demarcazione tra uso e abuso.

L’onda tecnologica ha travolto tutto e tutti. Qualcuno c’è rimasto sotto; i più giovani riescono a cavalcarla e soprattutto a gestirla. Non sono un sociologo e non sono in grado di prevedere quale tributo dovranno pagare i nostri figli in nome di una vita proiettata nell’universo online. Eppure ho la sensazione che troveranno un equilibrio, questione di tempo, perché anche per loro la bellezza di un’alba o il profumo di un bosco non sono replicabili su un display. Forse, com’è accaduto con il vinile, tra qualche anno torneranno in auge i libri in carta e l’idea di avere una propria calligrafia risulterà un’arma vincente.

L’uomo non potrà mai separarsi dall’uomo, l’amore resterà sempre amore e la primavera continuerà a metterci addosso un’incomprensibile voglia di esserci. Ciò non significa che le frontiere tecnologiche non continuino a evolversi. Piuttosto che criticare o demonizzare, lasciamo che siano i ragazzi di oggi a studiare le necessarie contromosse, a comprendere come smaltire questa overdose di universo artificiale. Ho la certezza che riusciranno nell’impresa, perché ripongo in loro una fiducia incondizionata. Penso al ritrovato amore che nutrono nei confronti dell’ambiente, e questa è la base da cui tutto prende forma. Questione di armonia e di equilibrio.

 

L’ambiente come priorità

Gli ecomostri di periferia sono figli del passato: giovani urbanisti stanno ridisegnando il mondo seguendo l’inossidabile principio del rispetto della dignità umana. Le visioni sono sempre più ampie. Per chi, come noi, è cresciuto dominato dalla paura del futuro, è piuttosto complicato scorgere in questi ragazzi un nuovo umanesimo, ma questa è la modesta verità che riesco a cogliere dal mio minuscolo campo visivo. Una verità e non la verità assoluta, ovviamente. La parola verità può essere declinata esclusivamente al plurale, in quanto esistono le verità. Accettare questo concetto significa già aver sconfitto la miopia che accompagna ogni forma di ideologia.

Anche da questo punto di vista ritengo che le nuove generazioni siano migliori rispetto alle precedenti. La predisposizione al confronto non è più un optional, perché basta un semplice Erasmus per meglio comprendere che il mondo è ricco di sfumature e colori. La mobilità è uno stile di vita oramai conclamato e la conoscenza delle lingue un passaporto. E allora, perché no?, si parte e ci si muove. Le nuove professioni hanno poco a che fare con la fantascienza e (al momento) non prevedono l’interazione con mondi alieni. La tecnologia è al servizio del passato, perché ci sarà tanto passato nel nostro futuro.

Abbiamo sempre più necessità di cibi sani, figli della terra in cui viviamo. Di mezzi di trasporto meno inquinanti, di ripristinare un giusto rapporto con la bellezza. E la dimensione della bellezza non conosce la sfida del tempo. Il mondo ha sempre più necessità di sorrisi e di abbracci; poi arrivano le nano tecnologie e le intelligenze quantiche. Ma sempre di esseri umani stiamo parlando.

 

L’adesso dei giovani: contaminare il mondo con il proprio talento

Il senso dell’adesso è contenuto nella storia di Issabel, diciannove anni e una vita difficile in un Paese impossibile, il Malawi. Questo piccolo Stato perso nell’Africa centrale è tra i Paesi più poveri al mondo. Ho conosciuto Issabel durante le riprese di un documentario (un viaggio nel quale ho portato anche mia figlia per fargli capire meglio il vero concetto di povertà). Issabel coltiva sin da bambina un sogno: studiare per diventare una fashion designer. Facile sognarlo in Italia, meno nel suo Paese, dove non esiste una filiera legata alla moda e si sopravvive con meno di un dollaro al giorno.

Contro la volontà della mamma, Issabel ha studiato moda frequentando l’unico corso di fashion design presente nel suo Paese; poi si è giocata tutto acquistando la sua personale lampada di Aladino, e cioè un banale smartphone. Era stato il preside a incoraggiarla: “Issabel, tu hai grandi capacità ma in Malawi ciò che vuoi fare non esiste. Metti i soldi da parte, acquista uno smartphone, creati un profilo Instagram e contamina il mondo con il tuo talento”. Lei lo ha preso in parola e quando ci siamo conosciuti mi ha raccontato la sua storia, il suo sogno, il suo personalissimo “perché no?”.

Ora le foto delle sue creazioni stanno girando come polline in primavera, ed è così che grazie alla tecnologia Issabel sta camminando verso la sua realizzazione. Lei non è il futuro, lei è l’adesso che si è messo in marcia.

Issabel è diventata amica di mia figlia. Ora Marta è a Londra, esce con una ragazza argentina e una della Corsica, e si sente quotidianamente con la sua compagna del Malawi. Issabel nel 2020 verrà in Italia: lei e Marta probabilmente cercheranno di collaborare. Una è stilista e l’altra si occupa di comunicazione. Proveranno a creare una linea di abbigliamento? Lavoreranno sviluppando il concetto di un brand etico? O forse punteranno tutto sull’online; perché no? Non lo so. Problemi loro, ma è in questa direzione che si orienta il mondo del fare.

Beh, che dire? Penso a quel polveroso “voi siete il futuro” impregnato di naftalina e mi viene da sorridere. Il futuro è iniziato da sempre ma ancora pochi lo sanno.

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