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<p class="light-font">I doppiatori chiedono il rinnovo del CCNL, con paghe più alte, condizioni di lavoro migliori e tutele rispetto all’IA. Christian Iansante, voce di Bradley Cooper: "Un doppiatore fa in un giorno le scene che un attore fa in tre mesi, ma prendiamo le briciole"</p>

Scena muta: doppiaggio in sciopero contro salari bassi e Intelligenza Artificiale

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Donne e badanti: la cura è cultura, ma lo sfruttamento è una religione

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Due borsellini vicini a due tablet su un banco

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Zolotti

Stefania Zolotti

Direttrice responsabile di SenzaFiltro e giornalista con il debole per le relazioni e le persone. Studiosa e appassionata di geografie umane e di paesi. Con la laurea in giurisprudenza non ha mai intrapreso le classiche strade: l&#8217;unico ufficio legale in cui ha lavorato è stato quello di Altroconsumo a Milano dal 2001 al 2003, con una parentesi nella sede di Bolzano grazie al patentino di bilinguismo tedesco. Dal 2002 Collabora come freelance con la rivista Business People e dal 2023 con Artribune dove racconta storie italiane di teatri di periferia. &#8220;Sentimenti precisi&#8221; è il nome del progetto con cui dal 2021 gira l&#8217;Italia tenendo laboratori contro i blocchi della scrittura: lo fa per aziende, associazioni, scuole, singole persone e gruppi. Dal 2008 al 2017 Responsabile Comunicazione e Segretaria di direzione per una grande azienda pubblica del settore ambiente dove ha sviluppato progetti di green marketing e di educazione sostenibile. Dal 2012 contribuisce a creare e coordinare progetti per la business community FiordiRisorse, che è anche l&#8217;Associazione editrice di SenzaFiltro. Autrice del libro &#8220;Ti fai male&#8221; (2020), romanzo generazionale scritto inizialmente come ghostwriter. Ha lavorato per 20 anni come giornalista nel campo del vino e del cibo collaborando con le principali testate nazionali e pubblicando due libri: &#8220;Vino a doppio senso. Guida ironica per uomini e donne&#8221; (Gabrio Marinelli Editore, 2006) e &#8220;Il Bicchiere mezzo pieno. Liberarsi dagli esperti è il primo passo per bere bene&#8221; (Le Lettere, 2020). L&#8217;ultimo libro, di cui è curatrice, è &#8220;Coaching, maneggiare con cura&#8221; di Carlo Bisi (Edizioni FiordiRisorse, 2023). &#8212; MAIL DI REDAZIONE: stefania.z@fiordirisorse.eu

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Stefania Zolotti - Informazione senza filtro

Laura Fumagalli, MyEdu, a Didacta: “Scuola sommersa di burocrazia: i docenti non hanno più tempo di insegnare”

Intervistiamo l'AD di MyEdu in occasione della fiera dell'innovazione didattica: lo stato dei progressi della cultura digitale nella scuola.

Laura Fumagalli, MyEdu, a Didacta: “Scuola sommersa di burocrazia: i docenti non hanno più tempo di insegnare” - Informazione senza filtro

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andrea


<p><strong>La scuola come presidio di democrazia</strong>.</p>



<p><strong>Il lavoro come elemento di coesione sociale</strong>, arma pacifica contro la guerra, cemento per costruire la pace.</p>



<p>Al centro il <strong>cittadino</strong>, soggetto capace di esercitare sovranità politica, a un tempo radice e frutto di una società libera, giusta, solidale.</p>



<p>Si tiene insieme tutto questo nel contributo di <strong>Tomaso Montanari</strong> all&#8217;edizione 2022 di Nobìlita, che è stato occasione per riflettere sul <strong>ruolo della cultura</strong>, anche di quella del lavoro, sulle occasioni mancate delle democrazie occidentali e sul futuro che vogliamo costruire per noi e per le generazioni che verranno.</p>



<p>È dalla <strong>scuola</strong> che parte la riflessione di Montanari. Non solo perché per lui, rettore dell&#8217;Università per Stranieri di Siena, questa materia è pane quotidiano, ma anche perché è dall&#8217;idea di scuola che si capisce quale tipo di società, di uomo, di cittadino si intende costruire. A volte i numeri spiegano meglio di mille parole la realtà in cui viviamo: l&#8217;Italia si appresta a stanziare il <strong>2% del PIL in armi</strong>, mentre l&#8217;intero nostro <strong>sistema universitario</strong> ne impegna solo lo <strong>0,3%</strong>. La sproporzione e le sue conseguenze sono evidenti.</p>



<p>«Se mettiamo a confronto queste grandezze capiamo che progetto abbiamo per l&#8217;Italia», dice Montanari. «Rischiamo di dimenticarci quale fosse il disegno originario della Costituzione italiana, che metteva insieme scuola e politica. Concetto Marchesi, uno dei nostri padri costituenti, indicava <strong>la scuola</strong>, e non più l&#8217;esercito, <strong>come presidio della nazione</strong>. Non è un caso se l&#8217;articolo 9 della nostra Carta parla di <strong>sviluppo della cultura</strong>, perché allora la scommessa era formare una nazione il più possibile colta, cioè capace di esercitare sovranità politica. Una nazione di ignoranti è più governabile, ma va allo sfascio. Oppure viene guidata dai famosi “competenti”».</p>



<p>Già, la <strong>competenza</strong>. Quasi un totem, nella nostra società. Che, però, a leggerla in un&#8217;accezione sempre e soltanto positiva, rischia di intorbidire le acque. </p>



<p>«Oggi c&#8217;è un&#8217;idea teologica della competenza, come se fosse un&#8217;infusione dello Spirito Santo, per cui, per esempio, si pensa che un banchiere centrale possa governare benissimo anche una pandemia o una guerra», riflette Montanari. «In questa prospettiva, sostituire le competenze alla conoscenza, alla cultura, al pensiero critico, genera il rischio di pensare <strong>la scuola come un luogo di profilazione del </strong>“<strong>capitale umano</strong>” <strong>per il mercato del lavoro</strong>, mentre la scuola non è questo, non è al servizio di un mercato del lavoro dove la merce sono i lavoratori. <strong>Gli studenti non sono pezzi di ricambio</strong> che dovranno sostituire i loro genitori e i loro nonni quando si romperanno, ma persone che vanno messe nelle condizioni di esercitare la democrazia, la sovranità politica, che è poi quella cosa che permette a ogni cittadino, in quanto tale, di criticare le scelte dei governanti che hanno un impatto negativo sulla sua vita. Quindi io direi che ci sono luoghi in cui la competenza è fondamentale, ma questa non è la chiave universale e non può sostituire la conoscenza e la cultura, né a livello di scuola, né a livello di politica».</p>



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<h2 id="h-tomaso-montanari-verso-una-stagione-di-conflitto-sociale-senza-la-politica-cioe-nel-peggiore-dei-modi">Tomaso Montanari: «Verso una stagione di conflitto sociale senza la politica, cioè nel peggiore dei modi»</h2>



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<p>Per approfondire questo e altri aspetti del suo discorso, abbiamo chiesto al rettore <strong>Tomaso Montanari</strong> di entrare più nel dettaglio.</p>



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<p><strong>Professor Montanari, come si può riportare la scuola a essere “fabbrica” di cultura e non di competenze?</strong><strong></strong></p>



<p>Il punto è che tutto il sistema scolastico è stato brutalmente aziendalizzato, misurato su risultati che non sono quelli della quantità e della qualità delle letture. Non bisogna insegnare la scrittura creativa, bisogna mettere nelle mani degli studenti i libri, ossia la complessità, aiutare i ragazzi a sviluppare un pensiero critico. La sensazione, però, è che proprio lo spirito critico sia diventato un disvalore, qualcosa di cui diffidare. La guerra in Ucraina sembra imporre la necessità di un pensiero unico: in Russia chi manifesta contro una guerra fratricida è arrestato perché filoucraino, in Italia chi protesta contro la corsa alla guerra atomica è bollato come filorusso. È la delegittimazione del dissenso, la cancellazione del conflitto in un mondo che, secondo la ONLUS “Armed Conflict Location &amp; Event Data Project”, conta attualmente ben 59 guerre.</p>



<p><strong>Non crede che questo sia un tragico paradosso?</strong></p>



<p>Sì, è vero. Penso che ci sia indubbiamente un richiamo alle armi, nel senso di un richiamo a un pensiero unico allineato e coperto, che non ammette deviazioni e che è la sindrome del nemico eterno, del “dobbiamo essere uniti”, di tutto quello che invoca uno stato di eccezione. C’è l’idea che in momenti di emergenza la democrazia sia vista come un ostacolo e che quindi vada sospesa, laddove sarebbe invece una grande arma positiva. Forse ne abbiamo paura, questo è il vero problema.</p>



<p><strong>Tenendo conto che spesso le guerre nascono dalla mancanza di lavoro e dai conseguenti conflitti sociali, e che gli ultimi dati Istat dicono che la disoccupazione giovanile in Italia è al 23,8%, secondo lei esistono rischi per il nostro Paese?</strong><strong></strong></p>



<p>Penso di sì, anche se si deve distinguere molto bene tra conflitto della guerra e conflitto sociale, che sono parenti se non molto alla lontana. In Italia il conflitto sociale è stato rimosso. Dalla pandemia in poi, ma anche prima, ci si dice che bisogna essere ottimisti, che c&#8217;è un interesse nazionale, e si è sospesa la politica. Siamo in una fase che Gustavo Zagrebelsky chiama “democrazia dall&#8217;alto”, quella nella quale è stato il Presidente Mattarella a fare il Governo Draghi, mandando a casa il Governo Conte Due che di fatto poteva andare avanti, e che bene o male era stato eletto. La rimozione del conflitto e il fatto di teorizzare che limitarsi all&#8217;unità nazionale sia un valore, cancella quello che il sociologo anglosassone Tony Judt diceva in maniera brutale: “I ricchi non vogliono le stesse cose che vogliono i poveri”. Chi manda alla scuola privata i propri figli non ha le stesse esigenze di chi li manda alla scuola pubblica; chi usa l&#8217;auto con conducente non ha i problemi degli autobus. Eliminare il conflitto significa mistificare la realtà in nome di una semplificazione che fa il gioco soltanto del potere.</p>



<p><strong>Come si compongono questi interessi diversi?</strong><strong></strong></p>



<p>Attraverso la politica, attraverso il Parlamento, attraverso un confronto a viso aperto, forte, serio, pacifico. E poi nella costruzione di un interesse generale che tenga le cose insieme. Se si toglie il conflitto dalla politica poi lo si ritrova nelle piazze; questo è il problema vero, e la guerra aggraverà le cose. Inflazione, maggiore costo dell&#8217;energia, carenza di cibo: andremo verso stagioni di conflitto sociale crescente senza avere lo strumento della politica, senza la mediazione. Cioè nel peggiore dei modi.</p>



<p><strong>Come si costruisce, o ricostruisce, la cultura del lavoro?</strong><strong></strong></p>



<p>Si costruisce pensando che i lavoratori non sono “capitale umano” ma sono persone. Abbiamo bisogno di formare cittadini dotati di un pensiero critico. Sembra che il lavoro, le aziende abbiano bisogno di pezzi docili, malleabili, disciplinabili, e invece no, hanno bisogno di teste pensanti.</p>



<p><strong>E su questo lei è ottimista?</strong><strong></strong></p>



<p>Quando vedo i ragazzi sì, quando vedo gli adulti meno.</p>



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<div class="is-layout-flow wp-block-group"><div class="wp-block-group__inner-container">
<p class="has-text-align-right"><em>Leggi il mensile 116, &#8220;<a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/numero-116/" target="_blank" rel="noreferrer noopener"><strong>Cavalli di battaglia</strong></a>&#8220;, e il reportage &#8220;<a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/reportage/112-reportage-sua-sanita-pnrr/" target="_blank" rel="noreferrer noopener"><strong>Sua Sanità PNRR</strong></a>&#8220;.</em></p>



<hr class="wp-block-separator has-text-color has-black-color has-css-opacity has-black-background-color has-background is-style-wide" />



<p><em>L’articolo che hai appena letto è finito, ma l’attività della redazione SenzaFiltro continua. Abbiamo scelto che i nostri contenuti siano sempre disponibili e gratuiti, perché mai come adesso c’è bisogno che la cultura del lavoro abbia un canale di informazione aperto, accessibile, libero.</em></p>



<p><em>Non cerchiamo abbonati da trattare meglio di altri, né lettori che la pensino come noi. Cerchiamo persone col nostro stesso bisogno di capire che Italia siamo quando parliamo di lavoro.&nbsp;</em></p>



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<p><em>In copertina Tomaso Montanari, foto di Domenico Grossi</em></p>


Tomaso Montanari: «Gli studenti non sono pezzi di ricambio. E la scuola non è al servizio del lavoro»


<p>Con grandi squilli di tromba la Presidente della Commissione Europea <strong>Ursula Von der Leyen</strong> annuncia l&#8217;accordo raggiunto sul salario minimo per tutti i Paesi d&#8217;Europa: “<em>Le nuove regole proteggeranno la&nbsp;<strong>dignità</strong>&nbsp;del lavoro e faranno in modo che il lavoro<strong>&nbsp;sia pagato</strong></em>“. </p>



<p>C&#8217;è da dire che alcuni Stati Europei che posizionano la dignità degli uomini alla base di una società civile, il salario minimo lo perseguono già da tempo anche senza la necessità di normarlo. Altre invece, nonostante poggino le loro fondamenta costituzionali sul lavoro, sono ben lontane dal proteggere i propri cittadini da contrattazioni non sempre regolari, nascondendosi dietro il dito dei Contratti Collettivi Nazionali. Una selva all&#8217;interno della quale alcuni di questi non vengono aggiornati da anni.</p>



<p>Per esempio, l&#8217;Italia.</p>



<p>Nel Paese in cui gli stipendi non crescono almeno da un paio di decenni, i Presidenti delle varie Associazioni di Categoria e relative sussidiarie lamentano da anni la mancanza di personale specializzato e mai come quest&#8217;anno le pagine dei giornali a torto o a ragione raccontano un&#8217;epoca in cui certi profili in particolare sono completamente spariti dalla piazza perché non ritengono le condizioni offerte in linea con il lavoro da svolgere. In prima fila anche ieri, sull&#8217;onda delle notizie legate al salario minimo, il Presidente di Confindustria Bonomi non ha perso l&#8217;occasione per dichiarare che &#8220;<em>il problema riguarda gli artigiani, non certamente le aziende confindustriali</em>&#8220;. </p>



<p>Come <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/bonomi-da-i-numeri-sul-reddito-di-cittadinanza-ma-sono-tutti-incorretti/">già una volta segnalato su questo giornale</a>, Bonomi ha qualche problema con i dati e al Presidente di Confindustria sfugge che sono almeno 4 milioni e mezzo i lavoratori che, pur godendo di un Contratto Collettivo Nazionale, percepiscono una tariffa oraria al di sotto di 9 euro l&#8217;ora.</p>



<h2>Non è solo un problema di salari, è un problema di cultura</h2>



<p>Aprendo parentesi, pur non avendo a che fare con il salario minimo ma di certo dice molto sulla cultura del lavoro delle aziende (soprattutto) confindustriali, basterebbe intervistare una qualsiasi agenzia per il lavoro per rendersi conto che i clienti di contratti (ex) interinali, a tempo determinato, con periodi che ormai sforano mediamente anche oltre l&#8217;anno, non sono certamente quelli per i soli artigiani (che spesso il servizio delle agenzie non possono nemmeno permetterselo), ma aziende strutturate, di tutto rispetto, che ormai hanno incancrenito nella compagine dei dipendenti una quota parte di lavoratori precari per contenere i costi e permettersi di &#8220;alleggerire la forza lavoro nei periodi di minor carico&#8221;.</p>



<p>E qui torniamo al tema del salario perché, se una volta la legge prevedeva che un lavoratore interinale dovesse avere identica retribuzione e trattamento di coloro che in azienda svolgono lo stesso lavoro, fin troppo facilmente troviamo in azienda figure sotto inquadrate rispetto ai loro pari funzione.</p>



<h2 id="h-lavorano-ma-sono-poveri">Lavorano ma sono poveri</h2>



<p>Mai come quest&#8217;anno si è parlato di lavoratori che nonostante l&#8217;occupazione vivono in regime di miseria e proprio <a href="https://www.ilsole24ore.com/art/lavoro-perche-italia-1-occupato-10-e-povero-e-1-4-ha-basso-salario-AE3Cbn8">un articolo del Sole 24 ore</a> a gennaio sottolineava che &#8220;secondo il rapporto presentato al ministero del Lavoro, l’11,8% dei lavoratori in italiani versa in condizioni di povertà. Le cause? Salari bassi, rapporti discontinui e carico famigliare&#8221;.</p>



<p>Eppure, intervenendo al festival dell&#8217;Economia di Trento organizzato dalla Provincia autonoma e dal<strong>&nbsp;Gruppo 24 Ore</strong>, di fronte a un pubblico certamente ben allineato il ministro Brunetta ha detto che: “Il salario minimo per legge non va bene perché è contro la nostra storia culturale di relazioni industriali. Non buttiamo il bambino con l’acqua sporca e valorizziamo le nostre&nbsp;<strong>relazioni industriali</strong>. Il salario non può essere moderato ma deve corrispondere alla produttività”.  Aggiungendo che la crisi non esiste e il nostro Paese va verso il 3% di crescita del PIL.</p>



<p>Grandi soddisfazioni anche dal Ministro del Lavoro Orlando: &#8220;Sul salario minimo&nbsp;<strong>vedo aperture positive da tutte le parti</strong>. Vediamo qual è il punto di contatto che consenta di intervenire subito in attesa poi di una&nbsp;<strong>legge di carattere più organico</strong>&nbsp;e che consenta di dare una risposta immediata ai lavoratori che si trovano a basso reddito e a basso salario. Come sempre &#8211; aggiunge Orlando &#8211; c’è chi la vuole cotta e chi la vuole cruda”.</p>



<p>Per il Ministro, è sufficiente che sia quantomeno riscaldata.</p>


Salario minimo: per l&#8217;Italia non è una priorità

<p>Estate con irruzione anticipata e burocrazia made in Italy che arranca più che mai con il risultato di una situazione rovente sul <strong>fronte agricolo</strong>: sono<strong> 100.000 </strong>i<strong> lavoratori </strong>e le<strong> lavoratrici stagionali che mancano </strong>per l’attività di <strong>raccolta</strong>. È un vero e proprio SOS quello lanciato dalle imprese del settore a livello nazionale, di cui Coldiretti si fa carico sottolineandone l’urgenza: frutta e verdura nei campi sono maturati in anticipo e rischiano di essere buttati se la manodopera adibita alla raccolta è carente o addirittura assente, con l’esito di un <strong>danno capillare</strong> per le aziende.</p>
<p>Ma attenzione: <strong>i lavoratori ci sono</strong>, come confermano Coldiretti e le imprese stesse. A essere parcheggiato in sosta vietata è semmai un <strong>problema burocratico</strong>, come ci spiega bene<strong> Romano Magrini</strong>, responsabile relazioni sindacali, lavoro, immigrazione, sicurezza Coldiretti nazionale, che abbiamo intervistato.</p>
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<h2 id="h-agricoltura-burocrazia-canaglia-bloccate-le-assunzioni-di-stagionali-stranieri-con-la-raccolta-alle-porte">Agricoltura, burocrazia canaglia: bloccate le assunzioni di stagionali stranieri con la raccolta alle porte</h2>
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<p>Partiamo da una premessa: l’attività stagionale del settore agricolo italiano ha un forte legame con la manodopera di <strong>lavoratori provenienti dall’estero</strong>. Un legame che nel tempo ha assunto connotati strutturali se pensiamo che, secondo la restituzione di Coldiretti raccolta dal dossier IDOS, con cui l’ente ha collaborato, un prodotto agricolo su quattro viene raccolto in Italia da lavoratori stranieri, i quali rappresentano più del <strong>29% del totale delle giornate di lavoro necessarie al settore</strong>. Si parla di attività stagionali, ma anche di rapporti professionali che durano nel tempo, in diversi casi anni, e che si ridanno appuntamento a inizio di ogni nuova raccolta, concretizzandosi in contratti a tempo determinato<em>.</em></p>
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<figure class="aligncenter size-full"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/06/Aggiungi-unintestazione-3.jpg"><img loading="lazy" decoding="async" width="1024" height="768" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/06/Aggiungi-unintestazione-3.jpg" alt="" class="wp-image-50753" /></a></figure>
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<p>“La situazione è drammatica”, sottolinea Magrini senza mezzi termini, chiarendo subito la dinamica protagonista del nostro servizio. “Il sistema è bloccato”, spiega. “C’è in corso un<strong> aggiornamento del programma del ministero degli Interni </strong>che <strong>impedisce</strong> alle prefetture e agli sportelli unici di <strong>chiudere la procedura</strong>, e quindi di firmare i <strong>contratti di soggiorno </strong>per i lavoratori stagionali che provengono dall’estero”. </p>
<p>Sulla causa burocratica puntualizza: “Pensare che <strong>il decreto flussi era arrivato a dicembre 2021</strong>, e quindi avevamo tutto il tempo di fare le cose per bene; poi l’aggiornamento ha bloccato il rilascio. Adesso ci troviamo in questa situazione davvero pesante, con lavoratori fermi che non sanno come sostenersi, e imprese in lacrime che ci chiedono aiuto per gestire la raccolta di prodotti già maturi che altrimenti rischiano di andare perduti”.</p>
<p>Come ha precisato recentemente Coldiretti: “Rispetto all’anno scorso le quote di lavoratori e lavoratrici ammessi in Italia per decreto sono state alzate a<strong> 69.000</strong>”. Il settore agricolo riserva <strong>42.000 posti</strong> di lavoro, a fronte dei quali sono pervenute circa <strong>100.000 domande</strong>: <strong>la</strong> <strong>domanda ha addirittura superato l’offerta</strong>, eppure la burocrazia sta polverizzando questa disponibilità. Romano Magrini evidenzia: “In Trentino abbiamo ad esempio lavoratori che sono già arrivati, ma che non possiamo assumere perché impossibilitati a sottoscrivere il contratto di soggiorno”.</p>
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<figure class="aligncenter size-full"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/06/Aggiungi-unintestazione-5.jpg"><img loading="lazy" decoding="async" width="1024" height="768" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/06/Aggiungi-unintestazione-5.jpg" alt="" class="wp-image-50752" /></a></figure>
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<p>Nulla osta che mancano, contratti impossibilitati a partire. Il disagio per questa situazione di blocco è trasversale, ma ci chiediamo: ci sono <strong>Regioni che stanno soffrendo più di altre</strong>? “Il <strong>Veneto</strong> è particolarmente sofferente”, spiega Magrini. “A <strong>Verona</strong> mancano ad esempio ancora 400 quote di lavoratori adibiti alla manodopera; anche a <strong>Cuneo</strong> ci sono diversi disagi, così come in<strong> Emilia</strong> e in <strong>Basilicata</strong>. In <strong>Trentino</strong> abbiamo 75 lavoratori già presenti ma fermi, visto che non possono essere assunti: una follia.”</p>
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<h2 id="h-blocco-burocratico-romano-magrini-rischiamo-l-assist-al-lavoro-nero">Blocco burocratico, Romano Magrini: &#8220;Rischiamo l&#8217;assist al lavoro nero&#8221;</h2>
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<p>Una dinamica bloccata che, come abbiamo evidenziato, impatta negativamente su diversi fronti: persone che rischiano di perdere un’occasione di lavoro, imprese per le quali si prospetta un danno ingente se la situazione non rientra. Ma c’è un terzo punto da considerare: la possibile deriva del <strong>lavoro in nero</strong>, e quindi non tutelato.</p>
<p>Dopo gli investimenti attivati proprio per <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/puglia-caporalato-fondi-pnrr/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">contrastare questa piaga</a>, che da tempo minaccia vari settori lavorativi e non da ultimo quello agricolo, ci troviamo di fronte a una situazione assurda: proprio per una questione burocratica il lavoro in nero rischia di essere servito su un piatto d’argento. Il <strong>permesso di soggiorno</strong> è infatti legato a filo doppio alla questione dell’<strong>assunzione regolare</strong>. “Proprio così”, chiosa Magrini: “Parliamo di lavoratori regolarmente assunti e pagati, ma se non si agisce in modo tempestivo rischiamo davvero questa grave conseguenza, che dobbiamo continuare a contrastare”.</p>
<p>Attraverso strumenti concordati con i sindacati, nel frattempo Coldiretti caldeggia una <strong>radicale semplificazione burocratica </strong>che consenta di coinvolgere stagionalmente nelle attività dei campi i <strong>percettori di ammortizzatori sociali</strong>, gli <strong>studenti</strong> e i <strong>pensionati italiani</strong>. “Questa semplificazione risponderebbe con rapidità a determinate esigenze e aiuterebbe coloro che hanno bisogno di arrotondare lo stipendio, tra cui i lavoratori in cassa integrazione”.</p>
<p>I <strong>pensionati</strong> che cercano un’occupazione per sostenersi economicamente, poiché la pensione risulta insufficiente, sono la conferma della gravità della situazione. Come si concilia questa esigenza con un lavoro agricolo che richiede una certa dose di energia fisica, e quindi con la tutela della salute? “Purtroppo è così, ci sono persone in pensione che hanno necessità di arrotondare quanto gli studenti”, chiarisce Magrini. “Nel caso dei pensionati valorizziamo la loro esperienza proponendo allo stesso tempo attività non faticose. La semplificazione burocratica deve snellire, ma mantenere tutte le tutele possibili in maniera trasparente”.</p>
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<h2 id="h-lavoratori-stranieri-specializzati-e-in-stallo-le-ricadute-sul-territorio">Lavoratori stranieri, specializzati e in stallo. Le ricadute sul territorio</h2>
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<p>Ci focalizziamo sul <strong>Veneto</strong>, dove l’attività di raccolta agricola rappresenta un bacino di occupazione notevole. Dati alla mano, secondo Veneto Lavoro nel 2021 sono state registrate a livello regionale circa <strong>65.000 assunzioni&nbsp;</strong>relative ai lavoratori agricoli stagionali, specializzati e non,&nbsp;dei quali <strong>40.000 stranieri</strong>. I picchi delle assunzioni coincidono con il periodo della vendemmia soprattutto nelle province di Treviso e Verona, dove al momento si registrano forti difficoltà.</p>
<p>Come sempre è chi si interfaccia ogni giorno con la situazione a rivelarci la temperatura della problematica. Per questo ci confrontiamo con <strong>Alberto Mantovanelli</strong>, titolare di un’azienda agricola del territorio veneto.</p>
<p>“Da anni abbiamo una <strong>manodopera specializzata</strong> e da noi formata proveniente per lo più dal <strong>nord Africa</strong>, dal <strong>Marocco</strong>, dalla <strong>Serbia</strong> e dalla <strong>Moldavia</strong>”, ci racconta. “Cerchiamo di coinvolgere anche il resto delle famiglie o degli amici di questi lavoratori, sempre formandoli”. Nel tempo si sono creati rapporti consolidati: “Alcuni di questi lavoratori sono anche diventati miei soci in azienda”.</p>
<p>Riguardo al problema attuale Mantovanelli evidenzia: “C’eravamo organizzati per attivare i permessi, poi di punto in bianco ci hanno detto che non c’erano più. Abbiamo <strong>15 lavoratori bloccati </strong>che tra una cosa e l’altra hanno già perso due mesi di lavoro!”. Chiediamo come nel frattempo abbiano tamponato la situazione in azienda: “Abbiamo <strong>ridimensionato il lavoro</strong> con colture meno impegnative, ma alcune cose abbiamo dovute lasciarle indietro come nel caso di un nostro vigneto”, spiega. “Abbiamo poi aumentato la <strong>collaborazione con le altre aziende del territorio</strong> che hanno avuto qualche giorno di stop, assumendo per un periodo i loro lavoratori: in pratica ci stiamo dando una mano a vicenda”.</p>
<p>“Attualmente stiamo cercando di concludere i trapianti di pomodoro, ma la mancanza di manodopera è un problema grave”, chiosa. “<strong>Le piante non aspettano di certo i permessi di soggiorno</strong> e l’esito è quello di subire forti<strong> perdite economiche</strong> per una questione burocratica”. A ciò, aggiungiamo noi, si associa il tema dello <strong>spreco di cibo</strong>, altrettanto grave.</p>
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<h2 id="h-l-imprenditore-agricolo-combattiamo-il-caporalato-e-ci-blocchiamo-per-una-questione-burocratica-rimpiango-i-voucher">L’imprenditore agricolo: “Combattiamo il caporalato e ci blocchiamo per una questione burocratica? Rimpiango i voucher”</h2>
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<p>Riflettendo invece sul tema della manodopera, di cui una corposa fetta è di origine straniera, sfatiamo alcuni <strong>stereotipi</strong>: “Ci sono lavori stagionali che si conciliano con determinate esigenze e non con altre. Ad esempio gli studenti hanno bisogno di arrotondare e svolgere lavori in un periodo di tempo limitato. Il lavoro stagionale non va bene invece per chi già lavora in fabbrica e ha le ferie magari solo in un breve periodo di agosto, o per chi ha altri tipi di formazione non riguardanti il settore agricolo. Le persone che stanno attendendo il permesso di soggiorno sono già formate: la formazione costa e noi puntiamo su chi abbiamo già coinvolto in questo percorso, insegnandogli diversi aspetti del mestiere”. E aggiunge: “Io sinceramente <strong>rimpiango i voucher</strong>: li trovavo uno strumento in grado di garantire flessibilità e allo stesso tempo tutela”.</p>
<p>Riguardo alla possibile deriva del lavoro in nero commenta con amarezza: “Facciamo la lotta al <strong>caporalato</strong> e poi abbiamo lavoratori bloccati da una questione burocratica: è una contraddizione. Mi fa specie pensare che possa esistere il caporalato sul nostro territorio, perché se si tratta di situazioni continuative è impossibile che non vengano intercettate”. Esiste però l’omertà: “Sì, ma in certi contesti ristretti tenere nascoste le dinamiche disoneste è difficile: credo anche nel valore della comunità attenta alle situazioni”.</p>
<p>Riguardo al tema della ricerca del lavoro nel settore agricolo Alberto Mantovanelli esplicita con chiarezza il suo pensiero: “Gli imprenditori non vanno criminalizzati a priori, né bisogna scadere in idee sbagliate come pensare che il Reddito di Cittadinanza spinga le persone a non cercare lavoro: non è così. Credo invece che le istituzioni debbano essere coerenti nelle loro azioni e tempestive nel portare soluzioni a determinate problematiche: va insomma trovato un equilibrio”.</p>
<p>E conclude: “Dobbiamo ricordare che dietro a quei pezzi di carta che servono come nulla osta ci sono <strong>persone che stanno aspettando di poter lavorare</strong> e che sono una <strong>risorsa</strong> per il territorio stesso. Se l’attività della manodopera viene bloccata ci sono impatti negativi per tutta la filiera”.</p>
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<p><em>Photo credits: codacons.it</em></p>


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Bellingeri

Sara Bellingeri

Scrive fin da quando ha acchiappato in mano la sua prima matita e da allora la passione di raccontare e incontrare le storie non è mai sbiadita. Dal 2005 lavora come giornalista e responsabile ufficio stampa occupandosi soprattutto di diritti, ambiente, inclusione lavorativa, sanità e disabilità. Nel curriculum una laurea in Antropologia Filosofica, un master in comunicazione di eventi e tre libri. In testa la costante voglia di partire anche se il viaggio più emozionante glielo fanno fare ogni giorno i suoi bambini. “Io sono una parte di tutto quello che ho incontrato”. La frase di Tennyson rappresenta al meglio il suo modo di vivere la vita, il lavoro e le esperienze.

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Stagionali, la burocrazia blocca le assunzioni di stranieri durante la raccolta. E i caporali festeggiano

Pugnalata degli Interni al settore agricolo: i lavoratori ci sono, ma non possono essere assunti per l&#8217;aggiornamento del programma che impedisce di chiudere la procedura. Fermi in 100.000, un assist al lavoro nero. Ne parliamo con Romano Magrini di Coldiretti e con l&#8217;imprenditore Alberto Mantovanelli.

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<p>Per il metalmeccanico c’è Metasalute, nel commercio il Fondo Est, sul cartario si trova Salute Sempre. E ancora, ai lavoratori dell’industria alimentare tocca FASA, alle cooperative il Filcoop Sanitario. Sei un dirigente? Ecco il FASI.</p>



<p>Chi più ne ha più ne metta, perché all’infinita selva dei contratti nazionali, che compongono oggi il variopinto mercato del lavoro italiano, si collega un fitto elenco di <strong>fondi sanitari integrativi</strong>, dedicati alla salute dei dipendenti. Materia poco conosciuta e per nulla dibattuta, nonostante la potenziale rilevanza di uno strumento assistenziale di sicura utilità, soprattutto nell’attuale contesto storico.</p>



<p>Difficile peraltro stilare una mappa precisa di questa eterogenea galassia, così come complesso è cercare di approfondire il livello di attrattività dei singoli fondi, di fatto entità no profit costituite da accordi collettivi, che rientrano nell’ambito della sanità integrativa di carattere negoziale. Peccato, poiché non si tratta di mera materia privata, come spesso si crede, quanto di un <strong>concreto supporto che completa il Servizio sanitario nazionale</strong> nell’erogazione delle cure necessarie ai cittadini. Molte volte, come nel caso dell’industria metalmeccanica, con quote di contribuzione a totale carico dell’impresa.</p>



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<h2 id="h-sono-318-i-fondi-sanitari-integrativi-prestazioni-per-tre-miliardi-di-euro-ma-i-lavoratori-ancora-non-si-fidano">Sono 318 i fondi sanitari integrativi: prestazioni per tre miliardi di euro. Ma i lavoratori ancora non si fidano</h2>



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<p>Esiste quindi sull’argomento una questione di <strong>cattiva informazione</strong>, che inficia le buone intenzioni e inquina l’opinione degli stessi lavoratori, ancora troppo confusi se non addirittura diffidenti. A cercare senso e orientamento ci prova il ministero della Salute, che nell’aprile scorso ha pubblicato sul proprio sito una sintesi del secondo Report System sull’Anagrafe dei fondi sanitari. Un aggiornamento, completato nell’ottobre 2021, sull’attività dei fondi negli anni 2018, 2019 e 2020. Niente di eccezionalmente recente, bisogna dirlo, però senz’altro sufficiente per costruire una bussola efficace.</p>



<p>A destare scalpore è il <strong>numero complessivo</strong> (tra enti, casse e società di mutuo soccorso) registrato nel <strong>2020</strong>. Sono ben <strong>318</strong> in totale, quantitativo che non si discosta molto dal dato di partenza del 2018, fissato a quota 311. Le prestazioni erogate si attestano sui <strong>tre miliardi di euro</strong> nel 2019, di cui ben 925 milioni a integrazione del SSN. Il tutto a favore di circa quattordici milioni di iscritti. Bisogna sottolineare che l’Anagrafe rilascia gli attestati se i fondi dedicano almeno il 20% delle risorse a precisi ambiti di assistenza: odontoiatrica, sociosanitaria, di inabilità al lavoro a causa di infortunio o malattia.</p>



<p>Ebbene, <strong>dal 2010 al 2020 si nota una crescita esponenziale delle adesioni</strong>, da 267 alle citate 318 attuali. Anche il <strong>numero degli iscritti</strong> conta un aumento vertiginoso negli ultimi anni, se si considera che si è passati dai sette milioni del 2014 (con due miliardi di prestazioni erogate) ai quattordici milioni e mezzo del 2020. Naturale conseguenza l’aumento delle risorse destinate all’erogazione, proprio in virtù della curva in ascesa degli aderenti. A questi elementi bisogna aggiungere che mancano i dati relativi al periodo pandemico, importante chiave di sviluppo per la sanità integrativa, proprio per l’ovvio surplus delle necessità in tema di salute.</p>



<p>L’impressione però è che, al di là del numero degli iscritti e della quantità di prestazioni erogate, manchi ancora il giusto livello di <strong>coscienza e conoscenza</strong> in buona parte dei lavoratori, capace di alimentare in modo netto una curva comunque in ascesa costante.</p>



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<h2 id="h-damiana-mastantuono-mefop-manca-una-legge-che-obblighi-i-fondi-alla-trasparenza-verso-gli-iscritti">Damiana Mastantuono, Mefop: “Manca una legge che obblighi i fondi alla trasparenza verso gli iscritti”</h2>



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<p>“Il dubbio è senz’altro lecito, <strong>ancora oggi c’è pochissima informazione</strong>. A fronte di un sistema di fondi che accoglie più di dieci milioni di dipendenti, possiamo dire con certezza che, nonostante questi numeri, la consapevolezza di essere iscritti e di avere dei diritti non è così ampia. Questo almeno è quel che emerge dalle nostre indagini conoscitive.”</p>



<p><strong>Damiana Mastantuono</strong> è responsabile dell’area sviluppo e comunicazione di Mefop, società costituita dal Ministero dell’economia per supportare fondi pensione, casse di previdenza e, appunto, fondi sanitari.</p>



<p>“Possiamo anche dire che in alcune circostanze gli stessi fondi si trovano a dover gestire situazioni di <strong>lavoratori disinformati sui loro diritti</strong>. Questo accade, a mio avviso, perché <strong>manca una legge uniforme</strong> che obblighi i fondi a implementare la comunicazione verso l’esterno, attraverso operazioni di trasparenza e dialogo con i propri iscritti”.</p>



<p>Anche se la <strong>pandemia</strong>, come ribadito, negli ultimi due anni è stata una leva sostanziale. “Il COVID-19 ha accelerato il processo di crescita, direttamente proporzionale ai rischi legati alla salute e in ottica di prevenzione. Di conseguenza abbiamo registrato un <strong>accesso sempre più massivo</strong> a queste forme di supporto. Qualcosa sta cambiando, ma ancora troppo lentamente, proprio perché manca una legislazione di sostegno”.</p>



<p>Quanto alla <strong>mancanza di comunicazione</strong>, anche imprese e sindacati hanno la loro quota di responsabilità? “In realtà <strong>sindacati</strong> e parti sociali su questo aspetto si stanno spendendo moltissimo, al centro di tanti rinnovi dei contratti nazionali oggi c’è l’argomento welfare. <strong>Se parliamo di aziende, il problema lo vedo nelle piccole e medie</strong>, proprio perché nella maggior parte dei casi non è presente il sindacato, unico filtro informativo di una certa rilevanza. In ogni caso tutte le organizzazioni dovrebbero implementare i loro sistemi comunicativi. D’altro canto bisogna anche dire che la crescita registrata è arrivata senza alcun obbligo, cosa non di poco conto”.</p>



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<h2 id="h-una-sanita-per-tutti-tranne-i-non-occupati">Una sanità per tutti, tranne i non occupati</h2>



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<p>Tra i tanti aspetti, sempre di natura informativa, rimane la clamorosa <strong>difficoltà nel reperire dati</strong> sul numero di fondi e sulla quantità delle prestazioni erogate. “Purtroppo <strong>non esiste una foto fedele della sanità integrativa</strong>, che ancora oggi è costruita da mille realtà. Gli unici elementi ufficiali sono quelli forniti dall’anagrafe, ma il controllo che fa il ministero è effettuato ai fini del riconoscimento del beneficio fiscale, quindi sui fondi certificati”.</p>



<p>Nel frattempo i fondi come si muovono? Navigando in rete si trovano siti poco strutturati, quasi vetusti. Sinonimo di arretratezza, forse. “No, nessun anacronismo. Al contrario posso dire che si tratta di un’esperienza nuova, quasi embrionale, che ha la necessità di essere rodata bene. Attorno a questi strumenti c’è ancora tanto <strong>outsourcing</strong>”. Non sarà forse il numero troppo elevato a impedire al sistema di strutturarsi? “Il tema della numerosità ci sarà tra qualche tempo; non ora, visto che le regole organizzative sono molto leggere. Appena il sistema sarà regolato e saranno cresciuti i livelli di presidio, le forme tenderanno naturalmente a riunirsi”.</p>



<p>Quando si parla di assistenza sanitaria integrativa si tende a concentrarsi troppo sui contratti di lavoro subordinato. Ma gli altri? <strong>Come sono tutelati i lavoratori autonomi e i liberi professionisti?</strong> “Hanno le loro <strong>casse professionali</strong>, appoggiate a fondi sanitari aperti o società di mutuo soccorso. Il vero problema invece riguarda i <strong>cittadini non occupati</strong>, quelli che non hanno qualifica. Oppure pensionati, minorenni o casalinghe. Attualmente tutti questi cittadini sono coperti attraverso le polizze e il sistema assicurativo, ma anche dalle società di mutuo soccorso, che come compagnie hanno un modello aperto a adesioni individuali. Su questo ultimo aspetto bisogna fare un passo importante; come lei ben capisce le coperture individuali hanno rischi diversi e prezzi diversi. L’impegno, quindi, è di <strong>rendere accessibile la sanità integrativa anche ai soggetti potenzialmente fragili</strong>”.</p>



<p>Certo, però per onore di cronaca va detto che molti fondi dedicati ai lavoratori dipendenti coprono anche i famigliari, a seconda del livello di contribuzione. “Lo sforzo dei fondi negoziali è quello di <strong>inserire dentro anche i famigliari a carico</strong>, <strong>le famiglie in genere e anche pensionati</strong>. Su questo sono d’accordo. L’obiettivo è elevare i livelli di best practice, soprattutto adesso che siamo in assenza di una normativa. Mettere a fattor comune le migliori esperienze e puntare alla crescita di questo sistema”.</p>



<p>Oltre a comunicarlo meglio, s’intende.</p>



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<p><em>Photo credits: uiltucs.it</em></p>


L&#8217;Italia dei 318 fondi sanitari integrativi: i lavoratori sono ricchi e non lo sanno

<p>Sul territorio italiano c’è un ampio bacino di <strong>lavoratori stranieri irregolari</strong>, che conta tra le 600.000 e le 700.000 persone. Una questione cruciale è quella della <strong>regolarizzazione</strong>: la campagna “Ero Straniero” denuncia che, a seguito della regolarizzazione straordinaria prevista dal governo nel maggio 2020, con il decreto legge 34, a fine marzo 2022 sono solo <strong>105.000 i permessi di soggiorno</strong> in via di rilascio da parte delle prefetture, a fronte delle oltre <strong>207.000 domande</strong> di emersione. Decine di migliaia sono le pratiche ancora da finalizzare, oltre a un numero abbastanza cospicuo di rigetti.</p>
<p>“Mentre i migranti aspettano risposta, <strong>lo sfruttamento continua</strong>”, commenta <strong>Marco Omizzolo</strong>, sociologo dell’Eurispes, docente di Sociopolitologia delle migrazioni all’Università la Sapienza di Roma e autore del saggio <em>Per motivi di giustizia</em> (2022). “Due anni di ritardo per un bracciante che lavora in agricoltura significano sei campagne di raccolta come minimo, lavorando senza contratto e senza diritti”.</p>
<p>I <strong>tempi troppo lunghi</strong> sono stati condannati anche dal TAR Lombardia in tre diverse sentenze emesse tra il luglio e il novembre 2021: i giudici hanno affermato che l’obbligo di conclusione dei procedimenti amministrativi entro un determinato termine costituisce una diretta applicazione della Costituzione. Di conseguenza, “non può sussistere un procedimento amministrativo privo dell’indicazione del termine della sua conclusione”, che il Tar ha indicato in trenta giorni. Una tempistica decisamente diversa rispetto a quella rilevata dall’indagine.</p>
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<h2 id="h-regolarizzazione-dei-lavoratori-stranieri-pensata-per-i-braccianti-la-richiedono-quasi-solo-i-lavoratori-domestici">Regolarizzazione dei lavoratori stranieri: pensata per i braccianti, la richiedono quasi solo i lavoratori domestici</h2>
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<p>Ciò che colpisce è anche la composizione per <strong>tipo di lavoro delle domande</strong>, con la netta prevalenza delle domande presentate nell’ambito del <strong>lavoro domestico</strong> e della cura della persona (85% del totale).</p>
<p>“<strong>Le persone sfruttate nelle campagne italiane</strong>, che spesso vivono in abitazioni fatiscenti e lavorano per meno di tre euro l’ora, non di rado sotto padronato e caporalato, <strong>spesso sono rimaste escluse</strong> nonostante la norma fosse stata pensata proprio per loro”, continua Omizzolo, che lo scorso 18 maggio è stato ascoltato in udienza al Consiglio d’Europa sulla questione dei diritti umani e del lavoro in Italia, con un focus sullo sfruttamento e caporalato dei migranti impiegati nel settore agricolo. Nella sua relazione ha parlato anche delle <strong>difficoltà</strong> che si incontrano nella procedura di regolarizzazione, per i limiti della norma, a partire dai pochi settori identificati per l&#8217;emersione fino alla rigidità di alcuni requisiti.</p>
<p>“La legge prevede che, in via prevalente, <strong>sia il datore di lavoro a presentare la domanda di regolarizzazione</strong>”, spiega Omizzolo. “È un meccanismo che non funziona: perché un imprenditore agricolo dovrebbe chiedere di regolarizzare un suo lavoratore in nero? <strong>È una sorta di autodenuncia</strong>, senza contare che la manodopera irregolare serve a fare maggiori guadagni. Ecco perché le domande in agricoltura sono così poche, a differenza del badantato”.</p>
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<h2 id="h-ero-straniero-la-campagna-con-lo-sguardo-puntato-sulla-regolarizzazione">“Ero Straniero”, la campagna con lo sguardo puntato sulla regolarizzazione</h2>
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<p>La <strong>campagna</strong> “<strong>Ero Straniero</strong>”, promossa da diverse associazioni e ONG italiane (tra cui ARCI, ASGI, Centro Astalli, CNCA, CILD, Oxfam Italia, ActionAid, Legambiente, la Federazione chiese evangeliche e molte altre) monitora fin dal suo inizio l’andamento della regolarizzazione, e a marzo 2021 aveva pubblicato un primo <a href="http://erostraniero.it/regolarizzazione" target="_blank" rel="noreferrer noopener nofollow">report</a> evidenziandone le criticità.</p>
<p>In questo secondo dossier si trova anche l’analisi dei risultati ottenuti nei mesi scorsi dalla campagna ai fini di velocizzare e portare a compimento le procedure: si è ottenuta ad esempio la proroga fino a dicembre 2022 degli oltre mille interinali impiegati presso prefetture e questure, che potranno continuare a occuparsi della regolarizzazione e auspicabilmente portarla a compimento.</p>
<p>A conclusione dell’analisi, la campagna ribadisce ancora una volta “la necessità di creare dei <strong>canali di ingresso per lavoro</strong> razionali e realmente accessibili e <strong>superare il sistema illogico delle sanatorie</strong>, con l’introduzione di un meccanismo sempre accessibile per rientrare nell’economia legale”.</p>
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<h2 id="h-le-risposte-della-politica-un-meccanismo-di-regolarizzazione-fisso-e-possibile">Le risposte della politica: un meccanismo di regolarizzazione fisso è possibile?</h2>
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<p>Incoraggiante in questo senso è stata l’approvazione al <strong>Senato</strong>, il 3 maggio scorso, di un <strong>ordine del giorno</strong> che impegna il Governo a valutare l’introduzione di un <strong>meccanismo permanente di regolarizzazione</strong> su base individuale a fronte di un contratto di lavoro. L’obiettivo è duplice: da un lato garantire la giusta tutela dei diritti fondamentali della persona, e allo stesso tempo favorire anche l&#8217;emersione di rapporti di lavoro irregolari.</p>
<p>Per il 14 luglio prossimo, la campagna “Ero Straniero” sta organizzando in Parlamento un incontro pubblico dedicato alle prospettive di miglioramento nell’ambito delle politiche dell’immigrazione, a partire dalla riforma del testo unico dell&#8217;immigrazione elaborata dalla campagna, con la proposta di legge di iniziativa popolare depositata alla Camera nel 2017, il cui esame è fermo in Commissione affari costituzionali da marzo 2020.</p>
<p>“Stiamo parlando di decine di migliaia di donne e uomini che aspettano di avere i documenti per poter finalmente vivere e lavorare nella legalità”, sottolinea in una nota <strong>Massimiliano Iervolino</strong>, segretario di Radicali Italiani, parte della campagna Ero Straniero. “Sono vite sospese e costrette alla precarietà a causa della burocrazia, della lentezza della pubblica amministrazione e da una più generale disattenzione della politica. Canali di ingresso per lavoro e regolarizzazione sempre accessibile a fronte di un contratto di lavoro sono le due misure necessarie per una <strong>gestione razionale dell&#8217;immigrazione del nostro Paese</strong>: i partiti non possono continuare a mettere la testa sotto la sabbia per paura di perdere consenso”.</p>
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<p class="has-text-align-right"><em>Leggi il mensile 116, &#8220;<a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/numero-116/" target="_blank" rel="noreferrer noopener"><strong>Cavalli di battaglia</strong></a>&#8220;, e il reportage &#8220;<a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/reportage/112-reportage-sua-sanita-pnrr/" target="_blank" rel="noreferrer noopener"><strong>Sua Sanità PNRR</strong></a>&#8220;.</em></p>
<hr class="wp-block-separator has-text-color has-black-color has-css-opacity has-black-background-color has-background is-style-wide" />
<p><em>L’articolo che hai appena letto è finito, ma l’attività della redazione SenzaFiltro continua. Abbiamo scelto che i nostri contenuti siano sempre disponibili e gratuiti, perché mai come adesso c’è bisogno che la cultura del lavoro abbia un canale di informazione aperto, accessibile, libero.</em></p>
<p><em>Non cerchiamo abbonati da trattare meglio di altri, né lettori che la pensino come noi. Cerchiamo persone col nostro stesso bisogno di capire che Italia siamo quando parliamo di lavoro.&nbsp;</em></p>
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<p><em>Photo credits: gamberorosso.it</em></p>


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ALICE-FE

Alice Facchini

Giornalista, si occupa di temi sociali, ambiente e diritti. Ha realizzato reportage da vari paesi come il Cile, la Colombia, l’Ecuador, la Giordania e la Guinea Bissau. Collabora con Internazionale, L’Essenziale, Valigia Blu, Altreconomia, FQMillennium e altre testate. Ha scritto Il modello economico dei giornali di strada (2016) ed è stata coautrice di Tracce indelebili. Storie di dieci attivisti che hanno cambiato il mondo (2021).

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Ma quale regolarizzazione? La legge pensata per il caporalato chiede l&#8217;autodenuncia agli sfruttatori

Più di 100.000 domande ancora in sospeso, e solo il 15% proviene dal settore agricolo: i motivi del fallimento della regolarizzazione 2020 nel report della campagna &#8220;Ero Straniero&#8221; e le risposte (vaghe) della politica. L&#8217;opinione di Marco Omizzolo, sociologo della Sapienza, e di Massimiliano Iervolino, segretario di Radicali Italiani.

Ma quale regolarizzazione? La legge pensata per il caporalato chiede l&#8217;autodenuncia agli sfruttatori - Informazione senza filtro

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<p><strong>Settore</strong>: ICT</p>



<p>Temera è una realtà fiorentina, nata nel 2009, che si colloca tra i principali fornitori di soluzioni IoT per i più importanti brand del settore Fashion&amp;Luxury nazionali ed internazionali.</p>



<h2 id="h-posizione">Posizione</h2>



<p>La figura attualmente ricercata sarà inserita nell’ufficio marketing di Temera e si occuperà della gestione del marketing operativo. Avrà il principale obiettivo di concretizzare le strategie di marketing provenienti dalla direzione mediante un adeguato ed efficiente supporto al team management nello sviluppo di contenuti e di soluzioni aziendali, affiancando i colleghi commerciali nella presentazione ai clienti dei prodotti necessari per le loro specifiche esigenze e garantendo aggiornamenti costanti.</p>



<p>La Risorsa, nello specifico:</p>



<ul><li>Affiancherà i colleghi commerciali nella presentazione dei prodotti e delle soluzioni ai clienti</li><li>Si occuperà della produzione di materiale commerciale</li><li>Fornirà il proprio supporto nell’aggiornamento e nella creazione di contenuti del sito e del blog aziendale</li><li>Studierà e svilupperà iniziative, prodotti e promozioni aziendali</li></ul>



<p><strong>Luogo di lavoro:&nbsp;</strong>Scarperia e San Piero (FI).</p>



<h2 id="h-requisiti">Requisiti</h2>



<p>Si ricercano candidati con almeno 3 anni di esperienza in ambito marketing preferibilmente da aziende nel settore fashion/luxury o retail oppure società di consulenza informatica e digitale.</p>



<p><strong>Titoli di studio</strong>: Preferenziale Laurea in Comunicazione e Marketing. Saranno tenuti in considerazione anche candidati in possesso di diploma o altri corsi di laurea se con esperienza specifica nel ruolo.</p>



<p><strong>Contratto offerto</strong>: Tempo indeterminato. Il livello di inquadramento e la RAL saranno valutati in base al livello di seniority del candidato/a all’interno di un range tra i 33 e i 36K.</p>



<p><strong>Per candidarsi: </strong><a href="https://inrecruiting.intervieweb.it/scr/jobs/marketing_operativo_164329/it/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">cliccare qui</a></p>



<p>I/Le candidati/e potranno inviare la propria risposta rilasciando specifica autorizzazione ai sensi del del Regolamento (UE) 2016/679 sulla protezione dei dati (GDPR). Vedi informativa privacy <a href="http://www.scrconsulenza.it" target="_blank" rel="noreferrer noopener">www.scrconsulenza.it</a> Per informazioni: <a href="http://www.scrconsulenza.it" target="_blank" rel="noreferrer noopener">www.scrconsulenza.it</a> oppure 0544/270701.</p>



<p>Tale ricerca professionale é rivolta ad ambo i sessi (L. 903/77)</p>



<p>Autorizzazione Ministeriale a tempo indeterminato all’esercizio delle attività di ricerca e selezione del personale ai sensi del D.lgs. 276/03 prot. 13/1/0003008/MA004.A003</p>


Marketing Operativo


<p>Tor &#8211; Recruitment &amp; HR Consulting, divisione di ricerca e selezione del Gruppo Lavoropiu Spa, ricerca una figura di RESPONSABILE DI PRODUZIONE REPARTO LAMIERATI per azienda metalmeccanica con sede Suisio (BG).</p>



<p></p>



<p><strong>Attività</strong></p>



<p>La risorsa si occuperà del monitoraggio del processo produttivo e del raggiungimento degli obiettivi di efficienza e qualità della linea produttiva. Si occuperà di coordinare risorse dirette che operano su macchine utensili cnc (come laser lamiera, piegatrici) e il reparto assemblaggio saldatura a filo.</p>



<p></p>



<p><strong>Requisiti</strong></p>



<p>• Laurea ad indirizzo meccanico o diploma di perito tecnico meccanico;</p>



<p>• Conoscenza e lettura del disegno meccanico;</p>



<p>• Ottima conoscenza delle macchine utensili cnc;</p>



<p>• Conoscenza delle normative saldatura;</p>



<p>• Provenienza da aziende di stampo metalmeccanico e lavorazione lamierati.</p>



<p></p>



<p><strong>Si offre</strong>: contratto di lavoro a tempo indeterminato, full time.</p>



<p>Il livello di inserimento e il trattamento economico saranno commisurati all&#8217;esperienza e alle competenze maturate.</p>



<p></p>



<p><strong>Sede di lavoro</strong>: Suisio (BG)</p>



<p></p>



<p>Per candidarsi a questa ricerca inviare il CV indicando il titolo dell’annuncio e il codice di riferimento all’indirizzo:&nbsp;<span class="has-inline-color has-vivid-cyan-blue-color">milano@tor.jobs</span></p>



<p></p>



<p>Questo annuncio è pubblicato da TOR – Recruitment &amp; HR Consulting, divisione di ricerca e selezione del Gruppo Lavoropiu Spa (Aut. Min. del 26/11/2004 _ Prot. 1104/SG), Sede di Milano. Il presente annuncio è rivolto ad entrambi i sessi, ai sensi delle leggi 903/77 e 125/91 e a persone di tutte le età e tutte le nazionalità, ai sensi dei decreti legislativi 215/03 e 216/03.<br>Ti chiediamo di prendere visione dell’informativa privacy consultabile al link lavoropiu.it/privacy e di inserire nel CV l’autorizzazione al trattamento dei tuoi dati personali ai sensi del Regolamento UE n. 679/2016 e della legislazione italiana vigente. Ti preghiamo di non inserire dati appartenenti a particolari categorie (dati che rivelino l’origine razziale o etnica, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche, o l’appartenenza sindacale, dati genetici, dati biometrici intesi a identificare in modo univoco una persona fisica, dati relativi alla salute o alla vita sessuale o all’orientamento sessuale. TI ricordiamo che Lavoropiù non richiede mai, nella prima fase di ricezione delle candidature, l’invio di documenti di riconoscimento o di altra documentazione burocratica (ad esempio informazioni personali, dati, codici collegati a sistemi di pagamento) ed i nostri annunci riportano sempre un indirizzo mail per la ricezione delle candidature con uno dei seguenti domini aziendali: @lavoropiu.it / @tor.jobs / pyou.eu.<br>Diffida da chi, anche tramite annunci apparentemente legati al nostro brand, Ti chiede di inviare scansioni di documenti per partecipare a selezioni e/o colloqui, in particolare quando riporti nel testo indirizzi mail con domini differenti. In caso di dubbi, cerca sul nostro sito la filiale a Te più vicina per avere tutte le informazioni necessarie.</p>


RESPONSABILE DI PRODUZIONE LAMIERATI (241.BN.45)

<p>Se c’è un gesto nuovo a cui abituarsi dal 2020 in poi, questo gesto è il selezionare con cura i <strong>contenuti informativi e controinformativi</strong> legati alla <strong>pandemia</strong>. E proprio nel fiume di messaggi che vorrebbero saturare anche il mio cellulare, qualche settimana fa è comparso un amico che mi segnalava la figura di <strong>Carlo Cuppini</strong>.</p>
<p>Di solito meno conosco e più mi vado a informare. Carlo Cuppini è un redattore editoriale e responsabile di un bookshop museale a Firenze. In modo trasfigurato, e senza malattie di mezzo, il suo ultimo libro <em>Il mistero delle meraviglie scomparse </em>(Marcos Y Marcos, 2021) parla anche di ciò che è accaduto nell’ultimo anno e mezzo, con il mondo in panne, e lo fa dedicandolo ai bambini. Le uscite dei libri sono sempre accompagnate dai calendari di presentazione, dagli incontri aperti: non stavolta purtroppo.</p>
<div class="wp-block-media-text alignwide has-media-on-the-right is-stacked-on-mobile" style="grid-template-columns:auto 33%">
<figure class="wp-block-media-text__media"><img loading="lazy" decoding="async" width="768" height="1024" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2021/09/carlo-cuppini-2-768x1024.jpeg" alt="Carlo Cuppini, redattore editoriale e promotore della petizione &quot;Green pass: le ragioni del no&quot;." class="wp-image-45800 size-full" /></figure>
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<p> “Dal 2020 abbiamo assistito a una <strong>piena dimenticanza della condizione dei bambini</strong> e dei più giovani, le loro debolezze non sono state minimamente prese in considerazione dal discorso pubblico (<em>SenzaFiltro si è occupato anche di questo tema con un articolo di Marco Brando nel mensile di settembre, edito in formato digitale e cartaceo e disponibile dal 17/09/2021, N.d.R.</em>). Soltanto un paio di mesi dopo l’inizio dell’emergenza la politica ha iniziato a usare la parola <em>bambini</em>, e solo in risposta alla domanda di una giornalista che in conferenza stampa chiedeva riscontri sulla famosa ora d’aria dal lockdown. Credo non abbia fatto riflettere solo me il fatto che nel Paese di Gianni Rodari, di Maria Montessori e di famosi pedagogisti, i minori sono stati messi da parte. I libri ci aiutano a capire e io sto cercando modalità alternative per conoscere i lettori e parlare con loro perché <strong>rifiuto eventi che prevedano il Green pass</strong>”. </p>
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<h2 id="h-carlo-cuppini-parliamo-di-green-pass-non-di-vaccini-in-europa-solo-noi-e-la-francia-lo-usiamo-cos">Carlo Cuppini: “Parliamo di Green pass, non di vaccini: in Europa solo noi e la Francia lo usiamo così”</h2>
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<p>Carlo Cuppini è infatti uno dei due promotori della petizione “<strong>Green pass: le ragioni del no</strong>” rivolta al Presidente della Repubblica e sottoscritta a oggi da 51.275 persone. Prossimo obiettivo le 75.000 firme.</p>
<p>L’altro nome è quello di <strong>Olga Milanese</strong>, avvocato. E di giuristi in effetti abbonda l’elenco di nomi che hanno scelto di aderire a un documento che ha un solo scopo: sviluppare un <strong>pensiero critico</strong> sull’imposizione politica e sanitaria del Green pass e ricordare i fondamenti giuridici dei nostri diritti e delle nostre libertà: la Costituzione, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che meglio conosciamo come Corte di Strasburgo, la Dichiarazione dei Diritti fondamentali dell’uomo.</p>
<p><strong>Giorgio Agamben</strong> e <strong>Carlo Freccero</strong> hanno senza dubbio fatto da volano tra i firmatari, ma la molla che mi ha portata a conoscere Carlo Cuppini è l’inerzia con cui, ormai per abitudine, gli italiani preferiscono prendere in prestito le risposte di altri piuttosto che farsi qualche domanda propria.</p>
<p>“Questo documento, che poi è diventato una petizione, è nato nei primi giorni di agosto scorso, quando è stato chiaro che l’Italia stava andando verso un Green pass dall’<strong>accezione completamente diversa da quella prevista dalla UE</strong>. All’interno di un gruppo di confronto di cui faccio parte, Olga Milanese ha subito proposto di mettere nero su bianco le <strong>violazioni</strong> legate al Green pass. È un documento di natura giuridica a cui abbiamo aggiunto una valutazione etica e politica finale, e nella prima fase lo abbiamo fatto girare per canali interni coinvolgendo nomi di spicco tra filosofi, scrittori, intellettuali, giornalisti, magistrati, giuristi, scienziati, docenti universitari. La scelta di trasformarlo in petizione è arrivata dopo, proprio grazie a una spinta collettiva che non avevamo previsto, ma nella quale confidavamo. Nei primi giorni avevamo già raccolto 35.000 firme. Sappiamo bene che sono numeri piccoli, ma bisogna anche iniziare a ragionare di qualità del pensiero e non più solo di quantità delle masse”.</p>
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<p><strong>Appunto, le masse. Come si scalano i numeri per cercare di arrivare a un pubblico più vasto, e quali sono le resistenze in atto?</strong></p>
<p>Stiamo lavorando su più fronti, e dico “lavorando” senza dimenticare che ognuno di noi fa altro: abbiamo vite personali e professionali che ci assorbono, abbiamo famiglie e problemi come tutti. Diciamo che stiamo passando notti e notti in bianco per costruire e portare avanti una strada costruttiva per il pensiero pubblico. Gli obiettivi però ce li abbiamo chiari, sia noi come intestatari della petizione, sia tutti coloro che hanno aderito e continuano a farlo: da una parte vogliamo allargare la sottoscrizione popolare – e sappiamo benissimo che non raggiungeremo i milioni di persone – e dall’altra cerchiamo l’autorevolezza delle firme, perché mai come adesso il dibattito pubblico della maggioranza addita le ragioni del no sul Green pass provando a screditarne il valore, ad affossare coloro che divergono rispetto all’obbligo.</p>
<p><strong>Il vizio madre del dibattito pubblico sta nel confondere le idee. Parlare di Green pass, e delle debolezze giuridiche che evidenziate, non ha niente a che vedere con la scelta o meno del vaccino. Quanto fanno comodo le semplificazioni in un momento storico come questo?</strong></p>
<p>Ecco la vera cerniera della questione; noi non prendiamo alcuna posizione sul vaccino, quello che stiamo cercando di fare è offrire una pluralità di visione. È bene diffidare di chi, per ragioni diverse, confonde i due piani del vaccino e del Green pass. Solo in Italia e in Francia esiste questa tipologia di Green pass, nonostante in tutti i Paesi europei esista una stessa o simile campagna vaccinale, a conferma che si tratta di aspetti del tutto differenti. Si è persa l’abitudine al ragionamento e all’analisi dei contesti, si è perso lo spirito del pensiero critico; si fa prima a sposare una tesi generale piuttosto che chiedersi se vada o meno nella direzione dei nostri diritti.</p>
<p><strong>Proprio in queste settimane è in discussione alla Camera&nbsp;il disegno di legge di conversione del cosiddetto “decreto Green pass” (decreto 23 luglio 2021, n. 105). Conversione di cui nessuno dubita: voi come vorreste arrivare al 23 settembre, ai sessanta giorni della conversione?</strong></p>
<p>Il nostro scopo è far arrivare alla politica la voce fortemente critica che spera di avvicinare la natura del Green pass italiano a quella inizialmente voluta dalle Istituzioni europee. La distorsione totale dell’Italia è stata nel merito, oltre ad aver utilizzato impropriamente il nome dello strumento nonostante le profonde differenze.</p>
<p><strong>Cosa è mancato nel dibattito pubblico?</strong></p>
<p>È mancato un momento di confronto collettivo che fosse non soltanto disponibile per tutti i cittadini, ma che mettesse direttamente a confronto i pensieri. Le riflessioni di Agamben o di Cacciari o di Freccero, che pure hanno avuto una risonanza enorme, sono state episodi singoli circoscritti ai social network o a interviste sui giornali. Uno dei nostri prossimi progetti vorrebbe essere una Costituente del pensiero critico, un momento pubblico di riflessione, di confronto, di ascolto. Se nomi come i loro, dalle estrazioni così diverse, decidessero di riunirsi sarebbe il segno che questa Italia sta iniziando a sviluppare una coscienza più ampliata, più libera, con meno conflitti e meno pregiudizi.</p>
<p><strong>Green pass e cultura negata tra musei, cinema, teatri, luoghi di aggregazione: ci si accorge di cosa stiamo violando e perdendo?</strong></p>
<p>Interdire l’accesso ai luoghi di cultura – che tra l’altro sono in assoluto tra i più sicuri al mondo dal punto di vista epidemiologico perché prevedono per natura un disciplinamento e un contingentamento nello spazio, oltre che per attitudine del pubblico – e interdirlo quindi anche ai giovani che sono nella fase culminante e centrale della propria crescita personale, viola totalmente l’articolo 3 della Costituzione (<em>art. 3: È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l&#8217;eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l&#8217;effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all&#8217;organizzazione politica, economica e sociale del Paese</em>, <em>N.d.R.</em>).</p>
<p><strong>“Negazionista”, “vecchio rincoglionito”, “ecco il filosofo che cade dalle nuvole”. A centinaia gli insulti che hanno seguito le dichiarazioni di Agamben, Freccero, Cacciari. Un enorme rischio che stiamo correndo è la violenza verbale, l’odio, la presunzione della verità in tasca.</strong></p>
<p>Il senso della Costituente vorrebbe essere proprio questo: uscire dalle etichette facili e scivolose e ritrovare un senso di comunità a prescindere dalle provenienze e dalle estrazioni sociali o culturali o politiche. L’Italia sta abiurando alla cultura e sul giornalismo andrebbe fatto un discorso a parte, perché ritengo drammatico il metodo e il modo con cui ha lavorato e continua a lavorare in questo tempo: un’informazione proposta a blocco, impedendo l’elaborazione di un pensiero che si potesse discostare anche solo minimamente.</p>
<p><strong>La recrudescenza del linguaggio racconta che Italia siamo diventati.</strong></p>
<p>La pressione che si sta esercitando su chi sceglie la linea del no dovrebbe far rabbrividire ognuno di noi, e l’hate speech a cui stiamo assistendo sui social è gravissimo perché tende a disumanizzare, a spersonalizzare, a negare l’identità delle persone. “Traditori”, “disertori”, “irresponsabili” sono i termini più gentili, e già questo restituisce il peso della gravità. Il fatto poi che siano presi di mira persino i più giovani, e che nessuno faccia una piega a livello politico, sociale e istituzionale, mette ancora di più in luce la debolezza di questo tempo.</p>
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<p>Il link per sottoscrivere la petizione è qui: <a href="https://bit.ly/3BSprK8" target="_blank" rel="noreferrer noopener nofollow">https://bit.ly/3BSprK8</a></p>


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Green pass: ragione e sentimento o orgoglio e pregiudizio?

&#8220;Solo in Italia e in Francia esiste questa tipologia di Green pass. Che tra l&#8217;altro è un aspetto ben diverso dalla campagna vaccinale. Serve una Costituente del pensiero critico&#8221;. Carlo Cuppini, promotore della petizione &#8220;Green pass: le ragioni del no&#8221;, intervistato da SenzaFiltro.

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Dietro il cibo c’è molto di più di quanto riportato per legge in etichetta: è tempo di spostare l’attenzione sui grandi volumi e sui grandi numeri e capire i meccanismi dietro alla produzione del nostro pane quotidiano.

Numero 104 - Mangiare per credere


<p><strong>Lorenzo Fioramonti</strong>, che si forma e nasce come economista, molti lo ricordano senz’altro come Ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca dal settembre 2019 nel secondo governo Conte. Il suo vangelo si chiama “<strong>economia del benessere</strong>” e lo incoraggia a istituzioni pubbliche e aziende per invertire un modello di crescita. Sua, poi, era stata la proposta della tassa di scopo sulle merendine e bibite gassate (la sugar tax sarà ufficialmente in vigore dal 1° gennaio 2022).</p>



<p>“Si parla tanto di degrado ambientale, perdita della biodiversità e cambiamenti climatici, ma pochi sanno che una delle principali cause è proprio l’<strong>industria del cibo</strong>: dagli allevamenti intensivi alle produzioni monocolturali, dall’olio di palma del sud-est asiatico fino alle piantagioni di riso, giusto per fare qualche esempio. Abbiamo creato un sistema dove anche la produzione di cibo diventa una minaccia alla sostenibilità della vita sul nostro pianeta. Non sto togliendo valore a cause ben pesanti come il petrolio o l’inquinamento dovuto al consumo di energia, però c’è <strong>un mondo che non viene messo davanti alla propria responsabilità</strong> e che, a conti fatti, pesa moltissimo già solo in termini di fertilizzanti, pesticidi, consumo massivo di acqua”.&nbsp;</p>



<p>Oltre a questo, l’altro paradosso che circa il <strong>30% del cibo che produciamo</strong> viene scartato, <strong>buttato</strong>, ritenuto non idoneo al commercio per standard estetici. Che sommato all’altro <strong>25% circa</strong> <strong>di media nazionale</strong> di rifiuto organico che viene disperso nei rifiuti indifferenziati rende l’idea dell’immensità del danno.</p>



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<div class="wp-block-image"><figure class="aligncenter size-large"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2021/06/Lorenzo-Fioramonti-Hi-Res-Mar-2019-IV.jpeg"><img width="682" height="1024" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2021/06/Lorenzo-Fioramonti-Hi-Res-Mar-2019-IV-682x1024.jpeg" alt="" class="wp-image-45208" /></a><figcaption>L&#8217;Onorevole Lorenzo Fioramonti, ex Ministro dell&#8217;Istruzione, università e ricerca. Politico e accademico.</figcaption></figure></div>



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<h2 id="h-lorenzo-fioramonti-nessuna-sanzione-per-chi-spreca-nessun-incentivo-per-chi-rimette-in-circolo">Lorenzo Fioramonti: “Nessuna sanzione per chi spreca, nessun incentivo per chi rimette in circolo”</h2>



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<p><strong>Lei, da cittadino sensibile al tema e da politico attivista, sa darmi una spiegazione sensata al perché in Italia si fatichi ancora a rendere disponibile – e in totale sicurezza e salubrità – il cibo che avanza nei supermercati per via della scadenza e del termine minimo di conservazione?</strong></p>



<p>Cosa ne penso? Una follia, uno scaricabarile. E questo perché al supermercato non viene dato alcun incentivo economico o fiscale a fare un uso intelligente del cibo di cui dispone. Col mio gruppo politico più volte abbiamo proposto ai supermercati e alla grande distribuzione di invertire la logica anche sul discorso del 3&#215;2, provando a portarli verso l’1&#215;1: ma perché devo essere spinto a comprare tre se mi serve due? Perché devo comprare una cosa in più se me ne serve una in meno? Perché non iniziamo tutti a rifiutare queste spinte verso lo spreco inevitabile? Invece il consumo di massa è continuamente stimolato. Di fatto si tratterebbe di incentivare a livello economico e di prezzo e di fisco una politica dello sfuso che di certo richiederebbe una rieducazione del consumatore e una gestione più complessa, questo è indubbio. Ma il vantaggio sarebbe alla lunga collettivo. Così come è enorme l’impegno che serve da parte del supermercato se vuoi rimettere in circolo il cibo avanzato e ancora in buono stato: gli serve di certo un intermediario, che vuol dire costi a suo carico, visto che lo Stato è assente, a meno che non ci sia un soggetto parallelo, impresa o associazione, che si incarica di ritirare e rivendere.&nbsp;La verità è solo una: se butti, il nostro sistema fiscale non ti sanziona; se vuoi rimettere in circolo, devi sobbarcarti i costi senza incentivi.</p>



<p><strong>Lei è un economista prima ancora che un politico. Come si potrebbero influenzare diversamente i comportamenti delle persone di fronte al cibo?</strong></p>



<p>Sono tre le strade con cui i cittadini vengono portati a prendere decisioni: l’obbligo quindi la legge, l’incentivo quindi il fisco, la cultura quindi la consapevolezza. Sono indispensabili tutte e tre perché vanno a bilanciarsi laddove alcuni dei tre elementi scarseggiano. Nelle scuole va garantita sia cultura che convenienza economica; iniziai la mia battaglia da Ministro dell’Istruzione proponendo di alzare l’Iva su tutti i prodotti alimentari di cattiva qualità. Torno a battere sulla leva fiscale dato che in Italia siamo ancora al 22% sugli assorbenti e al 4% o 10% su prodotti che fanno male alla salute. A breve presenteremo una riforma fiscale su questo tema.</p>



<p><strong>Manca una lobby politica pura e seria, in Italia, che spinga verso un cambio di rotta culturale e anche economico a tutela del cibo e della salute. Perché?&nbsp;</strong></p>



<p>Per mia esperienza, portare nell’aula del Parlamento simili proposte in controtendenza vuol dire prendere schiaffi a destra e sinistra. Significa esporsi ad attacchi convergenti di gran parte dei partiti che tendono a ridicolizzare la questione della giusta alimentazione, che a cascata vuol dire anche tutela dell’ambiente. E ci sarebbe molto da dire anche sul legame tra editoria e industrie del cibo, dato che la maggior parte dei giornali e degli organi di informazione vive di pubblicità di prodotti e alimenti e bevande che, di certo, bene alla salute non fanno.</p>



<div style="height:50px" aria-hidden="true" class="wp-block-spacer"></div>



<h2 id="h-matteo-martini-presidente-frascati-scienza-ai-castelli-romani-una-silicon-valley-della-ricerca-sui-materiali-compostabili">Matteo Martini, presidente Frascati Scienza: “Ai Castelli Romani una Silicon Valley della ricerca sui materiali compostabili”</h2>



<div style="height:30px" aria-hidden="true" class="wp-block-spacer"></div>



<p><strong>Matteo Martini</strong> è il presidente di Frascati Scienza e, appena posso, lo sento per avere un suo parere su temi di attualità riletti con un occhio tecnico ma estremamente divulgativo di cui lui e il suo team sono maestri. L’ho raggiunto al telefono mentre chiudevamo in redazione il timone di questo mensile dedicato all’industria del cibo. Ero partita dall’idea del <strong>packaging</strong> dei prodotti, dal peso degli <strong>imballaggi</strong>: bolle qualcosa in pentola di innovativo e rivoluzionario?</p>



<p>“Quando parliamo di <strong>materiale biodegradabile</strong> e comunque compostabile, dobbiamo tenere a mente che dal punto di vista scientifico questi materiali hanno richieste molto stringenti e particolari; soprattutto per le applicazioni alimentari, questi materiali devono avere un’ottima resistenza sia alle alte che alle basse temperature. Inoltre devono avere una importante inerzia chimico-fisica, cioè non si devono modificare e non devono contaminare i cibi contenuti. Poi devono potersi dissolvere in mare. È fondamentale anche l’educazione delle persone, perché pensare che il materiale è compostabile non vuol dire che posso buttarlo in mezzo all’ambiente: molto spesso quei materiali sono compostabili sopra una certa temperatura, quindi è importante che il materiale sia riciclato in maniera corretta dopo essere stato buttato come rifiuto in maniera corretta.”</p>



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<figure class="wp-block-image size-large"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2021/06/matteo-martini.jpg"><img width="1024" height="767" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2021/06/matteo-martini-1024x767.jpg" alt="" class="wp-image-45290" /></a><figcaption>Il presidente di Frascati Scienza Matteo Martini.</figcaption></figure>



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<p>“Nell’ottica dell’economia circolare, è quindi <strong>fondamentale usare materiali di scarto</strong>. Nell’area di ricerca Tuscolana, noi qui a Frascati e comunque nella zona dei Castelli Romani abbiamo la fortuna di ospitare le sedi dei più importanti enti di ricerca, dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare all’ENEA, dall’Agenzia Spaziale Europea al CNR. Questo è uno dei poli più importanti d’Europa per numero di ricercatori e per attività scientifica: col progetto DTT, che è un progetto ENEA per la fusione nucleare, ed Eupraxia, altra ricerca sul futuro degli acceleratori di particelle, siamo una sorta di <strong>Silicon Valley dei Castelli Romani</strong>. Dico questo perché, in questa logica dell’innovazione, è importante fare anche applicazioni dei materiali, e quindi avere risultati e leggerli nella ricaduta nella vita di tutti i giorni.”</p>



<p>“Vogliamo creare incubatori che servano a promuovere l’apprendimento dei nostri ragazzi soprattutto stimolando la nascita di <strong>startup e di progetti intorno ai materiali compostabili</strong>, appunto, per applicazioni <strong>alimentari</strong>. È un aspetto estremamente importante che racchiude non solo scienze di base e non solo la ricerca applicata, ma soprattutto è importante in ottica di uno sviluppo sostenibile incentrato intorno a un concetto di economia circolare.”</p>



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<h2 id="h-il-gelato-sostenibile-di-dario-rossi-niente-plastica-n-polistirolo-una-predica-nel-deserto">Il gelato sostenibile di Dario Rossi: niente plastica né polistirolo. Una predica nel deserto?</h2>



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<p>La voce di chi lavora tutti i giorni tra <strong>cibo e rifiuti da gestire</strong> è l’altra faccia della medaglia.</p>



<p>È nel quotidiano e all’atto pratico che un Paese misura davvero il senso dello straparlare di sostenibilità.&nbsp;</p>



<p>Anche <strong>Dario Rossi</strong> è un nome di imprenditore legato cuore e testa a Frascati. Dalla sua gelateria Greed ormai da anni ha stravinto la sfida di portare residenti, turisti e stranieri verso un <strong>consumo intelligente del prodotto</strong>. Diciamo che, mentre fa i gelati, fa pure cultura al cono e in coppetta in una logica di estrema purezza degli ingredienti e di rieducazione al consumo.</p>



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<div class="wp-block-image"><figure class="aligncenter size-large"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2021/06/greed.jpg"><img width="770" height="513" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2021/06/greed.jpg" alt="" class="wp-image-45169" /></a><figcaption>Dario Rossi al bancone della sua gelateria Greed, a Frascati.</figcaption></figure></div>



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<p>“Sono anni che cerco di portare avanti il <strong>compostabile</strong> e <strong>biodegradabile</strong> eliminando plastica e tutto ciò che non va nell’organico. Inizialmente tutto il rifiuto del mio lavoro andava nell’indifferenziato appunto perché retava residuo di cibo. Appena ho potuto, anni fa ho anche eliminato il polistirolo, al punto che il rivenditore delle vaschette compostabili mi disse che ero stato il primo su Roma. Però non posso nasconderti le difficoltà: i <strong>costi</strong> delle vaschette, che erano di per sé già assurdi, quest’anno sono <strong>aumentati del 20%</strong>.”</p>



<p>“Una piccola realtà come la mia fa fatica, e molti miei colleghi che avevo convinto sono già tornati indietro anche a fronte dei margini sul gelato rimasti del tutto invariati. Qui in Italia quando si parla di sostenibilità si parla magari solo di sconti sulle automobili, ma non si fanno mai ragionamenti seri di natura politica, economica e culturale sull’organico, che è la vera risorsa e il vero problema. <strong>Non possiamo continuare a retrocedere a favore della plastica</strong>”.</p>



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<p><em>Photo by <a href="https://unsplash.com/@marjan_blan?utm_source=unsplash&amp;utm_medium=referral&amp;utm_content=creditCopyText" target="_blank" rel="noreferrer noopener nofollow">Marjan Blan | @marjanblan</a> on <a href="https://unsplash.com/s/photos/food-packaging?utm_source=unsplash&amp;utm_medium=referral&amp;utm_content=creditCopyText" target="_blank" rel="noreferrer noopener nofollow">Unsplash</a></em></p>


L&#8217;ex ministro Lorenzo Fioramonti: &#8220;In Italia sprechiamo cibo perché non abbiamo incentivi fiscali. E, se butti, nessuno ti sanziona&#8221;


<p>Bastano cinque colori e cinque lettere per dividere l’Europa, e l’Italia, in materia di cibo. Sono quelli che compongono il cosiddetto <strong>Nutri-Score, il sistema di etichettatura francese </strong>da qualche mese al centro di un acceso dibattito internazionale, e non solo.</p>



<p>Motivo del contendere, la possibilità che proprio il Nutri-Score venga eletto come schema “frontale” (in inglese “FOPL”, acronimo di <em>Front-Of-Pack Labeling</em>) unico a livello europeo, in aggiunta alle informazioni nutrizionali obbligatorie già presenti sul retro della confezione.</p>



<p>Tra le ragioni di favorevoli e non ci sono gli interessi dei consumatori e la necessità di orientarne correttamente le scelte d&#8217;acquisto verso un regime alimentare sano.</p>



<p>Anche <strong>l’Italia, formalmente contraria</strong> al Nutri-Score e già autrice di una proposta alternativa in sede europea, è attraversata dalle medesime questioni, a cui si aggiungono i timori per le conseguenze economiche che questo sistema potrebbe avere sul Made in Italy e sulla filiera produttiva.</p>



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<h2 id="h-nutri-score-che-cos-e-perch-l-italia-si-oppone-al-sistema-francese">Nutri-Score: che cos’è e perché l’Italia si oppone al sistema francese</h2>



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<p>Formulato nel 2017 dagli epidemiologi francesi <strong>Serge Hercberg</strong> e <strong>Chantal Julia</strong>, il Nutri-Score calcola il valore nutrizionale di alimenti e bevande sulla base di fattori negativi come calorie, zuccheri, grassi saturi, sodio e caratteristiche positive (contenuto di frutta e frutta secca, verdure, fibre e proteine) per 100 grammi di prodotto. Il risultato è <strong>un punteggio che combina lettere e colori</strong>: dalla A verde scuro (“più salutare”) alla E rossa (“meno salutare”).</p>



<p>Fortemente auspicato da colossi industriali come Danone e Nestlé, il Nutri-Score è già stato adottato da Francia, Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo, Germania e Spagna (anche se oggi appare meno sicura) che, supportati da numerosi studi sul campo, ne difendono l’efficacia e la facilità di interpretazione.</p>



<p>Proprio quest’ultimo è l’aspetto maggiormente criticato da rappresentanti politici e portavoce dell’imprenditoria agroalimentare italiani. “Il Nutri-score è un bigino dell’alimentazione”, afferma <strong>Lorenzo Bazzana</strong>, responsabile economico di Coldiretti, che reputa la sintesi grafica proposta dall’etichettatura francese “profondamente sbagliata e fuorviante per il consumatore”. La valutazione così formulata, su una quantità standard di 100 grammi invece che su quella effettiva della confezione, finirebbe infatti per condizionare erroneamente i comportamenti d’acquisto. “A nessuno verrebbe in mente di scolarsi una bottiglia di olio extravergine di oliva”, prosegue, “ma se mi trovo un bollino rosso (<em>in quanto grasso vegetale, N.d.R.</em>) sono comunque meno propenso a comprarlo”.</p>



<p>E questo vale anche nel caso contrario: l’indicazione verde senza ulteriori specifiche potrebbe indurre a un <strong>consumo eccessivo e reiterato</strong>, con ricadute sulla salute dei singoli e, in ultimo, sull’industria alimentare.</p>



<p>“Questo è dannoso dal punto di vista dell’educazione del consumatore, che così viene indirizzato in modo semplicistico ed errato”, precisa <strong>Ivano Vacondio</strong>, presidente Federalimentare, “ma anche da quello delle aziende che potrebbero ritrovarsi a perdere fatturato sulla base di un indirizzo sbagliato. <strong>Chi vuole il Nutri-Score, del resto, ha anche interessi economici</strong>: vuole spingere determinati prodotti a discapito di altri, come per esempio le nostre eccellenze, famose e apprezzate in tutto il mondo”.</p>



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<h2 id="h-chi-ha-paura-di-nutri-score-escludere-i-prodotti-dop-e-igp-dall-etichettatura">Chi ha paura di Nutri-Score: escludere i prodotti DOP e IGP dall&#8217;etichettatura</h2>



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<p>Secondo il resoconto Ismea sugli scambi con l’estero, nonostante la pandemia, nel<strong> 2020 l’agroalimentare italiano </strong>ha superato i<strong> 46 miliardi di fatturato</strong>, contando per l’11% sulle esportazioni complessive nazionali. Tra i prodotti di punta anche la pasta di semola (+20%), le conserve di pomodoro (+9,7%), mele e uva da tavola (entrambe rispettivamente con un +13%), kiwi (+2,4%) e olio di oliva (+6,4%).</p>



<p>“L’etichetta Nutri-Score colpirebbe ingiustamente quasi l’85% della produzione italiana a denominazione di origine (DOP/IGP), che l’Europa è invece chiamata a tutelare” fa sapere Confeuro in un recente comunicato stampa.</p>



<p>Linea condivisa anche da chi, quella speciale produzione italiana, in parte la rappresenta. Risale allo scorso aprile la sottoscrizione di <strong>Alessio Mammi</strong>, assessore all’Agricoltura dell’Emilia-Romagna, alla raccolta firme “Semaforo rosso per il cibo Made in Italy? NO GRAZIE!” lanciata su Change.org.</p>



<p>“Etichettare prodotti di eccellenza come il ‘re dei formaggi’ o il prosciutto di Parma con un bollino rosso come se fossero cibi che mettono a rischio la salute è una vera e propria assurdità”, si legge sul sito della regione. Una regione che, da sola, vanta più di quaranta prodotti a marchio DOP o IGP.</p>



<p>Tra le ipotesi al vaglio per la tutela di queste categorie di alimenti c’è anche quella di <strong>escluderle del tutto dalla classificazione Nutri-Score</strong>, così come dall’alternativa italiana realizzata in risposta all’etichetta francese.</p>



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<h2 id="h-nutrinform-battery-l-alternativa-italiana-che-non-convince-le-associazioni-dei-consumatori">Nutrinform battery: l’alternativa italiana che non convince le associazioni dei consumatori</h2>



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<p>Si chiama <strong>Nutrinform Battery</strong> la controproposta sviluppata dal Governo italiano e presentata a gennaio 2020 alla Commissione Europea, dove ha raccolto il parere positivo di Romania, Repubblica Ceca, Cipro, Grecia e Ungheria. </p>



<p>Il simbolo che la contraddistingue è, come dice il nome, <strong>una batteria azzurra, ripetuta cinque volte</strong>: una per ognuno dei valori nutrizionali riportati, ovvero calorie, grassi, grassi saturi, zuccheri e sale. La “carica” della pila, ovvero la quantità di energia o nutrienti contenuti, è espressa in percentuale in relazione alle assunzioni di riferimento europee e relativamente alla singola porzione. Gli stessi valori sono inoltre riportati in grammi per ciascuno dei cinque box.</p>



<p>Troppo ricca per dare una panoramica d’insieme immediata, senza indicatori cromatici chiari; troppo ambigua l’icona della pila che, contrariamente a quanto siamo abituati a pensare, in questo contesto più è carica e peggio è; troppo variabile il calcolo sulle singole porzioni di prodotto per consentire un paragone efficace, se non a seguito di un rapporto proporzionale che difficilmente l’acquirente si troverà a fare nel supermercato. Questi <strong>i dubbi di Altroconsumo, che boccia il sistema italiano</strong> ed è tra i primi ad aver siglato, insieme a oltre quattrocento esponenti internazionali di altre organizzazioni dei consumatori e della comunità scientifica, l’appello per l’implementazione del Nutri-Score indirizzato ai vertici europei lo scorso anno.</p>



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<h2 id="h-la-soluzione-un-etichetta-completa-e-tanta-educazione-alimentare">La soluzione? Un’etichetta completa e tanta educazione alimentare</h2>



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<p>Tra i firmatari dello stesso appello c’è anche <strong>Annamaria Colao</strong>, endocrinologa e titolare della Cattedra Unesco Educazione alla salute e allo sviluppo sostenibile dell’Università Federico II di Napoli, che avverte: “Da medico devo fare una premessa: <strong>ci stiamo avvicinando a grandi passi verso un mondo obeso</strong>, già a partire dall’infanzia”. I dati lo confermano: l’OMS ha stimato che nel 2016 il 39% della popolazione adulta mondiale era sovrappeso, con 650 milioni di persone obese. Numeri triplicati nel giro di quarant’anni.</p>



<p>“Questo”, prosegue Colao, “è un <strong>problema</strong> non solo di salute, ma <strong>economico e sociale</strong>”. L’obesità, spiega, incide in ogni aspetto della vita, compresi quelli professionali: “Si tratta di pazienti che lavorano con disagio perché hanno un’occupazione dello spazio diversa rispetto a un individuo magro, si muovono con difficoltà, fanno fatica ad andare a un teatro o a un cinema perché a volte la sedia gli è scomoda, e così via”.</p>



<p>Per questo è importante <strong>definire un sistema </strong>verificato che aiuti il consumatore nelle sue<strong> scelte alimentari</strong>, almeno quando va a fare la spesa. Il limite principale di Nutri-Score, a suo parere, è lo stesso evidenziato da chi gli si oppone: una sintesi eccessiva che rischia di non tenere conto di aspetti qualitativi importanti. Anche Colao cita l’esempio dell’olio d&#8217;oliva e la necessità di dare indicazioni che evitino sia il suo abuso, sia la sua totale eliminazione dalla dieta, comportamenti parimenti nocivi per la salute di chi lo consuma. E puntualizza: “Io ho firmato la petizione per chiedere che venisse formato un gruppo di lavoro a livello europeo sul tema del Nutri-Score, per svilupparlo ulteriormente in una versione evoluta e completa di tutte le informazioni che attengono a un regime alimentare bilanciato”.</p>



<p><strong>Una rete di professionisti della nutrizione</strong>, dunque, che a suo parere dovrebbe comprendere medici, ricercatori e anche economisti e istituzioni, <strong>ma non l’industria alimentare</strong>, perché, dice, “quando dietro a questi sistemi c’è qualcuno che potrebbe guadagnarci, il conflitto di interessi è troppo elevato per essere calcolato”. Certo, la salute dei consumatori deve rimanere il principio guida, “ma potendo”, chiosa Colao, “eviterei eventuali ingerenze ambigue al tavolo progettuale”.</p>



<p>Se l’adozione dell’una o dell’altra etichetta rimane un tema divisivo, ce n’è uno su cui appaiono tutti concordi: la necessità di un <strong>programma di educazione alimentare sofisticato</strong> e multilivello, capace di fornire gli strumenti giusti per una scelta che va ben oltre il carrello del supermercato.</p>



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<p><em>Foto di copertina di Imants Kaziļuns su Unsplash</em></p>


Nutri-Score, l&#8217;Italia passa col rosso al semaforo del cibo

<p>In Italia si comincia a parlarne, ma lei, in Germania, l’ha frequentata vent’anni fa e per questo suo ruolo da pioniera è nota ancor oggi. È la <strong>pastora italo-tedesca Cheyenne Daprà</strong>, la prima donna ad aver seguito la scuola di formazione nazionale per accedere a questa professione, superando l’esame di fine corso che constava in una transumanza nella Foresta Nera. Aveva 27 anni. Con lei un suo compagno di classe, una roulotte, ottocento pecore e un carrettino per caricare gli agnellini nati durante il viaggio.</p>
<p>La sua specialità è la cura e il mantenimento del territorio con le sue pecore, con le quali ha a lungo lavorato per molti Comuni di montagna in Trentino, e allo scadere del mandato nell’amministrazione, spiega, un reimpiego non manca mai, grazie alla sua competenza estesa alla transumanza. Oggi è infatti pastora e “<strong>influencer di gregge</strong>”, come è stata definita su Instagram. Il suo titolo e la sua esperienza, le consentirebbero inoltre di diventare <strong>mastro pastore</strong>, cioè di poter formare altri professionisti del campo. Se ci fosse una scuola nazionale, però, che invece non c’è.</p>
<p>Cosa comporta questo? “È un po’ <strong>come se il nostro mestiere non fosse riconosciuto</strong>”, dice Cheyenne. “Non essendoci una scuola non c’è titolo. Come se fossimo delegittimati, diciamo. Eppure c’è necessità di farlo, e ci sono molti giovani interessati al settore della pastorizia. Inutile dire che il lavoro richiede spirito di sacrificio, per prendersi un po’ di vacanza serve una grande pianificazione perché gli animali hanno bisogno di cibo e cure ogni giorno e necessita quindi un collega che ti sostituisca, ma personalmente non rimpiango niente della mia scelta. Anzi. Mi sento fortunata per aver capito sin da giovanissima quale era il mio lavoro”.</p>
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<h2 id="h-perch-i-giovani-scelgono-la-pastorizia-mestiere-antico-e-necessario">Perché i giovani scelgono la pastorizia, mestiere antico e necessario</h2>
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<p>Un sentire sempre più diffuso, il suo, anche se non sempre altrettanto immediato. Sono infatti numerosissimi i <strong>giovani</strong>, soprattutto donne, che a un certo punto hanno rovesciato il proprio stile di vita. Alcuni di loro hanno una laurea in tasca, hanno lasciato laboratori scientifici all’interno di centri oncologici, hanno abbandonato studi dentistici e di architettura, studi di grafica, centri di bellezza, e sono <strong>passati alla pastorizia</strong>, concentrandosi sempre su specie autoctone.</p>
<p>Hanno scelto la strada delle transumanze o dell’allevamento stanziale, insieme ai coniugi e ai figli che sono nati e cresciuti tra i colori e con i tempi della natura e degli animali. Altri si sono specializzati come allevatori in stabulazione libera al pascolo (cioè allevatori che portano gli animali allo stato brado, per sei mesi in montagna e per altri sei in pianura), o di vacche e capre da alpeggio. O ancora, nella transumanza motorizzata (cioè non a piedi ma attraverso il trasporto con autocarri, pratica cui si è dovuto fare spesso ricorso durante il lockdown per non alimentare assembramenti). C’è poi chi ha scelto l’allevamento bio di alta montagna, chi la produzione del formaggio di malga, chi la transumanza come valore turistico.</p>
<p>Le loro storie, alcune note, altre del tutto inedite, si snodano letteralmente lungo tutto lo stivale, mosse da un’unica forza comune: la passione. Per la terra, per l’ambiente, per gli animali. A volte dietro c’è una storia di tradizione di famiglia; più spesso la voglia di fare <strong>un mestiere cruciale per la sopravvivenza dell’uomo</strong>, eppure in qualche modo ignorato, sebbene mai come nel nostro tempo la ricerca di cibo davvero sano prodotto nel rispetto dei cicli della natura sia spasmodica.</p>
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<figure class="wp-block-image size-large"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2021/06/Remigio.jpg"><img loading="lazy" decoding="async" width="1024" height="647" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2021/06/Remigio-1024x647.jpg" alt="" class="wp-image-45124" /></a></figure>
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<h2 id="h-da-scienze-alimentari-all-allevamento-in-montagna">Da Scienze Alimentari all’allevamento in montagna</h2>
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<p>“Se soltanto mio marito e io avessimo avuto alcune informazioni dodici anni fa, quando abbiamo cominciato, quanto tempo ed energie avremmo risparmiato”.</p>
<p>Così parla oggi <strong>Laura Masciocchi</strong>, che una dozzina di anni fa, con in tasca una laurea in Scienze Alimentari, è partita dalla sua Varese affacciata sul Lago Maggiore per un tirocinio estivo in un’azienda casearia di montagna. Qui si è innamorata del <strong>formaggio</strong>. Per imparare a farlo si è inscritta all’Università dei Mestieri di Moretta (CN), dove si è innamorata di <strong>Enrico</strong>, diventato suo marito. Ora vive con lui e i loro piccoli, Leandro, di quattro anni e mezzo, e Remigio, di venti mesi, a&nbsp;Pez di Ragoli, piccolissimo centro abitato nelle Valli Giudicarie in Trentino. Uno scampolo di paradiso condiviso con qualche centinaio di abitanti e tanti servizi a misura d’uomo.</p>
<p>La coppia racconta la trasversalità di questa professione, che li vede <strong>pastori ma anche imprenditori agricoli</strong>. “Abbiamo imparato molto negli anni – dice Laura – consultandoci continuamente con quelli che a suo tempo sono stati i nostri professori, e con l’esperienza. Abbiamo ampliato i nostri interessi, oggi abbiamo circa settanta capre, venti pecore da latte e da un paio di mesi anche due mucche, per diversificare e accontentare tutti i nostri clienti. Ma se avessimo potuto aver accesso a tante informazioni prima di ora, ad esempio su come integrare l’alimentazione delle pecore con i mangimi giusti, nei momenti giusti, avremmo potuto produrre latte e formaggio migliori e a costi molto minori da subito”.</p>
<p>Confermano con gioia la loro scelta Laura ed Enrico, che tra la natura e gli animali possono avere ogni pomeriggio i loro figli accanto. Neanche questo mondo incantato, bucolico, si salva però da uno dei grandi mali del nostro Paese: la <strong>burocrazia</strong>. “Servono registratori di cassa elettronici che richiedono per la chiusura una linea internet, non sempre piena tra le nostre montagne”, spiega Laura. “E poi i sistemi di etichettatura, i tanti certificati, i permessi per gli spostamenti. La burocrazia richiede anche a noi tantissimo tempo”.</p>
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<h2 id="h-nicolda-di-niro-cos-abbiamo-preservato-la-pratica-della-transumanza">Nicolda Di Niro: “Così abbiamo preservato la pratica della transumanza”</h2>
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<p>Ancora una volta la salvezza di certe straordinarie eccellenze parte dal basso, come ci dimostra <strong>Nicola Di Niro</strong>, coordinatore del progetto internazionale che ha portato alla candidatura, e poi nel 2019 all’inserimento, della <strong>transumanza</strong> nella lista del <strong>patrimonio culturale immateriale dell’Unesco</strong>.</p>
<p>“Tutto è cominciato – spiega Di Niro – quando nei primi anni del 2000 ho assistito alla transumanza a piedi dell’ultima famiglia molisana che eseguiva questa pratica. Circa quattrocento capi di razza bovina podolica, che transumano dal tavoliere delle Puglie a Frosolone (Isernia) anche grazie alla <strong>prima donna pastore d’Italia</strong> che si è <strong>cimentata in questa pratica</strong>, <strong>Carmelina Colantuono</strong>. Un’icona per noi. Un totale di 180 km in cinque giorni, partendo con l’ultima luna piena di maggio. Un lavoro duro, difficile, specie per coloro che scelgono l’allevamento estensivo, cioè lo stato brado, che per questo va valorizzato, protetto, sottoposto alla passione dei giovani.”</p>
<p>“Attualmente si sono aggiunte al nostro partenariato anche la Francia, la Spagna e altri Paesi, con i quali abbiamo esteso un <strong>piano di salvaguardia</strong> di questa attività, all’interno del quale prevediamo la creazione di una scuola internazionale, principalmente per appassionare le nuove generazioni. Con un programma decennale e un progetto correlato, stiamo cercando di partire dopo la battuta d’arresto a causa del COVID-19. L’anno prossimo dovrebbe essere quello buono.”</p>
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<h2 id="h-la-pastora-carmelina-colantuono-a-questo-mestiere-serve-una-scuola-e-meno-burocrazia">La pastora Carmelina Colantuono: “A questo mestiere serve una scuola. E meno burocrazia”</h2>
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<p>A chiudere il cerchio della nostra transumanza virtuale lungo la pastorizia ai giorni nostri, è proprio quell’iconica <strong>Carmelina</strong>, che con la sua testimonianza rinforza la <strong>necessità di una scuola nazionale normata</strong> e le difficoltà causate dalla morsa della burocrazia.</p>
<p>“Io ci sono arrivata per <strong>tradizione di famiglia</strong> – dice – e francamente non mi sento così tanti meriti quanto mi vengono accreditati, anche se per me è un grande onore. Certamente credo sia necessario aiutare i giovani ad approcciarsi&nbsp;a questo mestiere, chiamandolo prima di tutto col nome giusto: <strong>imprenditore agricolo</strong>, perché si fa davvero di tutto nel nostro mestiere. E poi con una formazione a tutto tondo, comprese le norme veterinarie di base, le tecniche più innovative con le quali è possibile migliorare molto&nbsp;l’allevamento,&nbsp;l’agricoltura.&nbsp;C’è&nbsp;molto da studiare e da apprendere.”</p>
<p>“Quanto alla burocrazia, è davvero molta. Dai permessi ai certificati da chiedere a tutti i Comuni che si attraverseranno durante la transumanza, perché chiaramente non possiamo transitare ovunque. Me ne occupo quasi esclusivamente io. Il carico è tale che, se così non fosse, i miei fratelli e nipoti, con i quali conduco l’azienda,&nbsp;non riuscirebbero a dedicarsi ad attività chiave”.&nbsp;</p>
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<p><em>In copertina Laura Masciocchi con il marito </em></p>


michela-danieli

Michela-Danieli

Michela Danieli

E&#8217; giornalista professionista dal 2002 e titolare di tessera stampa internazionale dal 2012. Vive tra Padova e Stoccolma, da dove collabora con il Fatto Quotidiano dal 2013 e con Senza Filtro dal 2015. Il suo sguardo è rivolto, da sempre, all&#8217;inchiesta giornalistica evitata dagli altri, alla denuncia sociale, politica e di carattere economico. La definizione che pensa le rassomigli di più è quella attribuitale da una leggenda de Il Resto del Carlino: &#8220;Ragazza pericolosissima!

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Pastore, femminile plurale

Diversi giovani e donne scelgono di dedicarsi alla pastorizia, nel silenzio del mondo del lavoro e nell&#8217;assenza di scuole dedicate. Abbiamo raccolto le testimonianze di chi ha perseguito questa professione.

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https://backend.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2021/06/Laura-Masciocchi-con-il-marito-Enrico-e-i-figlioletti-Leandro-e-Remigio.jpg


<p>Scarsa sinergia tra i diversi attori istituzionali coinvolti. Non c’è sintesi migliore per definire la quotidiana epopea gestionale percorsa dai <strong>navigator</strong> in Italia, figure nate per supportare una misura complessa come il Reddito di Cittadinanza e costrette a confrontarsi, per lavorare, con un enigmatico sistema multilivello. Una selva di approcci all’interno della quale INPS, ANPAL, regioni, province e centri per l’impiego si riconoscono in un unico denominatore comune: <strong>l’assoluta disomogeneità territoriale</strong>.</p>



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<h2 id="h-navigator-l-italia-un-mosaico-mancanza-di-comunicazione-tra-piattaforme-regionali">Navigator, l’Italia è un mosaico: “Mancanza di comunicazione tra piattaforme regionali”</h2>



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<p>Ognuno per conto suo, insomma, a partire dalla scelta degli strumenti informatici. “<strong>Le piattaforme regionali non dialogano ancora tra loro</strong>”, racconta <strong>Antonio Lenzi</strong>, coordinatore regioni con delega alla comunicazione di A.N.NA., l’Associazione Nazionale Navigator. “In un mercato del lavoro dove la mobilità è un aspetto strategico, la mancanza di comunicazione tra Veneto e Lombardia, ad esempio, rappresenta una criticità non indifferente. Purtroppo non abbiamo evidenza delle esperienze svolte dai beneficiari in regioni diverse da quelle in cui operiamo”.</p>



<p>In pratica un’organizzazione a compartimenti stagni, alla quale si aggiunge una platea di persone da ricollocare con bassa scolarizzazione e poche competenze tecniche. E le <strong>aziende</strong>, in questo contesto? “ANPAL a settembre 2020 ha introdotto un gestionale nazionale dedicato alle imprese per la mappatura delle opportunità professionali, che però finora non interagisce con i singoli territori, obbligando i navigator a una corposa attività di back office”.</p>



<p>A.N.NA. nasce per sottolineare questi aspetti? “<strong>Non siamo un sindacato</strong>, l’intento principale è <strong>cambiare la cattiva narrazione</strong> che da sempre accompagna il nostro ruolo. L’immagine pessima nasconde i veri temi da affrontare, primo fra tutti l’enorme differenza di coinvolgimento tra un territorio e l’altro”.</p>



<p>Il governo, peraltro, non sembra voler chiudere la porta. “Difficile ipotizzare rivoluzioni, con la fine del blocco dei licenziamenti c’è il serio rischio che <strong>la Naspi diventi l’antipasto del Reddito di Cittadinanza</strong>. Poi, se parliamo del Veneto dove il mercato del lavoro è dinamico, anche il nostro operato ne trae vantaggio. Se pensiamo però a Calabria o Sicilia, l’eventualità di una <strong>gigantesca bomba sociale</strong> non è così effimera.”</p>



<p>Un problema certificato dalla nota di ANPAL dello scorso 19 aprile, relativa al primo trimestre. Il numero dei beneficiari si attesta ora intorno al milione e seicentomila e, di questi, appena il 31% è firmatario di un patto di lavoro in corso di validità. Nessun nuovo dato ufficiale circa i percettori ricollocati, con l’ultimo aggiornamento di ottobre 2020 fermo al 25% su base nazionale.</p>



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<h2 id="h-nel-veneto-in-crisi-i-navigator-hanno-pi-colpa-o-pi-meriti">Nel Veneto in crisi i navigator hanno più colpa o più meriti?</h2>



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<p>A prescindere dai numeri attuali, dice Lenzi, in <strong>Veneto</strong> il progetto potrebbe funzionare, pur se non accompagnato da entusiasmo e fanfare, con la politica locale a guidare l’esercito dei detrattori. Bisogna ammettere, peraltro, che il primo trimestre ha evidenziato, anche per la regione guidata da Zaia, <strong>dati preoccupanti</strong> rispetto all’andamento delle <strong>assunzioni</strong>.</p>



<p>Come spiega l’osservatorio pubblicato da Veneto Lavoro, gli inserimenti sono calati del 17% rispetto al 2020 e del 31% in rapporto al 2019. Poco più di centomila in totale, a certificare lo scarso dinamismo del mercato del lavoro veneto. Le donne, purtroppo non una novità, si confermano le più penalizzate, con una flessione del 22%.</p>



<p>Un immobilismo evidente anche nel <strong>calo</strong> di altri due target specifici: <strong>cessazioni</strong> (-29%) e <strong>dichiarazioni di immediata disponibilità</strong> (-12%), per effetto dei mancati reclutamenti di contratti a termine. Su questo aspetto è opportuno ricordare che in tutta Italia, dopo il primo anno di Reddito di Cittadinanza, solo la metà dei ricollocati ha mantenuto il posto almeno fino a ottobre 2020.</p>



<p>Difficile, invece, trovare riscontri di dettaglio sul Veneto, ma in generale il Nord Est, secondo la nota di ANPAL, conta oggi poco più di centomila beneficiari di Reddito di Cittadinanza, appena il 6,6% del totale nazionale. Di questi il 46% è preso in carico dai servizi per l’impiego: la percentuale più alta del Belpaese.</p>



<p>Una fotografia confortante per il lavoro svolto dai circa 140 navigator assegnati al Veneto (sui 2.700 attivi), ma non sufficiente per sopperire alla crisi occupazionale. Anche se, come già visto, mancano ancora elementi scientifici aggiornati per valutare il <strong>numero dei percettori effettivamente ricollocati</strong>.</p>



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<h2 id="h-dove-c-cooperazione-le-cose-funzionano-ma-in-italia-venti-sistemi-diversi">“Dove c’è cooperazione le cose funzionano”, ma “in Italia venti sistemi diversi”</h2>



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<p>“Il nostro è un atteggiamento volontaristico garibaldino, focalizzato su persone, imprese e risultati.”</p>



<p>Vede il bicchiere mezzo pieno <strong>Mario Giaccone</strong>, navigator impegnato a Castelfranco Veneto. Per quanto d’accordo sui limiti della piattaforma centrale, rivendica infatti l’ottimo lavoro sin qui svolto. “Poi è chiaro, la nostra <strong>cultura organizzativa</strong> non è omologabile a quella dei CPI, oggi ridotta per ragioni di organico a mera attività amministrativa”.</p>



<p>L’impressione generale, comunque, è che il livello di accoglienza dipenda molto dalla sensibilità dei <strong>singoli centri per l’impiego</strong>, più o meno abili a collaborare con i navigator. “<strong>Ogni testa è un tribunale</strong>”, conferma Giaccone. “Da quando i servizi per l’impiego sono stati provincializzati <strong>abbiamo in Italia venti sistemi diversi</strong>, moltiplicati dalle interpretazioni normative e relazionali di ogni singolo centro. Soprattutto verso chi viene paracadutato da fuori, come nel mio caso”.</p>



<p>O come nel caso di <strong>Paolo Albarella</strong>, laureato in economia e, da luglio 2019, navigator di stanza a Bovolone, provincia di Verona. “Senza voler gettare la croce su chi critica, che di frequente alimenta la tesi del nostro presunto fallimento per ragioni di opportunismo politico, confermo che <strong>dove c’è cooperazione le cose funzionano</strong>. In Veneto abbiamo ottimi strumenti e a Bovolone, dove si è costruito un rapporto di reciproca stima, l’attività porta risultati confortanti”.</p>



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<h2 id="h-il-compito-dei-navigator-dalle-aziende-ai-candidati-da-collocare">Il compito dei navigator, dalle aziende ai candidati da collocare</h2>



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<p><strong>Ma come si muove, nel concreto, un navigator?</strong></p>



<p>“Dobbiamo anzitutto riuscire a <strong>dialogare con le aziende</strong>”, risponde Paolo Albarella. “Da questi contatti emergono le <strong>opportunità di lavoro</strong> da proporre ai beneficiari. Una mappatura importante ma non scontata, io per esempio riesco a intervistare il 30% delle imprese presenti nel mio elenco. E, rispetto alla media, sono tra i migliori”.</p>



<p>Un apporto spontaneo da parte delle imprese dovrebbe essere naturale, considerato che si tratta di inserire risorse grazie a investimenti pubblici. “<strong>Forse a Confindustria interessa solo dimostrare l’inutilità del nostro operato</strong>. Invece la piattaforma MOO ha bisogno del supporto delle aziende per essere alimentata al meglio”.</p>



<p>L’altro aspetto di gestione, invece, riguarda i <strong>beneficiari</strong>. “Con loro organizziamo, nell’arco dei diciotto mesi previsti, <strong>tre incontri ufficiali</strong>. Io mi focalizzo su competenze digitali, curriculum e preparazione al colloquio. Posso dire che la maggior parte si presenta con entusiasmo e coinvolgimento nel progetto di ricollocamento. Aiutarli è un aspetto del ruolo molto gratificante”.</p>



<p>In Veneto, a ben vedere, si tratta di attività non del tutto dissimili da quelle già in vigore, dove i CPI strutturano con il percettore di Naspi un patto che mira al reinserimento. Il <strong><em>case manager</em></strong> introdotto da Veneto Lavoro, per esempio, è un profilo che si occupa di seguire gli utenti nell’erogazione di tutti i servizi previsti. Un vero e proprio tutor, alla stregua di un navigator. “E c’è persino l’assegno per il lavoro, per cui qui gli strumenti ci sono”, sostiene Albarella. “Però ribadisco che <strong>i centri</strong>, a prescindere dai case manager<em>,</em> sono <strong>saturi di lavoro</strong>, e che senza di noi non riuscirebbero a garantire un’assistenza ottimale ai beneficiari”.</p>



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<h2 id="h-navigator-un-attivit-conquistata-sul-campo">Navigator, “un’attività conquistata sul campo”</h2>



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<p>Nel frattempo <strong>ClicLavoro</strong> conta <strong>più di mille offerte di lavoro</strong> pubblicate e <strong>quasi centomila curricula</strong> a sistema. Nessuno sa dire, però, se questa mole porti a risultati concreti.</p>



<p>L’ufficio stampa di Veneto Lavoro non dispone di informazioni specifiche poiché le offerte non sono nella stretta disponibilità dei CPI. “La piattaforma è comunque utilizzata anche per i fruitori del Reddito di Cittadinanza”, ricorda Albarella, “ma molto dipende come sempre dal rapporto di collaborazione. Io ho la possibilità di vedere le preselezioni condotte da un dipendente del centro, così posso proporre un beneficiario in linea con i requisiti della ricerca”.</p>



<p>Un gioco di squadra possibile per il buon clima sviluppato a Bovolone. “Mi sento coinvolto perché <strong>ho dimostrato di essere un professionista</strong>. D’altro canto ci siamo guadagnati sul campo un’attività che coltiviamo sulla base di specifiche competenze. Mi spiace che alcuni colleghi non inseriscano per vergogna il <em>job title</em> su LinkedIn. Io ne sono orgoglioso e continuo con consapevolezza il mio percorso”. Riforma permettendo. “Guarda, se a dicembre il contratto scade e perdo il lavoro, mi rimbocco le maniche e ne cerco un altro”.</p>



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<p><em>Photo credits: cgil.brescia.it</em></p>


Crisi occupazionale in Veneto: navigator, efficaci o inutili?


<p>Nell&#8217;anno della &#8220;nuova normalità&#8221; in cui spopolano i concetti di sostenibilità e di etica, di attenzione alle Persone e di rivalutazione delle competenze, sembra che gli unici attori non protagonisti siano rimasti i grandi gruppi della finanza. <br>È notizia degli ultimi giorni l&#8217;assunzione del nuovo CEO di Unicredit <strong>Andrea Orcel</strong> con una retribuzione che gli ha mutuato il soprannome di &#8220;Ronaldo dei banchieri&#8221; e regole di ingaggio estremamente permissive e molto distanti dalle garanzie di obiettivi e risultati che è norma inserire in un patto d&#8217;assunzione a tutela di investitori e (in questo caso) anche shareholders vari (non ultimi, i correntisti della banca). </p>



<h2 id="h-il-contratto-nel-dettaglio">Il contratto nel dettaglio</h2>



<p>Nel contratto, stipulato con Unicredit secondo le fonti ufficiali rilasciate prima dell&#8217;assemblea annuale, si parla di uno stipendio fisso annuo di 2,5 milioni di euro che sommato alla retribuzione variabile totalizzerebbe<strong> 7,5 milioni di euro.</strong> Se c&#8217;è una cosa che accomuna pubblico e privato, è proprio il modo in cui si gestisce il variabile, laddove l&#8217;imprenditore deve assicurasi la sostenibilità dell&#8217;investimento e dove il &#8220;candidato&#8221; è tenuto a dimostrare le sue capacità; il variabile è quella quota che tiene in equilibrio questi due aspetti e pertanto viene correlata alla performance: <strong>il tuo guadagno aumenta in proporzione ai risultati conseguiti, in un&#8217;ottica che soddisfa &#8220;investitori&#8221; e &#8220;investito&#8221;</strong>. </p>



<p>In questo caso, invece, Unicredit ha ritenuto opportuno non legare il variabile ad alcuna condizione di performance, addirittura non inserendo nelle condizioni alcun malus o clawback (le clausole che consentono di rivalersi sul manager in caso di magagne future in seguito a decisioni prese durante i loro mandati) <em>&#8220;al fine di allineare gli interessi degli azionisti e dell’ad&#8221; </em>.</p>



<h2 id="h-le-preoccupazioni-degli-analisti-di-mercato">Le preoccupazioni degli &#8220;analisti di mercato&#8221;</h2>



<p>Prima di ogni assemblea di CDA, in cui bisogna approvare l&#8217;incarico e di conseguenza anche il pacchetto retributivo del nuovo CEO, vengono chiamati in causa gli analisti di mercato (in gergo, &#8220;proxy advisor&#8221;); si tratta di consulenti esterni invitati a supervisionare e dare suggerimenti di voto.  </p>



<p>In pratica, gli advisor hanno contestato non solo la poca chiarezza nella composizione del pacchetto retributivo (che si sono dovuti prendere la briga di ricostruire attraverso JP Morgan in mancanza di informazioni trasparenti da parte del Gruppo), ma hanno visto un grosso rischio per gli azionisti in quella parte variabile dello stipendio così &#8220;pesante&#8221;, garantita e scollegata da alcun obiettivo.</p>



<p>Anche sulla nomina del neo presidente Carlo Padoan grava un&#8217;obiezione sull&#8217;indipendenza della sua candidatura. I proxy advisor auspicano, in una nota, che il nuovo CdA di Unicredit nomini tra i suoi componenti un Presidente che sia realmente indipendente, esprimendo senza troppi giri di parole la preoccupazione che la nomina di Padoan possa rappresentare il punto di contatto volto a favorire una qualche operazione con Monte dei Paschi di Siena. </p>



<p><strong>Nonostante il parere sfavorevole di questi, il 15 aprile l’assemblea ha votato la lista dei candidati: Pier Carlo Padoan come Presidente e Andrea Orcel come CEO.</strong></p>



<h2 id="h-la-giustificazione-in-differita-di-unicredit-una-questione-di-talento">La giustificazione &#8220;in differita&#8221; di Unicredit: una questione di Talento</h2>



<p>Le domande degli investitori, convocati in Assemblea rigorosamente online, hanno ottenuto risposte asciutte e molto formali: «La struttura retributiva prevista per il 2021 per il Sig. Orcel è strettamente legata al primo anno del mandato ed è volta a garantire il giusto livello di competitività e attrazione <strong>per attirare talenti di alto livello</strong>».</p>



<p>Il Presidente uscente, Cesare Bisoni, nel tessere le lodi del suo successore (Carlo Padoan) e del nuovo CEO, definisce Unicredit come «banca paneuropea con un alto livello di patrimonializzazione, che può contare su una eccellente diversificazione geografica e che <strong>continuerà a trasformare le sfide in opportunità</strong>».</p>



<p>Il talento, che normalmente identifica giovani di belle speranze con grandi prospettive di crescita e preferibilmente a basso costo, in questo caso assume un concetto del tutto nuovo in cui il valore economico sovrasta le competenze e addirittura i risultati. Per la prima volta si dà un giudizio di merito e un riconoscimento economico fuori mercato a chi ancora non ha dimostrato alcun merito ma, come ricorda il&nbsp;<em>Financial Times</em> <em>&#8230;è stato consulente del disastroso affare da 72 miliardi di euro che ha visto la banca olandese ABN Amro divisa in tre e venduta a Royal Bank of Scotland, Fortis e Santander. Le conseguenze di quel&nbsp;deal&nbsp;finirono per alimentare la crisi finanziaria del 2007-08”. Ma furono un ottimo affare per Santander</em>.</p>



<h2 id="h-vision-transform-cosa-c-dietro-le-belle-parole">&#8220;Vision&#8221;, &#8220;Transform&#8221;: cosa c&#8217;è dietro le belle parole</h2>



<p>Dietro le belle parole dei comunicati stampa, <strong>si nasconde un decennio in cui le opportunità sono state tutte a favore degli azionisti e decisamente meno a favore dei dipendenti</strong> se è vero quanto rileva <a href="https://it.businessinsider.com/unicredit-negli-ultimi-10-anni-ha-perso-20-miliardi-mentre-intesa-sanpaolo-ne-ha-guadagnati-18-ora-la-palla-passa-a-orcel/">un articolo di Business Insider</a> che ricostruisce le <em>grandi opportunità</em> puntualmente presentate dai CDA ad ogni elezione di un nuovo Amministratore Delegato. </p>



<p>Riassumendo quanto riportato nell&#8217;articolo, dietro il piano denominato <strong>&#8220;Vision&#8221;</strong> da Federico Ghizzoni (succeduto ad Alessandro Profumo) e il piano &#8220;<strong>Transform</strong>&#8221; di Jeanne Pier Mustier ci sono fondamentalmente due punti di contatto: le &#8220;pulizie di primavera&#8221; di cui sopra per permettere di ripartire con bilanci gravati da pesi (quali il costo del lavoro) e non aver di fatto aumentato la redditività tagliando i costi nell&#8217;ottica di piani a lungo termine.<br>In soldoni, nell&#8217;arco degli ultimi 11 anni, <strong>Unicredit ha totalizzato sui profitti consolidati una perdita di oltre 20 miliardi di euro, lasciando a casa oltre 80.000 dipendenti in tutto il mondo</strong> di cui circa 5000 in Italia con la chiusura di 500 filiali, solo nell&#8217;ultima &#8220;tranche&#8221; di febbraio 2020.</p>



<p>Senza cadere in una sterile demagogia e nel consueto attacco alle banche, diventa però necessario quantomeno fare una riflessione sulla <strong>coerenza di fondo</strong> con cui da una parte si gestiscono i patrimoni di azionisti e stakeholder vari, si garantiscono i rendimenti delle stock options dei dirigenti con cui si condiscono retribuzioni che raggiungono anche il 200% del loro valore e decine di volte lo stipendio medio dei propri dipendenti (nel caso di Orcel, parliamo di centinaia di volte) e dall&#8217;altra invece si comunica sostenibilità, attenzione alle Persone e si sponsorizzano webinar on line ed eventi prestigiosi su diversità, inclusione, donne e futuro del lavoro.</p>



<figure class="wp-block-image size-large"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2021/04/Schermata-2021-04-21-alle-12.02.25.png"><img width="1024" height="470" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2021/04/Schermata-2021-04-21-alle-12.02.25-1024x470.png" alt="" class="wp-image-44021" /></a></figure>



<h2 id="h-ancora-una-volta-giochiamo-con-le-parole">Ancora una volta giochiamo con le parole</h2>



<p>Con un tempismo tipico di una strategia in cui la mano destra non sa cosa fa la sinistra, nel momento in cui il CDA approva l&#8217;avvicendamento di Orcel, i correntisti ricevono una ossimorica <strong>proposta di modifica unilaterale</strong> delle condizioni dei conti correnti, (in cui non mi sarei preso il disturbo di chiamarla &#8220;proposta&#8221;, visto che la &#8220;modifica&#8221; è &#8220;unilaterale&#8221;), scaricando la responsabilità sulla &#8220;<em>mutazione di contesto di mercato in cui il sistema bancario si trova a operare, impattando in modo crescente sull’attività bancaria e&nbsp;<strong>in </strong>particolare sulle attività di deposito, gestione e remunerazione della liquidità di conto corrente</em>&#8220;, e pertanto ribaltando sui correntisti un aumento dei canoni fino a 5 euro.</p>



<figure class="wp-block-image size-large"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2021/04/mygenius.jpeg"><img width="878" height="301" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2021/04/mygenius.jpeg" alt="" class="wp-image-44022" /></a></figure>



<p>C&#8217;è da farsi una domanda di contesto. Normalmente le regole di mercato prevedono che un&#8217;azienda pubblica sia sostenuta dallo Stato e dalla collettività a favore di un beneficio comune. È certamente giusto riconoscere gli azionisti, ma se le regole del gioco sono a discapito di migliaia di dipendenti e addirittura dei clienti, per quale motivo garantirne il sostegno? </p>



<p>Cade dunque a pennello l&#8217;apertura del convegno della Federazione Autonoma Bancari Italiani di pochi giorni fa, in cui il direttore <strong>Lando Maria Sileoni</strong> si è espresso in maniera molto negativa nei confronti di <em>retribuzioni anacronistiche e atti interni di un&#8217;azienda privata che gode di aiuti pubblici, che diventano regole di mercato</em> che non avrei dubbi sul destinatario del commento.</p>



<p>Sileoni non si è risparmiato neppure nei confronti di modalità commerciali <strong>&#8220;tipiche da Villaggio Valtur&#8221;</strong> in cui dipendenti si devono trasformare in guitti e cantanti per ingraziarsi i dirigenti e i loro piani commerciali. Riferimento forse, al tristemente <a href="https://www.youtube.com/watch?v=AjjmlQYH7nY">famoso episodio</a> della direttrice della filiale di Castiglione delle Stiviere di Banca Intesa Sanpaolo.</p>



<h2 id="h-e-per-finire-smartworking-e-grattacieli">E per finire: Smartworking e Grattacieli</h2>



<p>Se Unicredit è così sensibile al <em>mutato contesto di mercato</em>, non sembra essersi resa conto anche <em>del mutato contesto del lavoro</em> (webinar a parte). Se si parla di Persone, nell&#8217;anno del Covid non si può nascondere che le aziende più lungimiranti siano quelle che hanno attuato piani a lungo termine per uno smartworking ibrido e più organizzato, per non parlare di chi ha iniziato dopo pochi mesi a immaginare destinazioni differenti per uffici che difficilmente potranno ospitare di nuovo i propri dipendenti non solo in un&#8217;ottica di salute e sicurezza sul lavoro, ma anche nell&#8217;ottica di un approccio completamente diverso all&#8217;acquisizione di competenze importanti e a beneficio di un vero equilibrio non solo narrato, fra vita professionale e vita personale. </p>



<p>Eppure anche su questo tema viene da riflettere se è vero che già a giugno 2020 sul sito ufficiale <a href="https://www.unicreditgroup.eu/it/one-unicredit/latest/2020/jun/gradually-returning-to-the-office.html">compariva un articolo</a> in cui &#8220;<em>basandosi sulle Regole d&#8217;Oro dell&#8217;azienda</em>&#8220;, e facendo riferimento &#8220;non alle date, ma ai dati&#8221; (in cui evidentemente si deroga ai Decreti Governativi basandosi su una lettura del tutto soggettiva di dati che a giugno 2020 e soprattutto a Milano non erano per niente incoraggianti) Unicredit lanciava il progetto &#8220;<strong>Back to Office</strong>&#8221; in cui si pianificava un &#8220;graduale ritorno in ufficio&#8221;. Ma comunque, un ritorno.</p>



<figure class="wp-block-image size-large"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2021/04/Schermata-2021-04-21-alle-12.39.10.png"><img width="1024" height="646" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2021/04/Schermata-2021-04-21-alle-12.39.10-1024x646.png" alt="" class="wp-image-44023" /></a></figure>



<p>A un anno di distanza, <strong>il grattacielo Unicredit</strong> (che ricordiamo frutto addirittura di una diatriba con la Regione Lombardia di Formigoni in una gara a chi ce l&#8217;avesse più alto), riproposto in tutte le salse da fiction televisive e pubblicità commerciali inserito in un&#8217;ecosistema di pochi chilometri quadrati che dovrebbero rappresentare la Milanesitudine nei suoi aspetti più iconici (la città europea, il business, l&#8217;operosità, l&#8217;innovazione), oggi è ancora un luogo di non ritorno al pari di quello di <strong>Allianz</strong> (fra gli investitori di Unicredit)<strong>.</strong> Anche qui c&#8217;è da chiedersi se il gioco vale ancora la candela e se il totem con i suoi costi e con tutto ciò che rappresenta e che speriamo non rappresenti più, valga davvero di più di un&#8217;immagine di futuro in cui la stragrande maggioranza dei colossi multinazionali si stanno ripensando per non tornare ad un passato insostenibile, che va riconcepito per il benessere di tutti.</p>



<p>Ben vengano dunque le &#8220;imprese del futuro&#8221; e i loro ambassador.</p>



<figure class="wp-block-image size-large is-resized"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2021/04/Schermata-2021-04-26-alle-09.12.15.png"><img src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2021/04/Schermata-2021-04-26-alle-09.12.15-1024x810.png" alt="" class="wp-image-44115" width="512" height="405" /></a></figure>


Il costo del Talento per Unicredit

<p>Troppa burocrazia, inefficienze del portale, scarsa volontà delle amministrazioni comunali, ma anche – a volte – degli stessi percettori del <strong>Reddito di Cittadinanza</strong>. Così tramontano i <strong>PUC</strong>, i <strong>Progetti Utili alla Collettività</strong> che dovevano impiegare in attività lavorative all’interno dei comuni quanti già ricevevano il reddito, e che non erano riusciti a trovare lavoro in ambito privato.</p>
<p class="has-text-align-left">Per il Reddito di Cittadinanza e la Pensione di Cittadinanza nell’anno <strong>2019</strong> (da marzo a dicembre) sono pervenute <strong>1,6 milioni di domande</strong> per una media mensile di 164.000 domande, mentre nell’anno <strong>2020</strong> ne sono pervenute <strong>1,5 milioni</strong> per una media mensile di 122.000 domande.</p>
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<figure class="aligncenter size-full"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2021/04/Immagine1.png"><img loading="lazy" decoding="async" width="646" height="321" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2021/04/Immagine1.png" alt="" class="wp-image-44010" /></a><figcaption>Fonte: Inps – OSSERVATORIO STATISTICO</figcaption></figure>
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<p>Al momento, a beneficiare del solo Reddito di Cittadinanza sono 832.000 nuclei famigliari, per un totale di <strong>2,1 milioni di persone coinvolte</strong>, (dati Inps, ottobre 2020) e per loro sono stati aperti ad oggi poco più di <strong>6.800 progetti PUC</strong>, che hanno l&#8217;obiettivo di farli lavorare per le amministrazioni comunali (fonte: GePI – Gestione Patti per l’Inclusione sociale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali).</p>
<p>Poco meno della metà di questi (circa il 47%) sono effettivamente attivi e coinvolgono 82.000 persone. Poco più del 4% del totale dei percettori di Reddito o Pensione di Cittadinanza. Nei prossimi mesi, se verranno evase tutte le richieste dei comuni, si potrà arrivare al doppio.</p>
<p>L&#8217;idea di impiegare chi percepisce la misura assistenziale per dei <strong>lavori utili alla comunità</strong> inizialmente sembrava la panacea di tutti i mali: da un lato si risolveva l&#8217;endemica carenza di lavoratori nelle amministrazioni comunali, dall&#8217;altro si impiegavano persone che, spesso anche per carenza di skill, difficilmente avrebbero trovato lavoro in ambito privato.</p>
<p>Una certa vulgata già immaginava eserciti di nonni vigili impegnati a far attraversare i bambini davanti a scuola, una pletora di disoccupati a tagliare le aiuole, e freschi neolaureati in cerca di impiego che si potessero magari adoperare a sistemare libri nelle biblioteche. In realtà <strong>non è andata così</strong>.</p>
<p>La burocrazia, i ritardi di gestione, le limitazioni e spesso <strong>l&#8217;assenza dei comuni stessi</strong>, che nemmeno hanno fatto richiesta, di fatto hanno limitato l&#8217;uso dei percettori di reddito nelle comunità locali.</p>
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<h2 id="h-progetti-utili-alla-collettivit-non-tutti-i-comuni-partecipano">Progetti Utili alla Collettività: non tutti i comuni partecipano</h2>
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<p>Il primo segmento che è mancato è quello delle <strong>amministrazioni comunali</strong>, soprattutto di quelle delle <strong>grandi città</strong>: a Milano, per esempio, ci sono 150.000 percettori di reddito (fonte: Inps 2020), 300 dei quali impiegati in un progetto legato alla gestione degli ingressi nelle scuole dei bambini in periodo di COVID-19. Altri otto progetti sono invece in attesa da due mesi, ed è un peccato perché riguardano ad esempio il supporto alla consegna dei prodotti alimentari a domicilio, che in tempo di COVID-19 sarebbe utilissima. Pavia e Varese, per esempio, non ci hanno nemmeno provato.</p>
<p>Roma ne ha attivi 7 e altri 13 in attesa, mentre Napoli – che ha iniziato a fine 2020 – ha 14 richieste attive per un totale di 1.316 impiegati su un totale di 143.000 nuclei che ne beneficiano.</p>
<p>Nel resto d&#8217;Italia, però, <strong>molte amministrazioni comunali hanno provato a richiedere i PUC</strong>; ma spesso, laddove manca una struttura che non sia quella dell&#8217;assistente sociale del piano di zona, ci si è bloccati contro il muro dell&#8217;inefficienza italiana, che parte proprio dalle <strong>difficoltà di funzionamento che ha il portale GePI</strong>.</p>
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<h2 id="h-la-gimcana-legale-per-realizzare-i-puc">La gimcana legale per realizzare i PUC</h2>
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<p>A scoraggiare le piccole amministrazioni è stata anche la <strong>trafila burocratica</strong> e le <strong>limitazioni</strong> previste dalla legge.</p>
<p>Non basta, infatti, presentarsi in municipio e dire: «Ho voglia di lavorare per il comune: fatemi fare qualcosa». Innanzitutto è l&#8217;amministrazione che deve caricare il progetto sulla piattaforma del Ministero del lavoro, da sola oppure in collaborazione con un&#8217;associazione. I beneficiari del Reddito di Cittadinanza sono obbligati a svolgere PUC nel comune di residenza per almeno 8 ore settimanali, aumentabili fino a 16.</p>
<p><strong>Non tutti possono fare tutto</strong>, però. I progetti devono essere strutturati in coerenza con le competenze professionali del beneficiario, con quelle acquisite anche in altri contesti e in base agli interessi e alle propensioni emerse nel corso dei colloqui sostenuti al centro per l&#8217;impiego o presso il servizio sociale del comune. In molte occasioni quindi non si riescono a far collimare le richieste del comune con le specificità del lavoratore e il progetto non parte.</p>
<p>Le attività devono rispondere a uno specifico <strong>obiettivo</strong> che va raggiunto in un intervallo di tempo definito. Sono proprio i servizi sociali (del comune o del piano di zona) a farsi carico della gestione di questi progetti, che si sono in breve trasformati in uno slalom tra le difficoltà della burocrazia.</p>
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<h2 id="h-a-gambol-pv-da-novembre-nessun-progetto-ancora-partito-sei-mesi-di-lavoro-per-nulla">A Gambolò (PV) “da novembre nessun progetto è ancora partito”: sei mesi di lavoro per nulla</h2>
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<p>Qualcuno ci ha creduto fin dal primo momento, ma è rimasto scottato dalle molte difficoltà che ha incontrato. Specialmente nei comuni più piccoli.</p>
<p><strong>Gambolò</strong> è un centro di poco meno di 10.000 abitanti in provincia di Pavia. «La piattaforma GePI sulla quale dovevamo caricare i progetti – dice l&#8217;assessore ai servizi sociali <strong>Helena Bologna</strong> – è partita con un anno e mezzo di ritardo. Noi trovavamo i nominativi di percettori di reddito, dovevamo contattarli e proporre loro lavori all&#8217;interno dei nostri progetti. Ci abbiamo messo quasi sei mesi. Stavamo partendo con una di loro, ma lei si è trasferita e non siamo riusciti a iniziare, perché possiamo rivolgerci solo ai residenti. <strong>Da novembre a oggi nessun progetto è ancora partito</strong>».</p>
<p>Molti dei ritardi sono dovuti anche alle <strong>difficoltà nell&#8217;attivazione</strong>. «Volevamo realizzare – dice – alcuni progetti. Due per la biblioteca e uno per la manutenzione straordinaria. A spese del comune c&#8217;erano tutti i corsi, ad esempio quello per la sicurezza e le assicurazioni. In mezzo a tutto ciò ci sono stati problemi con il portale Inps e un blocco di GePI per delle verifiche della Guardia di Finanza. Adesso dobbiamo riprendere da capo, visto che l&#8217;unica che era disponibile abita da un&#8217;altra parte. In tutto questo periodo i nostri assistenti sociali e quella del piano di zona, che viene da noi una volta alla settimana, hanno lavorato per niente».</p>
<p>Spesso e volentieri nel piccolo comune pavese gli assistenti sociali si sono imbattuti in problemi legati alla <strong>mancata risposta</strong>. Non di rado <strong>i percettori di reddito</strong>, pur essendo per legge obbligati a prestare servizio per il proprio comune, <strong>hanno fatto in modo di non iniziare</strong>. «L&#8217;assistente sociale del piano di zona – continua Bologna – veniva una volta a settimana e molti di quelli interpellati avevano sempre un impegno diverso quel giorno: qualcuno aveva sempre una visita medica, qualcun altro doveva accompagnare un parente. Chissà».</p>
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<h2 id="h-quando-il-rdc-aiuta-i-comuni-il-caso-acquaviva-delle-fonti-in-puglia">Quando il RdC aiuta i comuni: il caso Acquaviva delle Fonti in Puglia</h2>
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<p>Ci sono amministrazioni comunali che grazie al Reddito di Cittadinanza hanno <strong>risolto alcuni problemi di disoccupazione cronica</strong>.</p>
<p>È il caso, ad esempio, di <strong>Acquaviva delle Fonti</strong> in provincia di Bari, che ha avviato due progetti che riguardano in tutto 36 persone e ne ha un terzo in attesa, ribattezzato “L&#8217;amico della porta accanto”, che prevede che gli interessati svolgano un ruolo di assistenza e compagnia a disabili e anziani non autosufficienti. Ma nella testa del sindaco ci sono anche molti altri programmi.</p>
<p>«In Puglia – dice il primo cittadino <strong>Davide Carlucci</strong> – abbiamo il problema dell&#8217;abbandono dei rifiuti. Per noi sarebbe ideale avere a disposizione persone che girano per le campagne. Nel percorso per aderire al progetto ci siamo imbattuti in tante difficoltà. Una di queste è che i progetti hanno tempo limitato e la persona coinvolta non può partecipare ad altri. Molti avevano iniziato a lavorare dopo anni grazie al reddito; noi ci troviamo bene, loro pure, ma non possiamo riconfermarli. Purtroppo, in particolare al Sud, ci siamo resi conto come spesso i problemi di disoccupazione siano endemici e molte persone non troverebbero lavoro. Il Reddito di Cittadinanza ha dato una mano ai comuni. <strong>Sono molti meno i cittadini che vengono a chiedere sussidi</strong>, perché già percepiscono il RdC. Allora mi chiedo: perché non utilizzare queste forze più a lungo a favore della comunità?»</p>
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<p><em>Photo credits: margherita.news24.city</em></p>


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Ballone

Andrea Ballone

Lavora come giornalista da più di vent&#8217;anni. Collabora con Oggi, La Stampa e La Provincia Pavese. In passato ha scritto articoli per l&#8217;Espresso, il Sole 24 Ore e il Mondo. Si occupa di lavoro, scuola, pubblica amministrazione, volontariato, ambiente e criminalità organizzata. Su questo tema ha scritto anche il libro &#8220;Pizza, sangue e videopoker&#8221;, in collaborazione con l&#8217;associazione antimafia Libera, nel quale si ricostruisce l&#8217;ascesa di alcuni clan criminali nel Nord Italia.

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Reddito di Cittadinanza, è flop nei comuni: solo 4 su 100 lavorano per le amministrazioni comunali

Si chiamano Progetti Utili alla Collettività (PUC) e prevedono che i percettori di RdC lavorino per i loro comuni. Ma lo fanno solo in pochissimi: scopriamo perché e mettiamo a confronto i casi di un comune del Nord e di uno del Sud.

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La parola <em>burocrazia</em> è tra i parafulmini più usati e a basso costo delle discussioni con cui si affrontano analisi sullo stato di salute dell’Italia. La nostra redazione si è voluta fare una domanda diversa: siamo andati a capire dove c’è il buono della burocrazia e perché non viene detto; cosa c’è da migliorare, invece, abbiamo scelto di farlo dire a voci indiscutibili e con profonda cognizione di causa.

Numero 98 - Burocrazia incompresa


<p><strong>Poveri e con sempre meno banche</strong>. Nelle regioni d&#8217;Italia in cui si guadagna meno le banche chiudono le filiali, lasciando soltanto gli sportelli bancomat. In compenso laddove c&#8217;è più denaro puntano su vendite al telefono e online, e su un esercito di giovani venditori, meno pagati dei loro colleghi con maggiore anzianità, e soprattutto meno garantiti.</p>



<p>Insomma la banca non è più quella di una volta. Il posto di lavoro dietro allo sportello è ancora una certezza, ma meno, e <strong>non c&#8217;è più una filiale per ogni campanile</strong>. Per questo negli ultimi anni non sono mancati trasferimenti di personale.</p>



<p>Sono in molti, inoltre, a lamentare l&#8217;assenza di un rapporto umano con la propria clientela, a causa della <strong>sparizione dei piccoli presidi</strong>. Sono <strong>1.346</strong> in tutto lo Stivale i <strong>comuni</strong> che negli ultimi dieci anni sono <strong>rimasti senza sportelli bancari</strong>, secondo i dati forniti dall&#8217;osservatorio FIRST CISL.</p>



<p>Il <strong>numero delle filiali chiuse</strong> è <strong>19.448</strong>, con una diminuzione dell&#8217;11%. Certo altre saranno aperte, ma il dato dei quasi 1.400 centri che non hanno più nemmeno una sede di un istituto di credito è preoccupante. Anche perché si riferisce a quell&#8217;arco di tempo che va dal 2009 al 2019, l&#8217;era pre-COVID-19: dopo il lockdown di marzo il processo non solo non si è fermato, ma ha preso un&#8217;accelerazione. Diversi cittadini, specie nei centri più piccoli, quando a maggio sono usciti di casa dopo tre mesi di reclusione non hanno più trovato il loro istituto di credito. La celebre banca di fiducia. A farne le spese i centri più piccoli e le zone d&#8217;Italia più povere.</p>





<h2>Quali sono le regioni più penalizzate dalle chiusure bancarie?</h2>





<p>La regione che ha registrato il <strong>numero più alto di chiusure</strong> è il <strong>Molise</strong> (-27%), passato da 48 a 35 comuni serviti e che nella classifica del reddito pro capite degli italiani è al sesto posto. Al secondo posto come numero di paesi che hanno perso la banca (-23%) troviamo la <strong>Calabria</strong>, che risulta la regione più povera d&#8217;Italia. Curioso il caso della <strong>Valle D&#8217;Aosta</strong>, la regione più ricca d&#8217;Italia al terzo posto come comuni senza banca, con un calo del 22%.</p>



<p>La classifica però continua con il trend precedente, che vede la <strong>Sicilia</strong>, seconda area più povera d&#8217;Italia, e quarta per municipi che sono rimasti senza istituti creditizi. Va detto che le percentuali in Molise e Valle D&#8217;Aosta possono risultare falsate dalle ridotte dimensioni delle due regioni.</p>



<p>Ci sono poi casi di regioni popolose come la <strong>Campania</strong>, passata da 340 a 289 comuni serviti, con 5 milioni di abitanti; la metà di quelli della <strong>Lombardia</strong>, che è passata da 1.186 a 1.081. <strong>In nessuna regione</strong>, comunque, <strong>si è configurato un aumento</strong>. E così si spiega il dato generale che vede l&#8217;Italia passare da 5.914 comuni serviti a 5.221, con un calo dell&#8217;11,7% su un totale di 7.903 comuni.</p>





<h2>Se i clienti anziani non passano all’home banking</h2>





<p>Chi ne fa le spese è soprattutto la <strong>fascia più debole della popolazione</strong> e quella che ha meno dimestichezza con il digitale e gli sportelli bancomat: <strong>gli anziani</strong>.</p>



<p>L&#8217;età media dei clienti della banca è ormai elevata, e molti sono abituati a un servizio tradizionale. La drastica riduzione negli ultimi cinque anni ha determinato una <strong>carenza nel Sud Italia</strong>. Nelle grandi città si è realizzata una pesante contrazione, in parte dovuta al fenomeno delle fusioni come nel caso di Banca Intesa, che con l&#8217;acquisizione di Ubi rappresenta un quarto del mercato e in molti centri ha chiuso le filiali “doppie”; in altri casi è stata una volontà deliberata per <strong>agevolare il servizio digitale</strong>. Che comunque presenta ancora molti problemi.</p>



<p>«In Francia – spiega <strong>Massimo Masi</strong>, segretario generale della UILCA – ormai l&#8217;intelligenza artificiale è in ogni banca. Il cliente entra e si trova a parlare con una macchina, oppure con un impiegato che si trova in Martinica, ma le condizioni del Paese sono completamente diverse. In Italia la digitalizzazione fa fatica ad attecchire perché l&#8217;italiano medio è meno scolarizzato dal punto di vista digitale. C&#8217;è uno studio particolareggiato che dimostra che <strong>non ci sono i presupposti per una rivoluzione digitale</strong>: negli anziani italiani c&#8217;è una capacità di utilizzo delle nuove tecnologie che scende vorticosamente rispetto ad altri Paesi europei. Da noi la riduzione degli sportelli rischia di far male allo sviluppo della società. Inoltre le banche sono imprese, ma devono esercitare la loro funzione sociale.»</p>





<h2>I più colpiti dalle chiusure bancarie: dopo il Sud, solo l’Est Europa</h2>





<p>I primi posti nella classifica dei comuni rimasti senza banca sono occupati dalle <strong>regioni meridionali</strong>: tra le prime cinque, tre sono del Sud. Un dato che preoccupa i sindacati, al punto che la UILCA a settembre ha deciso di dedicare al tema un convegno, dal titolo “Io rimango al Sud”, che si è svolto in Sicilia, una delle regioni più colpite.</p>



<p>«In quell&#8217;occasione – continua Masi – abbiamo illustrato i dati delle chiusure delle filiali. Al Sud c&#8217;è la massa circolare di denaro più bassa d&#8217;Italia. Al Sud ci sono meno conti online che nel resto del Paese». Già: <strong>l&#8217;Italia</strong> secondo i dati forniti da Statista nel 2018 è al <strong>penultimo posto in Europa</strong> per la classifica della <strong>diffusione dell&#8217;online banking</strong> (pur essendo triplicato, in otto anni, il numero di persone che utilizza i servizi online), ma le regioni meridionali sono quelle che hanno maggiori difficoltà.</p>



<p>Per trovare una regione italiana nella classifica sull&#8217;uso dei servizi dell&#8217;online banking dell&#8217;istituto Natiomaster bisogna attendere il 156esimo posto, dove si posiziona il Trentino-Alto Adige. Le regioni del Sud, dove la popolazione che usa questi servizi oscilla tra il 24 e il 26%, si piazzano dal 193esimo al 199esimo posto. Le aree in tutto sono 215, e dietro alle regioni italiane ci sono in prevalenza le zone dell&#8217;Est Europa.</p>





<h2>Il Sud (e non solo) vuole ancora un rapporto diretto con la banca</h2>





<p>La chiusura delle filiali, però, non apre solo un problema di digital divide, ma lascia spazio anche a <strong>nuovi mercati</strong> che tradizionalmente sono meno controllati. «Abbiamo riscontrato – continua Masi – che dove chiudono le banche si verificano <strong>aperture di altri sportelli finanziari</strong>». Per intendersi, <strong>finanziarie che concedono prestiti</strong>, pur non esigendo particolari garanzie. E poi c&#8217;è la <strong>questione sociale</strong>.</p>



<p>«<strong>Al Sud</strong> – spiega – <strong>la banca</strong> è vista come <strong>una specie di centro sociale</strong>. È un luogo di ritrovo dove la gente va volentieri, parla e si fa consigliare. Il rapporto diretto è ancora quello che anche dal punto di vista della vendita dà i maggiori risultati. Noi siamo comunque sensibili al tema della digitalizzazione, che è stato preso in considerazione nell&#8217;ultimo contratto del 2019.»</p>



<p>Gestire questa transizione digitale tra datori di lavoro e sindacati per definire ruoli e figure tradizionali è una sfida che il sindacato dovrà affrontare, perché il <strong>rapporto fiduciario</strong> è alla base sia della consulenza che della vendita. In modo particolare quando si tratta di cifre medio grandi, o anche di pochi risparmi, molti non vogliono discutere investimenti o richieste di prestiti al telefono. Molti vogliono ancora poter guardare la persona con cui trattano in volto. Ed è meglio se è un viso già conosciuto.</p>



<p>Nella maggior parte dei casi i correntisti scoprono della chiusura dello sportello al quale si rivolgono da un cartello o dai giornali locali. Alcune banche contattano direttamente il proprio cliente, e ve ne sono altre che ormai hanno strutturato dei servizi sostitutivi e di consulenza alla chiusura. È il caso di Banca Intesa o Unicredit, che hanno sui propri siti una voce apposita che localizza dove si trova la filiale più vicina, in modo particolare nelle città, in modo che il cliente che è rimasto “orfano” ne possa trovare subito un&#8217;altra dove potersi rivolgere senza dover passare per forza all&#8217;home banking.</p>





<p><em>Photo credits: www.ilparmense.net</em></p>


Aiuto, anche le banche chiudono

<p>A chi, come me, si è laureato in legge a cavallo di questo millennio, fa un certo effetto leggere il nome di Sabino Cassese su libri in versione kindle.&nbsp;</p>



<p>Per me Cassese era la punta di diamante dei manuali di amministrativo e stava dentro centinaia di pagine fisiche che dicevano già quanto ci fosse da alleggerire nel diritto.</p>



<p>La versione digitale gli si addice di più, molto di più, perché Cassese è un pensatore leggero dentro la giungla italiana. Presentarlo come giurista, accademico e giudice emerito della Corte Costituzionale dice il vero &#8211; testimoniando che ha segnato la nostra storia giuridica&nbsp; &#8211; ma non lo descrive nella vera forza di pensiero che ancora propaga.</p>



<p>“Alla base del rapporto tra burocrazia e politica c’è un deficit di cultura organizzativa del Paese che trova la sua ragione nella storia italiana. Però mi faccia fare una premessa: ogni cultura organizzativa moderna si è sviluppata nel mondo attraverso due vie che erano o lo sforzo bellico o l’industrializzazione.</p>



<p>Partiamo dal primo. Per gestire le guerre bisognava fare i conti con due aspetti, la gerarchia e le procedure, che altro non sono che i capitoli fondamentali della burocrazia.</p>



<p>Parlando, invece, di industrializzazione, fu Taylor il grande inventore delle procedure. L’immagine storica dei <em>Tempi moderni </em>di Chaplin sono da un lato la presa in giro dell’industrialismo, del taylorismo e del fordismo ma al contempo offrono la spiegazione che Ford e Taylor, come fondatore dello Scientific Management, hanno inventato quelle regole che oggi chiamiamo procedure amministrative”.&nbsp;</p>



<p><strong>Curioso che parli di invenzioni, è un verbo creativo per la macchina organizzativa.</strong></p>



<p></p>



<p>Io sto provando a spiegare le difficoltà dell’humus culturale perché i tre milioni e mezzo circa di addetti della Pubblica amministrazione, a cui va aggiunto circa un milione di dipendenti dalle società a partecipazione pubblica, non sono italiani diversi da lei e da me. Sono italiani immersi come noi in una cultura e in una storia. Certo che ora non dobbiamo rimetterci a fare guerre per introdurre un nuovo metodo organizzativo: dobbiamo prendere atto dell’urgenza di una nuova cultura amministrativa. Dopo Taylor ci sono state almeno quindici diverse culture amministrative.</p>



<p><strong>Allora è questione di aggiornamento?</strong></p>



<p>Sì, anche di modernizzazione. Io parlo poi di culture: appunto, al plurale. Esiste una pluralità di culture amministrative, alcune delle quali più facilmente applicabili di altre. L’Amministrazione non può ignorarle e forse è lì che si radica il problema.</p>



<p><strong>Chi detiene davvero la Pubblica Amministrazione italiana?</strong></p>



<p>È in mano soprattutto a persone con una formazione giuridica. Nel solo Ministero dei Trasporti, dove si potrebbe immaginare che due terzi siano di formazione tecnica, i due terzi sono invece giuristi. Oppure la Corte dei Conti, dove ci si aspetterebbe di trovare esperti di settore &#8211; dai vecchi ragionieri agli esperti di economia aziendale o industriale o di microeconomia &#8211; e invece, anche lì, troviamo quasi solo laureati in giurisprudenza magari con specializzazione in diritto penale. Bastano questi due esempi a dare la fisionomia di una cultura organizzativa nazionale.</p>



<p><strong>Vale la pena riflettere se sia o meno attrattivo, come posto di lavoro, per un neo laureato.&nbsp;</strong></p>



<p>Le do una risposta duplice perché oggi la Pubblica Amministrazione è sia fortemente repulsiva &#8211; pensi che è ancora il mondo delle scartoffie e della polvere sopra &#8211; sia fortemente attrattiva in termini di retribuzione e di stabilità del posto di lavoro. Risulta repulsiva per chi cerca l’innovazione e attrattiva per chi cerca la cuccia calda.</p>



<p><strong>Forse esercita poco fascino anche per chi cerca un lavoro in cui poter esprimere una personalità. L’ingerenza della politica dentro uffici e ministeri è sotto gli occhi di tutti e forse è anche il motivo per cui crediamo semplicisticamente che il problema&nbsp; sia la burocrazia.</strong></p>



<p>Dovremmo leggere il fenomeno ad un doppio livello dove il primo è stabilire le norme &#8211; gli americani lo chiamano <em>standard setting</em> &#8211; e il secondo è gestionale o esecutivo.</p>



<p>Stabilire le norme è cosa ben diversa da ciò che vediamo fare dalla politica: ormai non c’è altro che l’ambizione della politica di amministrare legiferando, una totale sfiducia nell’amministrazione e la presunzione che le leggi siano autoesecutive. Come a dire: “Amministrazione, non abbiamo bisogno di te” e sappiamo quanto non sia vero.</p>



<p>Sul piano gestionale, dobbiamo invece tornare ai governi Amato e Ciampi che introdussero la distinzione tra indirizzo e controllo da un lato, vale a dire la politica, e gestione dall’altro, cioè amministrazione. Nella catena della burocrazia, che nell’ordine prevede indirizzo-gestione-controllo, la parte di mezzo sarebbe quella amministrativa ma è rimasta schiacciata.</p>



<p>Al tempo stesso sappiamo che dire oggi burocrazia è come guardare a un edificio che ha alle basi le colonne di un tempio romano, gli architravi del Rinascimento, i fregi del periodo barocco e semmai qualche addizione fatta all’epoca Liberty: su questa struttura si è andata a inserire la infelice idea, poi diffusasi, dello <em>spoils system </em>che ha la sua matrice negli Stati Uniti. Oggi esistono almeno una ventina di modelli di <em>spoils system</em> e pertanto, proprio su quello che doveva essere un regime di separazione tra politica e burocrazia, è stato innestato il suo esatto opposto. Spoil, il sistema delle spoglie: è la politica che nomina i propri fedeli all’interno dell’amministrazione fino alla durata del mandato, l’invasione piena della politica. Viviamo quindi in mezzo all’assurda condizione di avere da un lato la separazione e dall’altro la commistione.</p>



<p><strong>Ci vede una forma tutta italiana, in questa natura ibrida, rispetto ad altri Stati?</strong></p>



<p>Totalmente italiana. Penso alla Germania dove il <em>politischer Beamter, </em>cioè il funzionario governativo, è previsto in numero limitatissimo oltre alla netta separazione di base dei pesi; nel Regno Unito, i Ministri non hanno neppure un gabinetto e i loro collaboratori sono i funzionari amministrativi e, se ci sono collaboratori del Ministro, sono collaboratori per l’attività politica del Ministro e non per quella amministrativa. In Francia non ne parliamo nemmeno perché tutto si regge solo sull’attività degli enarchi, gli allievi della storica École Nationale d’Administration. Abbiamo adottato una forma tutta nostra che ha moltiplicato i meccanismi di<em> spoils system</em> e favorito sistemi misti dove la politica è messa al vertice, fuori dalla gestione quotidiana, ma di fatto entra continuamente nella gestione tramite i <em>civil servants</em>, i dipendenti pubblici, che purtroppo sono solo servants.</p>



<p><strong>Un’ultima domanda, che è un auspicio. Capire se dentro la burocrazia esistono forme di resistenza rispetto alla politica.</strong></p>



<p>Sono resistenze molto limitate perché chi sta dentro vede continuamente trasformazioni dentro i ministeri, subisce interventi di gabinetti ministeriali: il loro è un atteggiamento difensivo e ogni atteggiamento difensivo non è mai innovativo. La sua domanda presupporrebbe un atteggiamento innovativo.</p>



<p>Se dice “innovativo&#8221;, penso all’uso strumentale e scorretto che la politica fa della parola digitalizzazione nel parlare della macchina pubblica.</p>



<p>Il significato specifico della parola riguarda la conoscenza e la formazione informatica ma molti usano digitalizzazione per intendere innovazione. Quello che lei sottintende è molto vero e la questione è tutta culturale: come immaginare il letto di un fiume che fa scorrere più facilmente e rapidamente il fiume. Però, prima, deve esserci il fiume: da noi manca”.</p>

Sabino Cassese: “Troppi giuristi dentro la Pubblica Amministrazione, la burocrazia ha bisogno di più competenze&#8221;

<p><em>Riprendiamoci lo Stato</em> è un libro di cui c’era bisogno.</p>
<p>Ho ascoltato <strong>Tito Boeri </strong> (coautore con Sergio Rizzo, Feltrinelli, 2020) al <strong>festival culturale Moby Dick</strong> che ogni anno porta aria fresca di pensiero in provincia di Arezzo, nel Valdarno, a Terranuova Bracciolini.</p>
<p>Avrei voluto sbobinare subito gli interventi, poi mi sono detta che avrei fatto bene a leggere prima il libro. Avrei voluto leggere subito il loro libro, e l’ho fatto un mese dopo. Per arrivare a capire che digerire la nostra storia politica è un gesto lungo.</p>
<p><strong>Politica, burocrazia e tecnostruttura da una parte, cittadini dall’altra</strong>: un rapporto impari che testimonia il retaggio storico di un elefante pubblico di cui guardiamo troppo spesso il peso e meno il carattere.&nbsp;</p>
<p>Più o meno ciclicamente escono dossier e report sui dati che affliggono la vita delle imprese italiane nel rincorrere la macchina burocratica: secondo l’Ufficio Studi CGIA Mestre il cattivo funzionamento del nostro settore pubblico grava sul sistema produttivo italiano per quasi 100 miliardi di euro all’anno, dati dalla somma tra i 57,2 miliardi di mala-burocrazia e i 42 miliardi circa di mancati pagamenti della PA. Certo è un dato che pesa ma coi dati non si guardano in faccia le cause, semmai gli effetti.</p>
<p>L’ex Presidente INPS, tornato a fine febbraio 2019 nelle vesti di economista e accademico, scava con maestria dentro gli ingranaggi intossicati del lavoro pubblico, della sua formazione e delle sue competenze.</p>
<p>“Non c’è alcuna terzietà nell’amministrazione pubblica e nella burocrazia italiana, a differenza di altri Paesi, ma l’aspetto ben più grave è che <strong>il pubblico impiego è stato utilizzato come ammortizzatore sociale e come trasferimento occulto in alcune parti del Paese dove il mercato del lavoro funzionava peggio o dove c’erano meno opportunità</strong>. Il Sud, ad esempio, è stato un territorio in cui i salari del pubblico impiego erano particolarmente elevati per mansioni di base. Questa dimensione non rispondeva alle esigenze di natura organizzativa e, ancor meno, cercava competenze particolarmente evolute.</p>
<p>Non è questo lo spirito con cui dovrebbe lavorare una Pubblica amministrazione: dovrebbe offrire servizi di qualità ai cittadini nelle migliori condizioni possibili. Migliori servizi qualitativi al costo più basso visto che ce ne facciamo carico tutti noi.</p>
<p>Ne consegue che anche tutte le carriere interne hanno risposto ad una logica politica più che di funzionalità delle amministrazioni.</p>
<p>Il sindacato poi ha fatto il resto: in Italia <strong>il sindacato si è molto indebolito nel settore privato ma è rimasto forte nel pubblico impiego che ha continuamente spinto verso un estremo egualitarismo</strong>. Inoltre il tetto imposto a 240mila euro per i livelli retributivi più alti ha di fatto determinato un appiattimento generale della struttura; il paradosso è che mansioni relativamente elementari vengono pagate molto di più di quello che sarebbero pagate nel privato e retribuzioni molto più basse che nel privato vengono riconosciute a mansioni dal contenuto e professionalità elevate.</p>
<p><strong>Il problema dell’Italia è che facciamo molta fatica a portare dentro il pubblico le persone di cui ci sarebbe bisogno per migliorare il livello dei servizi.</strong></p>
<p>Non dico assolutamente che la struttura pubblica debba replicare la struttura salariale del privato &#8211; non fosse altro perché quando parliamo di settore pubblico parliamo di un lavoro che garantisce una estrema sicurezza nell’impiego e lo abbiamo visto nel 2008/2009 che ha visto segnare numerosissimi licenziamenti nel privato ma non nel pubblico. Anche col Covid 19 ci sono state riduzioni occupazionali nel privato ma non nel pubblico.</p>
<p><strong>Dico che nel pubblico, in materia di retribuzioni, ci si potrebbe appellare anche ad un senso civico da parte di chi interpreta quel lavoro come una forma di contribuzione personale alla comunità</strong>. Personalmente quando ho scelto di fare il Presidente dell’INPS ho accettato una forte riduzione dello stipendio semplicemente perché ne capivo il valore sociale.</p>
<p>Nel pubblico bisognerebbe cercare di capire a monte quali sono le competenze necessarie e urgenti per tenere alto il livello dei servizi, provare ad intercettarle e raccoglierle pagandole il meno possibile, che è nell’interesse di tutti noi contribuenti; se proprio non è possibile farlo al ribasso, alziamo allora un po’ le retribuzioni pur di portarle a casa. Non è mai stato fatto, purtroppo.</p>
<p>Non parliamo nemmeno dei <strong>concorsi</strong> &#8211; quando sono stati fatti, perché si è spesso cercato di inserire persone con logiche di altra natura &#8211; che non hanno rappresentato una certezza dato che la politica è abituata ad imporre meccanismi di cordata o di interesse personale.</p>
<p>Non dobbiamo mai dimenticare che le amministrazioni sono fatte di persone e non riusciremo mai a cambiare le amministrazioni se non cambieremo le persone che ci lavorano ogni giorno.</p>
<p>Torno al tema delle qualifiche dei dipendenti che lavorano nelle pubbliche amministrazioni in Paesi diversi dal nostro: ho estrapolato un <strong>dato curioso sul loro coinvolgimento privato nel sociale e nell’associazionismo a vari livelli</strong>. Altrove, mediamente sono persone che anche prima di avere un pubblico impiego erano socialmente molto impegnate, in Italia questo aspetto è introvabile. Io desidererei proprio che chi sceglie di lavorare nel pubblico avesse di fondo una spinta sociale di questo genere verso la collettività, dovrebbe essere uno dei tratti identitari di chi lavora nel pubblico.</p>
<p><strong>Quando si fanno i concorsi pubblici bisogna andare a guardare nei curriculum anche gli impegni extracurriculari nel sociale</strong>, così come questo aspetto andrebbe sondato nei colloqui per averne conferma.</p>
<p>Non dico che non sia già così per molti dipendenti italiani ma serve agire a livelli interni più alti.&nbsp;Lavorando all’INPS ho trovato persone straordinarie, cito su tutti i dipendenti allo sportello di Scampia che facevano davvero da unico avamposto dello Stato in un territorio tanto complesso. Così come vorrei sottolineare che i funzionari allo sportello non hanno&nbsp;alcuna responsabilità personale su scelte politiche che magari determinano la cessazione di certi pagamenti ma ciononostante vengono presi di mira dai cittadini. </p>
<p>In Italia manca totalmente la formazione di chi sta ai vertici delle amministrazioni; non siamo la benché minima ombra di ciò che accade in Francia con le scuole di amministrazione per quanto anche lì il reclutamento non vi attinga più come in passato nonostante la solidissima tradizione dell’ENA (<em>ndr; si tratta dell’Ecole Nationale d’Administration: creata da De Gaulle per non avere dirigenti che fossero compromessi col nazismo, col tempo ha ceduto a logiche di ammissione “ereditaria” per concorso, di padre in figlio, per quanto le vada ancora riconosciuto sul piano del modello formativo il grande merito di non avere al suo interno un corpo di docenti stabili ma di dirigenti che prestano la propria esperienza concreta di insegnamento e facendolo generalmente pro bono</em>).</p>
<p><strong>Noi storicamente abbiamo avuto il retaggio di una burocrazia totalmente asservita al regime durante il periodo fascista e lì, più o meno, siamo rimasti.</strong> Su questo aspetto è molto difficile intervenire, parecchie Università stanno cercando di investire su una formazione che colmi il vuoto alle spalle ma è un vuoto ormai impossibile da colmare, semmai si può recuperare qualche passo. </p>
<p><strong>Quello che dobbiamo fare, e non c’è più tempo da perdere, </strong>è<strong> </strong>lavorare sulle competenze, tentare innesti dal settore privato, insistere sulla terzietà. La terzietà dovrebbe guidare ogni dipendente della pubblica amministrazione, proporrei persino un loro giuramento al momento dell’accesso al posto pubblico. Sono troppe le decisioni che vengono prese da funzionari senza competenze.</p>
<p>C’è come un <strong>ceto intermedio </strong>tra la politica (mediamente poco preparata) e la tecnostruttura (mediamente molto preparata): è il ceto che sopravvive ai governi, ai capi di gabinetto, ai capi degli uffici legislativi: i politici che man mano si avvicendano non se la sentono di entrare in contatto con la tecnostruttura e quindi tagliano corto affidando le sorti della politica a quei capi di gabinetto o a quei capi degli uffici legislativi e così via. In pratica, alla fine, le stesse amministrazioni pubbliche vengono gestite da figure che non sono né tecnici e competenti, né politici con le conseguenti responsabilità. Noi cittadini scegliamo politici che delegano tra i corridoi alle figure del ceto intermedio e invisibile: dovremmo pretendere che un Ministro che vara un provvedimento si sieda al tavolo con tutti i dirigenti della struttura e discuta con loro dei dettagli per filo e per segno. Insieme dovrebbero fare uno stress test, farlo sempre.</p>
<p><strong>Sono convinto che anche per questi recenti DPCM non sia stato coinvolto nessuno, sono convinto che se i Ministri Catalfo o Gualtieri avessero discusso delle CIG con i funzionari dell’INPS nemmeno uno di quei funzionari avrebbe garantito realisticamente il pagamento agli italiani prima di due o tre mesi </strong>perché avrebbero saputo circostanziare la condizione oggettiva di quel decreto, la lungaggine di quelle procedure previste e la lentezza che sarebbe derivata da quei controlli.&nbsp;</p>
<p><strong>Altro buco italiano è che l’operato dei dirigenti non viene esposto al giudizio dei cittadini.</strong></p>
<p>Quando sono arrivato all’INPS c’erano 48 dirigenti e stavano tutti a Roma: abbiamo ridotto i dirigenti e li abbiamo portati sui diversi territori perché lì potessero rispondere del proprio incarico.</p>
<p>In modo ridicolo, nelle amministrazioni si lega la performance alla produttività ma serve dare un senso agli indicatori con cui vengono valutate: spesso sono parametri interni che guardano al numero di pratiche prodotte o cose di questo genere ed è assurdo che non ci sia la valutazione del gradimento dei cittadini verso il loro operato.&nbsp;</p>
<p>È fondamentale esporre le amministrazioni pubbliche alla disciplina dell’impulso che arriva dai cittadini. Noi cittadini dovremmo essere sempre ferocemente critici verso amministrazioni che non fanno il loro dovere, anche e soprattutto perché abbiamo un’imposizione fiscale altissima.</p>
<p>Riconoscere quando lavorano bene e al tempo stesso non risparmiare critiche feroci quando le meritano. Io per primo, quando mi fu proposto di accettare la presidenza INPS, alla fine ho accettato per un motivo semplice: se mi fossi tirato indietro davanti al senso di responsabilità con cui avrei potuto provare a lasciare un segno di miglioramento, con quale faccia verso me stesso e verso gli altri mi sarei potuto arrogare il diritto di criticare?</p>
<p><strong>Solo l’indipendenza garantisce la buona politica, chi lavora dentro la politica dovrebbe avere sempre una propria sfera professionale alternativa e una durata ragionevole; diversamente è un disastro.</strong></p>
<p>Indipendenza, autonomia e terzietà sono parole che faticano a entrare nella scala dei valori delle amministrazioni pubbliche, della burocrazia e, purtroppo, anche della politica&#8221;.</p></p>


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Tito Boeri: &#8220;Tra i buchi italiani c&#8217;è l’operato dei dirigenti pubblici: non viene esposto al giudizio dei cittadini&#8221;

La lucida rilettura della pubblica amministrazione dalle parole di Tito Boeri: è urgente lavorare sulle competenze, tentare innesti dal settore privato, insistere sulla terzietà.

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