Reddito di Cittadinanza, è flop nei comuni: solo 4 su 100 lavorano per le amministrazioni comunali

Si chiamano Progetti Utili alla Collettività (PUC) e prevedono che i percettori di RdC lavorino per i loro comuni. Ma lo fanno solo in pochissimi: scopriamo perché e mettiamo a confronto i casi di un comune del Nord e di uno del Sud.

Troppa burocrazia, inefficienze del portale, scarsa volontà delle amministrazioni comunali, ma anche – a volte – degli stessi percettori del Reddito di Cittadinanza. Così tramontano i PUC, i Progetti Utili alla Collettività che dovevano impiegare in attività lavorative all’interno dei comuni quanti già ricevevano il reddito, e che non erano riusciti a trovare lavoro in ambito privato.

Per il Reddito di Cittadinanza e la Pensione di Cittadinanza nell’anno 2019 (da marzo a dicembre) sono pervenute 1,6 milioni di domande per una media mensile di 164.000 domande, mentre nell’anno 2020 ne sono pervenute 1,5 milioni per una media mensile di 122.000 domande.

Fonte: Inps – OSSERVATORIO STATISTICO

Al momento, a beneficiare del solo Reddito di Cittadinanza sono 832.000 nuclei famigliari, per un totale di 2,1 milioni di persone coinvolte, (dati Inps, ottobre 2020) e per loro sono stati aperti ad oggi poco più di 6.800 progetti PUC, che hanno l’obiettivo di farli lavorare per le amministrazioni comunali (fonte: GePI – Gestione Patti per l’Inclusione sociale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali).

Poco meno della metà di questi (circa il 47%) sono effettivamente attivi e coinvolgono 82.000 persone. Poco più del 4% del totale dei percettori di Reddito o Pensione di Cittadinanza. Nei prossimi mesi, se verranno evase tutte le richieste dei comuni, si potrà arrivare al doppio.

L’idea di impiegare chi percepisce la misura assistenziale per dei lavori utili alla comunità inizialmente sembrava la panacea di tutti i mali: da un lato si risolveva l’endemica carenza di lavoratori nelle amministrazioni comunali, dall’altro si impiegavano persone che, spesso anche per carenza di skill, difficilmente avrebbero trovato lavoro in ambito privato.

Una certa vulgata già immaginava eserciti di nonni vigili impegnati a far attraversare i bambini davanti a scuola, una pletora di disoccupati a tagliare le aiuole, e freschi neolaureati in cerca di impiego che si potessero magari adoperare a sistemare libri nelle biblioteche. In realtà non è andata così.

La burocrazia, i ritardi di gestione, le limitazioni e spesso l’assenza dei comuni stessi, che nemmeno hanno fatto richiesta, di fatto hanno limitato l’uso dei percettori di reddito nelle comunità locali.

Progetti Utili alla Collettività: non tutti i comuni partecipano

Il primo segmento che è mancato è quello delle amministrazioni comunali, soprattutto di quelle delle grandi città: a Milano, per esempio, ci sono 150.000 percettori di reddito (fonte: Inps 2020), 300 dei quali impiegati in un progetto legato alla gestione degli ingressi nelle scuole dei bambini in periodo di COVID-19. Altri otto progetti sono invece in attesa da due mesi, ed è un peccato perché riguardano ad esempio il supporto alla consegna dei prodotti alimentari a domicilio, che in tempo di COVID-19 sarebbe utilissima. Pavia e Varese, per esempio, non ci hanno nemmeno provato.

Roma ne ha attivi 7 e altri 13 in attesa, mentre Napoli – che ha iniziato a fine 2020 – ha 14 richieste attive per un totale di 1.316 impiegati su un totale di 143.000 nuclei che ne beneficiano.

Nel resto d’Italia, però, molte amministrazioni comunali hanno provato a richiedere i PUC; ma spesso, laddove manca una struttura che non sia quella dell’assistente sociale del piano di zona, ci si è bloccati contro il muro dell’inefficienza italiana, che parte proprio dalle difficoltà di funzionamento che ha il portale GePI.

La gimcana legale per realizzare i PUC

A scoraggiare le piccole amministrazioni è stata anche la trafila burocratica e le limitazioni previste dalla legge.

Non basta, infatti, presentarsi in municipio e dire: «Ho voglia di lavorare per il comune: fatemi fare qualcosa». Innanzitutto è l’amministrazione che deve caricare il progetto sulla piattaforma del Ministero del lavoro, da sola oppure in collaborazione con un’associazione. I beneficiari del Reddito di Cittadinanza sono obbligati a svolgere PUC nel comune di residenza per almeno 8 ore settimanali, aumentabili fino a 16.

Non tutti possono fare tutto, però. I progetti devono essere strutturati in coerenza con le competenze professionali del beneficiario, con quelle acquisite anche in altri contesti e in base agli interessi e alle propensioni emerse nel corso dei colloqui sostenuti al centro per l’impiego o presso il servizio sociale del comune. In molte occasioni quindi non si riescono a far collimare le richieste del comune con le specificità del lavoratore e il progetto non parte.

Le attività devono rispondere a uno specifico obiettivo che va raggiunto in un intervallo di tempo definito. Sono proprio i servizi sociali (del comune o del piano di zona) a farsi carico della gestione di questi progetti, che si sono in breve trasformati in uno slalom tra le difficoltà della burocrazia.

A Gambolò (PV) “da novembre nessun progetto è ancora partito”: sei mesi di lavoro per nulla

Qualcuno ci ha creduto fin dal primo momento, ma è rimasto scottato dalle molte difficoltà che ha incontrato. Specialmente nei comuni più piccoli.

Gambolò è un centro di poco meno di 10.000 abitanti in provincia di Pavia. «La piattaforma GePI sulla quale dovevamo caricare i progetti – dice l’assessore ai servizi sociali Helena Bologna – è partita con un anno e mezzo di ritardo. Noi trovavamo i nominativi di percettori di reddito, dovevamo contattarli e proporre loro lavori all’interno dei nostri progetti. Ci abbiamo messo quasi sei mesi. Stavamo partendo con una di loro, ma lei si è trasferita e non siamo riusciti a iniziare, perché possiamo rivolgerci solo ai residenti. Da novembre a oggi nessun progetto è ancora partito».

Molti dei ritardi sono dovuti anche alle difficoltà nell’attivazione. «Volevamo realizzare – dice – alcuni progetti. Due per la biblioteca e uno per la manutenzione straordinaria. A spese del comune c’erano tutti i corsi, ad esempio quello per la sicurezza e le assicurazioni. In mezzo a tutto ciò ci sono stati problemi con il portale Inps e un blocco di GePI per delle verifiche della Guardia di Finanza. Adesso dobbiamo riprendere da capo, visto che l’unica che era disponibile abita da un’altra parte. In tutto questo periodo i nostri assistenti sociali e quella del piano di zona, che viene da noi una volta alla settimana, hanno lavorato per niente».

Spesso e volentieri nel piccolo comune pavese gli assistenti sociali si sono imbattuti in problemi legati alla mancata risposta. Non di rado i percettori di reddito, pur essendo per legge obbligati a prestare servizio per il proprio comune, hanno fatto in modo di non iniziare. «L’assistente sociale del piano di zona – continua Bologna – veniva una volta a settimana e molti di quelli interpellati avevano sempre un impegno diverso quel giorno: qualcuno aveva sempre una visita medica, qualcun altro doveva accompagnare un parente. Chissà».

Quando il RdC aiuta i comuni: il caso Acquaviva delle Fonti in Puglia

Ci sono amministrazioni comunali che grazie al Reddito di Cittadinanza hanno risolto alcuni problemi di disoccupazione cronica.

È il caso, ad esempio, di Acquaviva delle Fonti in provincia di Bari, che ha avviato due progetti che riguardano in tutto 36 persone e ne ha un terzo in attesa, ribattezzato “L’amico della porta accanto”, che prevede che gli interessati svolgano un ruolo di assistenza e compagnia a disabili e anziani non autosufficienti. Ma nella testa del sindaco ci sono anche molti altri programmi.

«In Puglia – dice il primo cittadino Davide Carlucci – abbiamo il problema dell’abbandono dei rifiuti. Per noi sarebbe ideale avere a disposizione persone che girano per le campagne. Nel percorso per aderire al progetto ci siamo imbattuti in tante difficoltà. Una di queste è che i progetti hanno tempo limitato e la persona coinvolta non può partecipare ad altri. Molti avevano iniziato a lavorare dopo anni grazie al reddito; noi ci troviamo bene, loro pure, ma non possiamo riconfermarli. Purtroppo, in particolare al Sud, ci siamo resi conto come spesso i problemi di disoccupazione siano endemici e molte persone non troverebbero lavoro. Il Reddito di Cittadinanza ha dato una mano ai comuni. Sono molti meno i cittadini che vengono a chiedere sussidi, perché già percepiscono il RdC. Allora mi chiedo: perché non utilizzare queste forze più a lungo a favore della comunità?»

Photo credits: margherita.news24.city

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