Forever Young: difficoltà e luoghi comuni di chi cerca il primo lavoro

I giovani sono come la Sora Camilla. Tutti li vogliono e nessuno li piglia, considerando il loro ingresso nel mercato del lavoro. Nel 2015 il 64,1 per cento delle aziende italiane ha inserito al proprio interno stagisti o neolaureati, mentre le uniche assunzioni hanno riguardato appena il 5,1 per cento e tra queste soltanto pochissimi […]

I giovani sono come la Sora Camilla. Tutti li vogliono e nessuno li piglia, considerando il loro ingresso nel mercato del lavoro.
Nel 2015 il 64,1 per cento delle aziende italiane ha inserito al proprio interno stagisti o neolaureati, mentre le uniche assunzioni hanno riguardato appena il 5,1 per cento e tra queste soltanto pochissimi diventeranno quadri nella stessa azienda, tra l’1 ed il 5 per cento.

A dirlo i dati della sedicesima indagine sui neolaureati visti dai direttori delle risorse umane dell’Associazione Gidp “Neolaureati e stage”. Di fronte ad una domanda così elevata permangono altissimi tassi di disoccupazione tra coloro che hanno appena terminato gli studi, specie confrontando i dati nazionali con la situazione europea.
Le traiettorie del mercato del lavoro segnalano un‘Europa a due velocità, per quanto riguarda la transizione dalla scuola al mercato del lavoro: in Sud Europa e nell’Europa post-comunista è molto più lungo l’iter per trovare un impiego, con una bassa mobilità del mercato del lavoro; periodo di passaggio che risulta più veloce in Austria, Paesi Bassi e Regno Unito.

Il disagio dei giovani nell’inserimento lavorativo

Coloro che hanno appena terminato gli studi hanno più difficoltà di accesso al mercato del lavoro e rischiano più della forza lavoro primaria (30-59 anni) di diventare disoccupati o di ingrossare le fila dei Neet, coloro che non studiano e non lavorano, per cui l’Italia ha un triste primato in Europa. A stabilirlo è il primo report del progetto europeo Except, che coinvolge nove università del vecchio continente, tra le quali l’ateneo di Torino, con gli studiosi del Dipartimento di Culture, Politica e Società e Psicologia, coordinati dalla professoressa Sonia Bartolini.

Il disagio dei giovani a trovare un lavoro sicuro, l’esclusione da un impiego, la transizione scuola-lavoro e la precarietà del lavoro sono stati analizzati grazie ad una serie di indicatori che lasciano emergere criticità e profondo divario tra l’Italia e gli altri paesi europei.

“Più che bamboccioni, i giovani in Italia – un paese con difficoltà di inserimento giovanile nel mercato del lavoro da una parte e scarse politiche attive e passive del lavoro – adottano strategie di coping individuali o familiari, tra le quali utilizzare la protezione della famiglia di origine, fino a quando non si trova un lavoro adeguato in termini di stabilità e di contenuti – evidenzia la Bartolini. Questo però ha delle conseguenze negative in termini di autonomia psicologica, economica e abitativa dei giovani e ritarda la transizione alla vita adulta”.

Un giovane che ha meno di trent’anni in Italia ha maggiori probabilità di avere una vita da “sfigato” rispetto al resto della forza lavoro. Chi ha per missione generazionale quella di costruire il futuro che verrà, talenti e innovazione da esprimere, deve accontentarsi di lavori precari, trova un impiego più difficilmente, si trattiene al lavoro per più tempo oltre l’orario normale, spesso senza avere gli straordinari pagati.

Lo segnalano i dati dell’indagine Censis “Vita da Millennials”, tra i giovani sono il 25 per cento in più della media coloro che si accontentano di un lavoro al di sotto delle loro qualifiche, il 23 per cento in più sono impiegati in lavori saltuari, il 22 con contratti di durata inferiore ad un mese, il 16 per cento in nero mentre il 14 per cento ha cambiato almeno due lavori in un anno.

I numeri raccontano di un 17 per cento in più di millennials che lavora oltre l’orario rispetto a quanto avviene per gli altri, soltanto un terzo di loro ha gli straordinari pagati. “Come uscirne? Per esempio un sostegno al reddito nella fase di ingresso nel mercato del lavoro, indennità che in Italia non è prevista, aiuterebbe a diminuire la dipendenza dai genitori in questa fase e contribuirebbe a diminuire le disuguaglianze sociali. Infine fondamentali sono gli investimenti in politiche attive del lavoro”, afferma la professoressa.

I luoghi comuni in riferimento al mercato internazionale

Il confronto con i dati europei mostra che chi abita in Italia, se giovane, è “figlio di un Dio minore”. Il luogo comune dei giovani “choosy” che snobbano un’occupazione viene parzialmente demolito dai dati che segnalano le differenze con il resto della forza lavoro.
Un giovane che vive in Italia, segnala il rapporto Except, ha un tasso cinque volte più alto di contratti precari, rispetto al 10 per cento dei lavoratori over 30. I tassi di disoccupazione giovanile più alti nel 2013 sono stati in Grecia (55 per cento), Spagna (44), Croazia (43), Italia (37), Cipro (32), i più bassi in Germania, Malta, Austria e Olanda che non superano il 10 per cento.

Preoccupa la lunga esclusione dal mercato del lavoro, che per il 50 per cento dei giovani disoccupati di questi paesi dura oltre un anno. In un panorama di ostacoli c’è chi si accontenta e chi se ne va altrove, chi rinuncia ad un lavoro nel cinquanta per cento dei casi lo fa perché cerca nuove opportunità di impiego o di vita, per bassa retribuzione o scarse possibilità di carriera nel 14 per cento dei casi.

In attesa che la politica si accorga dello stato delle cose, trascorrono anni e vite, quello che i numeri descrivono come provvisorio rispetto ai parametri generali della forza lavoro 30-59 anni, rischia di diventare quotidiano esistere per le generazioni future.

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