Il lavoro in Calabria ha fatto GOEL

Il lavoro contro la ‘ndrangheta. Parla Vincenzo Linarello, presidente della cooperativa calabrese GOEL: “L’etica è un ottimo investimento”.

Pratiche commerciali sleali, aste a doppio ribasso e sconti selvaggi. Come possono sopravvivere gli agricoltori alle distorsioni introdotte dalla grande distribuzione? Come si può fare impresa al Sud (ma anche al Nord) senza subire le ingerenze mafiose, senza esercitare il caporalato e senza incorrere nelle speculazioni della GDO? Esiste un prezzo giusto che si può offrire agli agricoltori, che gli permetta di non strangolare i loro operai o di non lasciare i frutti marcire sugli alberi?

Sì, quel prezzo esiste, e non è neanche tanto difficile da calcolare. Difficili da calcolare sono gli effetti che il prezzo giusto e l’etica aziendale possono avere sull’intero sistema economico, non soltanto per i produttori e i lavoratori della terra, ma anche per chi fa la spesa e consuma quei prodotti.

Vincenzo Linarello, Gruppo Cooperativo GOEL: “L’etica paga, e la lotta alla mafia è un investimento”

Siamo abituati a pensare che l’etica sia solo giusta. In realtà non è solo questo.

L’etica è efficace, può risolvere tanti problemi; e soprattutto, una volta superati i costi iniziali, si rivela un ottimo investimento economico”. Sono le parole di Vincenzo Linarello, presidente di GOEL- Gruppo cooperativo, che oltre a opporsi attivamente alla ‘ndrangheta ha voluto dimostrare che l’etica non è una scelta di retroguardia per animi nobili, ma può rappresentare una risposta efficace per tutti.

Oggi GOEL – Gruppo Cooperativo conta 350 lavoratori dipendenti, con attività che spaziano dal sociale all’agricoltura biologica, dalla moda etica al turismo responsabile. Praticamente è una delle imprese con il più alto numero di dipendenti della Calabria, e questo la dice lunga sulle condizioni della regione. Del resto è una terra aspra, dove fare impresa è difficile, tanto più difficile rispetto ad altre regioni d’Italia. Non lo dice Linarello, lo dicono i fatti e le statistiche. Infatti le medie imprese in Calabria sono pochissime, perché qui riuscire a produrre fatturati e numeri a un certo livello, al di fuori del pubblico e del para pubblico, è davvero più difficile rispetto ad altre regioni d’Italia.

Eppure il metodo GOEL sta vincendo sul mercato. Come lavorano? Ad esempio pagando il giusto prezzo per un kg di arance. Mentre in quasi tutta la Calabria (ma anche altrove) le arance vengono pagate al produttore 5 centesimi al kg, GOEL ha stabilito di pagarle 45 centesimi. Perché sono buoni? No, semplicemente perché questo permette non solo di offrire la giusta paga ai lavoratori, ma consente a tutti di guadagnare e di portare avanti un’attività sostenibile nel tempo.

Vincenzo Linarello, presidente di GOEL, al festival di Nobìlita 2020
Vincenzo Linarello sul palco di Nobìlita. Foto di Domenico Grossi.

Vincenzo, come nasce il progetto e come avete fatto i primi passi contro la’ndrangheta?

In realtà siamo stati costretti a sviluppare questa idea. Era l’unico modo per portare avanti una delegittimazione radicale non solo della ’ndrangheta, ma anche di tutto il sistema di poteri forti e deviati in Calabria. Dirgli “siete cattivi”, non sarebbe servito a nulla. Fargli capire che sono inutili, invece, era un messaggio molto più forte. La ’ndrangheta ha infatti un grosso problema di sostenibilità. Nel breve termine sembra essere economicamente più performante, ma sul medio e sul lungo periodo non lo è affatto. Il 90% delle risorse della ’Ndrangheta Holding (quella che ha esteso i suoi tentacoli e le sue ramificazioni in tutto il mondo) è nelle mani del 5% degli affiliati. Queste sono le stime dei magistrati che conoscono il sistema dall’interno. La ricchezza si è alzata a dismisura (ci sono stime che valutano tra i 60 e i 70 miliardi il giro d’affari annuo), ma non è distribuita.

Praticamente più cresce e più si concentra.

Esattamente, e a dispetto di tutta la retorica che fanno sul presidio del territorio, la realtà è che questa marea di soldi non viene reinvestita in Calabria, ma nel resto del mondo. Quindi tutto questo sistema sta implodendo dentro le proprie contraddizioni. Ci sono cosche che stanno andando in giro a chiedere la mazzetta ai supermercati sotto forma di assunzione dei loro figli come commessi.

In effetti non sono grandi prospettive. O meglio, non sono le prospettive che potremmo immaginare.

È proprio su questo che facciamo leva. L’idea che ci sia un sistema che distribuisce bene la ricchezza è per forza vincente. Ci sono ormai parecchie esperienze che testimoniano che l’etica è più faticosa, ma poi i frutti si vedono.

Facciamo un bilancio concreto: quanto costa essere etici, non solo in Calabria ma nel lavoro in generale?

Ti rispondo con un esempio concreto. Abbiamo inventato un protocollo per controllare la provenienza etica delle aziende agricole che chiedono di far parte di GOEL Bio (il marchio del Gruppo che aggrega aziende agricole che si oppongono all’ndrangheta), perché i controlli informali per noi non erano sufficienti e serviva qualcosa di rendicontabile. Questo protocollo ci consente di fare un controllo oggettivo e registrabile sull’estraneità dell’azienda agricola rispetto ai circuiti mafiosi. I controlli etici durano almeno sei mesi, quindi per prima cosa questa procedura ritarda l’ingresso di soci di cui in realtà avremmo bisogno nell’immediato. Inoltre c’è una risorsa umana che dalla mattina alla sera si occupa di seguire il protocollo. Ci sono costi oggettivi (il dipendente dedicato) e costi che si traducono nel ritardo dell’ingresso del socio, e quindi nel ritardo della fornitura di prodotti, ma la realtà dei fatti è che questi non sono costi: sono investimenti, così come la lotta alla mafia.

Suppongo che anche quella abbia dei costi importanti per voi.

Nei primi anni i commenti dei soci risuonavano continuamente nelle mie orecchie: “Noi andiamo in giro a proteggere le vittime e a fare le lotte antimafia, ma noi siamo delle imprese. Gli stipendi di chi fa queste attività chi li paga?”. Ma la lotta alla mafia non è un costo, è un investimento fondamentale nella logica dell’etica efficace. Il capitale fiduciario ha un grande valore, perché ci consente di non correre rischi legali, di entrare in mercati assolutamente proibiti, di muoverci in territori in cui il condizionamento ambientale per le altre imprese avrebbe dei costi altissimi.

In effetti tutto questo non è immediatamente misurabile.

Molti contratti importanti non si sarebbero mai chiusi se non ci fosse stato questo investimento. È stata l’etica che ci ha permesso di fare la differenza.

Voi avete un metodo preciso di contrasto al lavoro nero, che è quello delle visite a sorpresa, e che sembra funzionare molto bene. Però il lavoro nero non è solo in Calabria. Pensi che il vostro modello possa essere in qualche modo esportato anche nel resto d’Italia, nelle regioni che rispetto alla Calabria sembrano virtuose, ma che in realtà nascondono molte falle?

Il nostro modello è sicuramente esportabile. Il protocollo lo abbiamo sviluppato insieme agli agricoltori, ma personalmente credo che valga di più, come deterrente, il fatto di perdere la possibilità di essere pagato il giusto prezzo (ad esempio i 45 centesimi per le arance) più che i 10.000 euro di sanzione se hai qualcuno che lavora in nero.

Quindi il sistema si rende virtuoso da solo.

Sicuramente funziona di più la minaccia di essere escluso dal progetto piuttosto che la sanzione. Perdere i vantaggi e vedersi di nuovo le arance pagate 5 centesimi al kg piuttosto che 45 è una leva molto più potente del meccanismo sanzionatorio. Quindi il modello è esportabile e il nostro protocollo può essere applicato anche altrove, anzi noi stiamo pensando di trasformarlo in una certificazione.

Però, se ci sono intere filiere agricole che fanno gare al ribasso per accaparrarsi il mercato della GDO in condizioni economiche non sostenibili, questo metodo non può funzionare, anche se virtuoso.

Se tu paghi le arance 5 centesimi al kg, il produttore ha solo due possibilità: lasciar marcire le arance sugli alberi e prendere i contributi agricoli, oppure strozzare gli operai con una guerra tra poveri. Anche la legge sul caporalato è miope, perché va a vedere solo l’ultimo miglio di quella filiera. Con Oxfam Italia stiamo portando avanti una campagna molto importante e stiamo provando a coinvolgere anche il ministro delle Politiche agricole. In sostanza vogliamo che sia reso pubblico al consumatore finale il prezzo pagato all’origine per i prodotti ortofrutticoli made in Italy.

In pratica volete che sia il consumatore finale a giudicare l’etica del prodotto?

Bisognerà vedere se chi fa la spesa e legge l’etichetta sceglierà lo stesso di pagare 2 euro quel kg di arance che al produttore è stato pagato soltanto 5 centesimi.

Ti fidi molto della responsabilità dei consumatori.

La gente sta capendo sempre di più che abbiamo un mondo solo, e il problema di chi fa la spesa non è soltanto difendere l’ambiente e il territorio, ma anche preservare la sua salute. Davanti al consumatore responsabile la GDO sarà costretta a disintermediare le filiere per rendere sostenibile il prodotto senza perderci la faccia. L’etica efficace difende gli interessi di tutti.

In copertina un agricoltore appartenente a GOEL Bio

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