Il mestiere del tuttologo

La figura professionale del formatore è stata oggetto di numerose riflessioni e di analisi e – come molte altre tipologie professionali che sono collocate nell’area dei servizi alla persona – ha dato luogo all’elaborazione di elenchi infiniti di capacità soggettive e di skill tecniche. Senza entrare nel merito della situazione che si è sviluppata, credo […]

La figura professionale del formatore è stata oggetto di numerose riflessioni e di analisi e – come molte altre tipologie professionali che sono collocate nell’area dei servizi alla persona – ha dato luogo all’elaborazione di elenchi infiniti di capacità soggettive e di skill tecniche.

Senza entrare nel merito della situazione che si è sviluppata, credo si possa affermare che l’attività di formazione è talmente sfaccettata e articolata che, oggi, sarebbe opportuno qualificare la competenza del formatore declinando in modo specifico le aree in cui egli è (realmente) competente: un bravo progettista di formazione può essere un pessimo docente in aula, un ottimo analista dei bisogni di formazione può non sapere da quale parte iniziare al fine di valutare l’efficacia degli iter formativi realizzati.

Ciò in base alla classica distinzione quadripartita del processo formativo.
Ma vi sono anche altri elementi da considerare. Ad esempio, se si volesse puntare l’attenzione sulle conoscenze teoriche di base e specialistiche del formatore, si dovrebbe analizzare con molta attenzione una quantità di parametri. Tra questi, la qualità e il livello delle conoscenze nel settore dei modelli formativi, delle metodologie didattiche e delle teorie dell’apprendimento e del cambiamento individuale e in gruppo.

È troppo richiedere tali conoscenze? A mio avviso tutto ciò è percepito come troppo per il solo fatto che la platea della formazione è stata talmente invasa da nani & ballerine da far perdere completamente di vista che si tratta di una professione seria nella quale non è sufficiente “entrare in aula” e “gestire il gruppo”, così come viene e come si riesce, o – come affermava una vecchia volpe della formazione tempo fa – “uscendone comunque vivi”.

Inoltre, se fosse percepita eccessiva la necessità di conoscenza di teorie e modelli – si parla quindi in tal caso solo della conoscenza e non del saper mettere in pratica tale conoscenza – si dovrebbe anche aggiungere che, essendo la formazione una evidente attività di applicazione di conoscenze psicologiche e psicosociali, sarebbe indispensabile per il formatore aver acquisito una laurea nell’ambito di tali discipline. Ma, com’è noto, anche tale aspetto della questione è ben lungi dall’essere chiarito, se non risolto.

Il risultato è che, da sempre, chiunque può “fare formazione”, entrare in aula e discettare di comunicazione e ruoli, gestione delle relazioni e dei gruppi, e così via. Meglio, anzi, se è poco psicologo, perché la psicologia suscita ancora molti dubbi. Eppure è innegabile che uno dei principali fattori di insuccesso della formazione sia rappresentato dal docente. Si dovrebbe prestare attenzione almeno ai seguenti quattro parametri:

(a) “chi è” il docente, in quanto persona e professionista
(b) “cosa sa” della complessa materia
(c) “cosa sa fare” concretamente in aula
(d) “se e quanto è motivato” al ruolo specifico e all’impegno contingente assunto.

Professione, mestiere, improvvisazioni e tuttologia

Al di là di conoscenze e competenze professionali, chiunque abbia esperienza diretta e prolungata di formazione si sarà reso conto che anche in questa professione, come in tutte le professioni di aiuto, per dirla con le parole di Edgar Schein – Le forme dell’aiuto (2009) di Raffaello Cortina – il fattore centrale è costituito dalla personalità del formatore. Sono noti casi in cui in aula sono inviati docenti incerti sulla propria identità personale, incapaci di porsi a confronto con un gruppo di persone, non motivati a trasmettere agli altri ciò che sanno e che i partecipanti dovrebbero sviluppare, disinteressati rispetto all’oggetto delle docenze, lontani anni luce dal desiderio genuino di essere di supporto agli altri e di lavorare per il loro sviluppo personal-professionale.

Ciò che poteva essere una professione rispettabilissima – e credo che lo sia stata, nel nostro Paese, alcuni decenni fa – è diventato ben presto un “mestiere da fare” per motivi estrinseci, poi un “ruolo da giocare” sulla base di improvvisazioni ed imitazioni, e infine un qualcosa che tutti possono fare, soprattutto se l’oggetto della formazione è rappresentato da tematiche presunte vaghe e generiche quali la comunicazione, il lavoro in gruppo, le relazioni interpersonali.

Del resto, il recente assalto alla diligenza che si è verificato sulle tematiche del counseling e del coaching rappresenta un ottimo esempio della via italiana alla distruzione delle professionalità e all’imbarbarimento del cosiddetto “mercato”.

Mode, slogan e prodotti da vendere

Probabilmente il “male”, il difetto principale di tutte le attività che ruotano intorno alla cosiddetta gestione delle risorse umane nel nostro mondo del lavoro, è l’essere stata precocemente intrisa di elementi che nulla hanno a che fare con la “scienza” e con la “professione”: i fattori inquinanti sono stati almeno due. Le mode, e la tendenza a considerare l’attività operativa della consulenza come un prodotto da vendere ai committenti.

La formazione non fa eccezione in questo contesto dove, più che seri committenti ed esperti consulenti, sembra che si confrontino acquirenti e venditori. Dove non a caso numerose agenzie di consulenza richiedono di arruolare formatori che siano soprattutto degli abili gestori del cliente. Dove anche da parte dei committenti organizzativi vi è più attenzione al costo che alla qualità, alla velocità di realizzazione che alla completezza del piano di formazione, alla semplicità dell’intervento (fast-training, pillole di formazione) che al mettere in campo qualcosa che sia davvero utile alle persone. In conclusione, in un quadro di tal genere gli unici che hanno tutto da perdere sono proprio i diretti clienti della formazione: i partecipanti ai corsi e ai percorsi formativi.

[Photo credits: OC]

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