Il nido che non accoglie: agli asili privati chi ci pensa?

Fino a ieri hanno accudito migliaia di bambini. Oggi non trovano un solo ente che sia disposto a fare altrettanto con loro. Sono gli asili nido, che nelle varie declinazioni comprendenti fra gli altri i micronidi e i nidi famiglia, offrono generalmente alle famiglie italiane assistenza per bimbi da 0 a 3 anni di età […]

Fino a ieri hanno accudito migliaia di bambini. Oggi non trovano un solo ente che sia disposto a fare altrettanto con loro. Sono gli asili nido, che nelle varie declinazioni comprendenti fra gli altri i micronidi e i nidi famiglia, offrono generalmente alle famiglie italiane assistenza per bimbi da 0 a 3 anni di età in media per 8 ore al giorno. Da mesi si sono scoperti soli, dimenticati, spogliati delle necessarie tutele per sopravvivere all’emergenza pandemica da coronavirus.

In particolare sono i privati ad accusare una mancanza di considerazione drammatica, e a loro dire ben superiore rispetto ai pubblici (gestiti nello specifico dai comuni) e ai paritari, ai quali è riconosciuta una qualche forma di sostegno a livello regionale. Equiparati di fatto ad attività imprenditoriali di tipo artigianale come potrebbero essere i parrucchieri, altra categoria certamente penalizzata dall’emergenza, a differenza loro i nidi privati non potranno aprire prima di settembre, e anche allora le certezze sono meno delle perplessità. Nel frattempo, restare a galla è la vera e unica impresa.

 

Tutte le spese degli asili nido privati durante la sospensione da COVID

Abbiamo gli affitti da pagare. Per recuperare il 60% dobbiamo comunque anticiparli, e come, se non ci vengono versate le rette? Ci sono poi le utenze, rimaste invariate, e le assicurazioni in caso di infortuni, che non riusciamo in nessun modo a interrompere. Per non parlare del personale. Con le nuove norme il rapporto di una educatrice ogni 8 bimbi sarà abbassato a una ogni 3 o 5. Quindi dei miei 25 bimbi potrò tenerne solo 15, e di 5 educatrici non più di 3, ma non posso licenziare. Ora sono in cassa integrazione, ma la copertura è prevista fino a inizio giugno. E poi? Se non licenzio neppure avranno diritto al sussidio di disoccupazione”.

A parlare è Barbara Bottan, presidente della neonata associazione Il Mondo dei Bambini, che sta provando a dare una sola voce, tanto per cominciare, ai mille nidi privati che nella sola Lombardia rispondono al 70% della domanda, contro il restante suddiviso tra comunali e paritari. A livello nazionale si parla invece di 7.000 asili nido privati, pari alla metà di tutti i nidi italiani. Considerata una media di 20 bimbi a struttura, fanno un esercito di 140.000 neonati da accudire e svezzare in condizioni improbe.

 

La Generazione COVID

In fondo, quelle elencate da Bottan non sono altro che spese ordinarie: “In tempi normali le sosterremmo con le rette, ma fin da subito, ossia da quando abbiamo dovuto chiudere, da noi in Lombardia a fine febbraio, vi abbiamo rinunciato. Ognuno ha poi cercato di inventarsi qualcosa, accordandosi per una retta ridotta o una libera offerta. Senza contare che questi sono i mesi di iscrizione per settembre. Tutto saltato”.

Per di più, già si parla di Generazione COVID: “Da questi mesi di quarantena forzata, i nostri bimbi si porteranno dietro serie problematiche di tipo relazionale. Noi questo lo sappiamo perché è il nostro mestiere e perché li conosciamo anche meglio dei loro stessi genitori, che si trovano spesso in difficoltà a gestirli nell’arco di un’intera giornata”. Se al governo hanno pensato subito al cosiddetto bonus baby-sitter, la contromossa dei nidi privati viene dai video tutorial, che andavano dal cambio del pannolino a ogni genere di attività ludica, e a vere e proprie dirette online. Insomma, niente più di un palliativo, alla lunga insostenibile.

 

Fondi regionali, neanche un euro per gli asili nido privati

Se è pacifico che non abbiano niente a che fare con i centri estetici, a differenza di quanto si possa credere, i nidi non sono neppure semplici parcheggi per neonati: “Siamo luoghi di formazione a tutti gli effetti”, rimarca Bottan. È infatti dal 2007 che i nidi rientrano nei progetti educativi che almeno in teoria dovrebbero fare capo al Miur, il Ministero dell’Istruzione e della Ricerca: “Sembra però che il ministro Lucia Azzolina neanche lo sappia. Parla di didattica a distanza, ma è chiaro che non si riferisce a bimbi tanto piccoli. Per loro è risaputo che i vari computer, smartphone e tablet siano più dannosi che improponibili. Ha solo raccomandato ai genitori di portarli al parco. Nient’altro”.

In questa presa di coscienza collettiva, i nidi privati hanno finito per scoprire che la smemoratezza dello Stato nei loro confronti non è una novità portata dal coronavirus: “Almeno per quanto riguarda la Lombardia, è saltato fuori che dal 2017 la Regione ha istituito un fondo destinato all’educazione dei bimbi da 0 a 6 anni che ripartisce ai comuni in base ai dati Istat, ossia la popolazione effettiva, e agli iscritti a nidi. In questa statistica noi privati siamo entrati di peso, contribuendo non poco a gonfiarla. Però nessuno di noi ha visto mai neanche un euro. Certo, come utilizzare quei soldi – e a vantaggio di chi – restano domande risolvibili a discrezionalità di ogni singolo comune, ma almeno ora che non sappiamo dove sbattere la testa, sulla base di quanto dato anche solo in termini statistici, almeno una mano crediamo di meritarla”.

 

65 milioni alle scuole dell’infanzia: per tutti, per pochi, per nessuno?

La questione della ripartizione di fondi e delle risorse mai arrivate ai nidi privati non riguarda solo un passato recente. Gli ultimi sviluppi la ripropongono con forza, e anzi sollevano ulteriori dubbi e perplessità.

All’articolo 233 del Decreto Rilancio, firmato appena poche ore fa dal Presidente della Repubblica, si stabiliscono le “misure di sostegno economico all’istruzione paritaria fino ai sedici anni e al sistema integrato da zero a sei anni”. Si apprende quindi che, proprio a compensazione dei mancati versamenti delle rette per sospensione delle attività, a vantaggio delle “scuole paritarie dell’infanzia a gestione pubblica o privata” è stata stanziata la somma totale di 65 milioni di euro. Se quanto successo con i fondi regionali lombardi ha insegnato qualcosa ai nidi privati è di tenere bene dritte le antenne per capire come verranno erogati, e se con “paritarie” si intendano solo le scuole convenzionate con il pubblico, cosa che tornerebbe a escluderli.

Ma c’è di più, perché stando alle fasce di età indicate dal decreto la ripartizione dovrà comprendere sia gli asili nido che le scuole materne: “Se teniamo conto di entrambi i tipi di struttura e di tutte quelle presenti in Italia possiamo stimare un contributo di circa 69 euro a bambino, ma non al mese. Stiamo parlando infatti di un contributo erogato una tantum, ossia una volta sola e non per tutti i mesi di chiusura. In soldoni, significa che una struttura come la mia, che ha 24 bambini iscritti, avrà circa 1.656 euro – se li avrà. Come misura di sostegno è certo meglio che niente, ma non ne farò certo una questione personale se dico che io, con questi soldi, non ci pago neanche l’affitto di un singolo mese. E a conti fatti resterò chiusa per 6 mesi. Sempre nella speranza di potere riaprire a settembre, cosa per nulla scontata”.

 

 

Foto di freestocks-photo by Pixabay

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