Il virus non fa saltare il Banco Alimentare

Nemmeno l’immensa tragedia del coronavirus ha fermato il cuore dei volontari, dei donatori e delle aziende partner della Rete Banco Alimentare. Ostacoli fisici, di età, di procedure e prevenzioni hanno rallentato ma mai fermato la macchina (o meglio, i furgoni) di questa organizzazione non profit, che ha compiuto ben 31 anni di solidarietà in Italia […]

Nemmeno l’immensa tragedia del coronavirus ha fermato il cuore dei volontari, dei donatori e delle aziende partner della Rete Banco Alimentare. Ostacoli fisici, di età, di procedure e prevenzioni hanno rallentato ma mai fermato la macchina (o meglio, i furgoni) di questa organizzazione non profit, che ha compiuto ben 31 anni di solidarietà in Italia e 53 nel mondo. Abbiamo voluto parlare “senza filtro” con il Segretario Generale Marco Lucchini, oggi anche responsabile dei rapporti con le istituzioni nazionali ed europee, dei temi legati al mondo del lavoro, quello che manca in questo periodo e che sta mettendo in difficoltà migliaia di persone in Italia.

Marco Lucchini, Segretario Generale della Fondazione Banco Alimentare

 

Marco, in che misura è aumentata la richiesta di aiuto da parte dei cittadini in tempo di coronavirus? 

È aumentata in misura incredibile! Stiamo vivendo una vera e propria emergenza sociale che credo sia sotto gli occhi di tutti. Prima dell’emergenza coronavirus noi aiutavamo, tramite le 7.500 associazioni convenzionate su tutto il territorio nazionale, circa 1.500.000 persone. Dal 15 marzo in poi, il numero aumentava ogni giorno fino ad arrivare al 50% in più di persone che richiedevano aiuto. Interi nuclei familiari senza neanche i beni di prima necessità da un giorno all’altro. E non mi riferisco alla classica narrazione del Sud, ma anche a quartieri dimenticati delle aree metropolitane, le periferie spesso nominate da Papa Francesco. A questa povertà si è aggiunta quella digitale, che ha creato un ulteriore fossato per molte famiglie che non avevano accesso alla possibilità di lavorare in smart working o, per molti bambini e ragazzi, di seguire la didattica a distanza per mancanza di device e rete ADSL.

Mai come in questo momento c’è bisogno di visibilità e di sensibilizzare le persone a donare. C’è stata la disponibilità in tal senso da parte di personaggi famosi (dello spettacolo, dello sport o altro)? E in secondo luogo, c’è ancora bisogno di testimonial in questo Paese?

Per noi non è stato sorprendente ricevere telefonate di artisti, calciatori, personaggi famosi che in prima persona hanno donato e poi messo a disposizione la loro immagine per le necessità del Banco Alimentare. Da oltre 30 anni noi crediamo in un concetto fondamentale: prima ti impegni direttamente tu, sul campo, con le tue azioni, e poi inviti gli altri a farlo. Non c’è pubblicità migliore di questa. Gli artisti hanno visto le foto sui nostri social dei volontari impegnati quotidianamente con le grandi difficoltà di organizzazione dovute alle restrizioni, e hanno deciso di aderire in prima persona chiamandoci e offrendosi con le loro diverse capacità. Se servono i grandi testimonial? Direi di sì, e saranno sempre più influenti, ma alla base, e mi ripeto, ci vanno i volontari, i nostri testimonial di tutti i giorni, che guidano il cambiamento dei cuori.

Arrivando ai volontari, c’è stato un calo di disponibilità oppure, al contrario, avete registrato un incremento? 

L’emergenza del coronavirus ha messo noi del volontariato e di tutto il terzo settore di fronte al problema dell’età: la maggioranza sono over 65, e quindi, sebbene non volessero abbandonare la nave, la coscienza di noi tutti non poteva accettare che una categoria a rischio fosse impegnata nei giorni del grande contagio. Ma il cuore dei giovani italiani è intervenuto prontamente. A fine marzo abbiamo avuto tante richieste di sostegno, soprattutto da giovani universitari. Nei primi 15 giorni di emergenza non abbiamo potuto accettarli nei magazzini poiché le ordinanze non permettevano di muoversi fuori dal comune di residenza, ma come al solito non ci siamo fermati di fronte alle difficoltà e li abbiamo indirizzati nelle associazioni caritatevoli locali. Della serie: dai una mano nella tua città, nel tuo quartiere, nel tuo palazzo; noi porteremo i furgoni di cibo e tu provvederai a consegnare le buste della spesa. Vorrei precisare che dal giorno del lockdown e fino ai primi giorni di aprile, circa il 60% delle associazioni sono rimaste chiuse in attesa di indicazioni da parte della Protezione Civile. Solo dopo il decreto del 2 aprile la consegna di beni alimentari è stata riconosciuta come valore al pari degli stessi servizi della Protezione Civile. Così, tutta la rete territoriale di strutture caritative con noi convenzionata è ritornata pian piano operativa, e ha potuto aiutare chi era caduto in difficoltà.

Noi cittadini vi conosciamo per la Colletta Alimentare di novembre, e ora per questa emergenza. Ma se guardiamo ai vostri fabbisogni giornalieri, come sono i rapporti con le aziende donatrici? Sono aumentate oggi per questioni di facciata, oppure c’è un reale interesse alle vostre attività?

Come dicevo per gli artisti, anche le aziende, dopo un primo momento di attesa per capire cosa fare, ci hanno chiamato. Soprattutto quelle alimentari, per recuperare i loro prodotti che diversamente avrebbero dovuto buttare, o per donarci alimenti come segno di solidarietà. Aziende già partner e aziende nuove. Sono proprio convinto che non sia facciata oppure una mera operazione di washing, ma un reale interesse a contribuire a sentirsi “sulla stessa barca” e “aiutare gli altri a non rimanere indietro”, come ci ha ben detto sia Papa Francesco che il Presidente Mattarella. La Giornata Nazionale della Colletta Alimentare dell’ultimo sabato di novembre è un evento importante per la nostra organizzazione, ma è un giorno solo all’anno. È vero, in quel sabato coinvolgiamo più di 150.000 di volontari, anche molte aziende lo propongono ai loro dipendenti, e devo dire che molti di questi ritornano nei mesi successivi a offrire il loro tempo sia a noi che alle associazioni territoriali. Comunque non potremmo vivere solo di quella giornata. Nei restanti 364 giorni dobbiamo ringraziare le aziende partner che ci donano le loro eccedenze. Dall’agricoltura alla trasformazione fino alla ristorazione, passando dalla distribuzione, lo scorso anno abbiamo recuperato circa 75.500 tonnellate di alimenti. Dal 2016, grazie alla Legge 166 Gadda, donare il cibo viene agevolato fiscalmente, mentre buttarlo è più oneroso sia in termini di coscienza che di procedure di smaltimento. Ringraziamo il legislatore italiano che, primo in Europa e nel mondo, ha legiferato in tal senso, anche per la giusta e importante pressione di tutto il mondo del terzo settore. Dal 2016 molti attori della filiera agroalimentare si sono avvicinati alla Rete Banco Alimentare, in particolare la grande distribuzione per “il fresco” e la ristorazione per “il cotto”. Abbiamo dovuto attrezzarci con procedure, mezzi e nuovi volontari in grado di operare in queste filiere e ci siamo riusciti con dedizione e trasparenza. Molto ancora può essere recuperato, ma abbiamo bisogno di maggior sostegno economico e di volontari, e per questo sul nostro sito www.bancoalimentare.it ci sono diverse campagne attive di reclutamento.

Com’è la vostra interlocuzione con gli altri enti del terzo settore? Come vedete lo sviluppo di questo settore dopo la crisi? 

Noi del banco alimentare siamo particolari, operiamo con ampio orizzonte. Infatti la Rete BA è costituita dalla Fondazione Banco Alimentare, che guida e coordina 21 organizzazioni presenti su tutto il territorio nazionale, che a loro volta svolgono una funzione sussidiaria nei confronti delle 7.500 strutture caritative con loro convenzionate, le quali rispondono direttamente ai bisogni delle persone in difficoltà. Questo a valle, ma dall’altra parte collaboriamo con centinaia di aziende alimentari, e quindi anche loro diventano parte di questo fiume di solidarietà. Lo stesso possiamo dire per la relazione con le istituzioni pubbliche, sia europee, sia nazionali, sia locali. Visto il nostro servizio rivolto ai fabbisogni primari, anche l’interlocuzione con gli altri soggetti del terzo settore è molto attiva. Il terzo settore dovrà riorganizzarsi e puntare su ciò che serve realmente, evitando tante frammentazioni e talvolta personalismi. Questa crisi cambierà, anzi ha già cambiato, il nostro modo di vivere e di relazionarci come persone, aziende, istituzioni.

Dovrete cambiare stile dopo l’emergenza?

Direi che stiamo già cambiando giorno dopo giorno dai primi di marzo. Come dicevo in precedenza, dobbiamo guardare la realtà, i fatti, gli sviluppi sociali dopo i decreti, e riorientare le nostre azioni per meglio servire e accompagnare chi ha maggiormente bisogno. Sicuramente dovremo cercare di avere volontari più giovani, utilizzare meglio gli strumenti che offre la digitalizzazione, non solo per le riunioni, e crescere nelle partnership con le aziende.

Il volontariato è a suo modo una forma di lavoro? Già suppliva a mancanze del Pubblico; dopo questa tragedia lo farà ancor di più?

I nostri volontari (1.800) per la legge sono tutti dei lavoratori, in quanto sono soggetti al rispetto delle normative HACCP, RC responsabilità civile, norme 231 sulla sicurezza, ma è chiaro che svolgono le attività in maniera gratuita e disinteressata. Per far funzionare comunque una macchina nazionale e regionale come quella della Rete Banco Alimentare, che ogni anno riceve e ridistribuisce oltre 75.000 tonnellate di derrate alimentari, bisogna prevedere una struttura di coordinamento fatta da personale dipendente, che lavori durante tutta la settimana, a volte festivi compresi. Noi teniamo questo rapporto intorno al 10% della forza totale. Quindi il terzo settore genera occupazione. In Italia l’associazionismo è stato sempre fondamentale, non solo nelle grandi catastrofi, e continuerà su questa strada, essendo termometro e sentinella dei territori. Il Pubblico dovrà ascoltarlo ancor di più e meglio in questo “dopo”.

Il Banco Alimentare è una realtà felice per tutti o scomoda per qualcuno? 

È una realtà scomoda per chi vuole saltare i passaggi, per chi pretende di dichiarare i risultati prima di ottenerli, per chi non ha cura della fatica e della passione di chi ci aiuta ma pensa di sfruttarla, per chi non vuole che si aiuti quella categoria perché non fa moda, per chi non è disposto a cambiare perché “si è sempre fatto così”. Fortunatamente in più di 30 anni sono stati davvero pochi quelli a cui abbiamo dovuto dire di no, rinunciando al partenariato. Nessuno e nessuna situazione ci potrà impedire di essere entusiasti per quello che facciamo. Vinceremo ogni resistenza se continueremo a tener vivo lo scopo della nostra attività e i nostri valori.

Nuovi progetti per le nuove necessità scatenate dal coronavirus? Penso al mondo della scuola.

Nel pre-COVID le 21 Organizzazioni Banco Alimentare presenti sul territorio andavano nelle scuole di ogni ordine e grado – e ci invitavano in parecchie – proprio per educare i ragazzi al dono, alla solidarietà, al distinguersi col pensiero. Non rinunceremo a questa attività formativa, ma dovremo rivederla nel tempo, sempre in accordo con le istituzioni locali. Noi siamo al servizio senza pretendere, noi ascoltiamo senza gridare. Fare e non dire! Almeno questo è quello che desideriamo sempre. Come diceva il cav. Danilo Fossati, fondatore della Star, che insieme a Don Luigi Giussani fu promotore della nascita del Banco Alimentare in Italia: “Tu comincia, fallo bene e vedrai che gli altri ti seguiranno”.

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