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Lo stile femminile cambierà il management
Le previsioni sul futuro del lavoro sono spesso apocalittiche. Robot che azzerano la necessità di manodopera, intelligenza artificiale applicata al posto di quella umana, competenze acquisite che diventano velocemente obsolete. Chi sopravviverà, nel futuro del lavoro? Qual è la “specie professionale” più adatta per affrontare le sfide che ci attendono? Prima di vederne le caratteristiche, […]
Le previsioni sul futuro del lavoro sono spesso apocalittiche. Robot che azzerano la necessità di manodopera, intelligenza artificiale applicata al posto di quella umana, competenze acquisite che diventano velocemente obsolete. Chi sopravviverà, nel futuro del lavoro? Qual è la “specie professionale” più adatta per affrontare le sfide che ci attendono? Prima di vederne le caratteristiche, cerchiamo di capire come sarà il lavoro di domani.
Dall’economia transazionale a quella relazionale
Già oggi è ben visibile una prima mutazione: quella da una economia di tipo transazionale a una più relazionale. Nella prima vive l’homo oeconomicus: in un contesto di risorse scarse e di economia industriale prevalgono la razionalità, il calcolo e l’interesse esclusivo per la cura degli interessi individuali. Nella seconda, riferita all’economia post-industriale della conoscenza, le dimensioni intangibili del capitale sono predominanti e acquistano valore le relazioni e la creatività.
Le aziende più all’avanguardia stanno già ricercando capacità e attitudini complementari o del tutto diverse da quelle adottate finora. Queste ultime infatti si stanno via via dimostrando sempre più inadeguate rispetto alle evoluzioni del business. Quanto alle tecnicalità, le cosiddette hard skills, è chiaro quanto potranno essere presto soppiantate da tecnologie vieppiù sofisticate. Per comprendere le complessità dei mercati e di journey basati sulle esigenze delle persone (e non più sui processi produttivi), si riveleranno cruciali competenze emotive e relazionali.
Per essere vicini ai bisogni di un cliente o di un candidato occorre in primo luogo ascoltare, esercitare empatia, dare fiducia. Per potersi sganciare da modelli operativi e organizzativi classici, fondati su logiche proprie del Novecento, bisogna avere senso critico, essere disponibili a sbagliare, mostrarsi nelle proprie vulnerabilità. Solo così si sopravvive: attraverso la disponibilità al cambiamento e all’innovazione, e alla volontà di mettere in discussione lo status quo nei posti di lavoro.
Lo stile femminile, il più adatto al nuovo management
La globalizzazione dell’economia è un secondo fattore di mutazione genetica del lavoro. Non sono solo i mercati a essere internazionali, ma la stessa forza lavoro, tra migrazioni di massa e fuga dei cervelli. Che cosa serve per gestire un gruppo di lavoro da remoto o per trattare con fornitori stranieri? E per accogliere collaboratori provenienti da culture diverse dalla nostra? Di nuovo, essere agili cognitivamente, dimostrare predisposizione per l’altro, prendersene cura e accoglierlo, puntare sulla ridondanza della comunicazione e sulla condivisione delle informazioni, sono tutti fattori vincenti per dimostrarsi più darwiniamente fit all’ambiente professionale che verrà.
Lo stesso management dovrà cambiare, accrescendo il senso di fiducia, incoraggiando lo spirito di iniziativa, ampliando le responsabilità dei propri collaboratori e diffondendo un modello di leadership “generativa”, che dà spazio ai valori e alla vita delle persone, mettendo in luce risorse invisibili. Il purpose delle aziende deve passare anche dai bisogni più intimi di chi vi lavora, e adattarsi alle transizioni della vita. È il principio del life based learning, che correla le diverse fasi del proprio percorso umano a momenti utili per un apprendimento continuo, che passa dalla genitorialità al care giving dei parenti più anziani.
Dal canto loro, anche le aziende si trovano di fronte a un passaggio epocale, in difficoltà sia rispetto al proprio business sia di fronte a una forza lavoro sempre meno coinvolta. Dare significato al lavoro, condividere valori e buone pratiche, fare dell’etica un principio fondativo e non un’operazione di marketing sono tutti modi in cui le organizzazioni possono far aumentare il senso di appartenenza, l’attaccamento al ruolo, il desiderio delle persone di lavorare lì. Focalizzarsi esclusivamente sull’output di un’impresa, sulle sue transazioni o prodotti tangibili, serve a poco nell’economia relazionale. Ecco perché le aziende più intelligenti, oltre a retribuzioni allineate e a condizioni di sicurezza, stanno già lavorando su altri driver motivazionali. Si adoperano per fare stare bene i lavoratori, aumentarne il benessere fisico e psicologico, e per esplicitare quale sia l’impatto sociale della propria attività. La gestione delle aspettative altrui, la capacità di mettersi nei panni dell’altro, l’orientamento alla condivisione e l’idea di uno scopo più grande e non autoriferito sono le caratteristiche delle organizzazioni che governeranno il futuro del lavoro.
Il futuro del lavoro appartiene alle donne?
Ma torniamo alla domanda iniziale. Qual è la “specie professionale” più adatta per affrontare le sfide che ci attendono? Quella che, più di altre, saprà far sue e usare strategicamente le competenze più propriamente umane, note anche come soft skills. Quelle attitudini che difficilmente le macchine sapranno replicare, dalla comunicazione alla gestione della complessità, al dialogo con tanti interlocutori differenti alla creatività, passando per la negoziazione, la cura, la fiducia, l’empatia. A ben guardare, tutte le competenze che la letteratura manageriale riconosce agli stili professionali e di leadership femminili.
Vogliamo forse dire che saranno solo le donne a sopravvivere nel futuro del lavoro? Niente affatto, è ovvio. Ma invitiamo tutti a riflettere su quali modelli, valori e stili maschili hanno dominato l’età dell’industria e chiediamoci se potranno essere ancora efficaci e risolutivi nell’epoca della conoscenza e dell’intangibile. Che validità può avere ancora un’impostazione organizzativa votata al command and control? Quanto possono durare relazioni capo-dipendente orientate al sopruso, alla sudditanza, alla sottomissione? Che idee nuove possono arrivare da collaboratori intimoriti e assoggettati? Come rispondere alle esigenze delle nuove generazioni al lavoro se non si è disponibili a una cultura della trasparenza e della correttezza? Come pretendere che una persona lavori bene se l’unico metro di valutazione è un cartellino da timbrare? E come si fa a pensare di incentivare le performance basandosi su puri riconoscimenti di natura economica?
E infine, come non capire che il tempo, in un percorso professionale che durerà dalle scuole professionali fino ai settant’anni, sarà una chiave di negoziazione fondamentale per riaffermare il proprio valore? Reclamare il tempo è già oggi una questione di coraggio e di libertà. Ma pensare che serva solo alle donne è un grave errore: i congedi parentali, i permessi per assistere genitori anziani, i regimi di part time involontari, il mental charge, sono già adesso fortemente sbilanciati per genere. Ciò porta a una mancata partecipazione femminile al mercato del lavoro, a un minore income per le famiglie, a uno sbilanciamento fra i ruoli genitoriali, a una inferiore ricchezza generata. E a un generale malinteso su “chi dovrebbe fare cosa”.
Uno stile di leadership più femminile. Anche per gli uomini
Se stiamo andando davvero verso un’economia più relazionale, le donne potranno incidere attraverso tutte le caratteristiche che normalmente si attribuisce loro in maniera distintiva – che sono quelle che abbiamo già descritto come antidoti alle diverse mutazioni in corso.
Secondo un bellissimo studio, condotto su oltre 64.000 intervistati in diverse decine di Paesi al mondo, saranno “le donne (e gli uomini che pensano come loro) a governare il futuro”. Così recita infatti il sottotitolo di The Athena Doctrine, una ricerca di qualche anno fa volta a scoprire se – poste le evoluzioni di economia, tecnologia, influenze generazionali, globalizzazioni e altro – i rispondenti avrebbero dato maggiore o minor valore al lato femminile della natura umana. Ebbene, indipendentemente dalla nazione presa in considerazione, alcuni tratti venivano puntualmente ricondotti alle donne. In un mondo sempre più socializzato, interdipendente e trasparente – concludono gli autori John Gerzema e Michael D’Antonio, i valori femminili sono in ascesa.
Forti delle capacità di cooperare, comunicare, nutrire, allevare e includere, si tenderà sempre più a rifuggire da strutture organizzative accentratrici a favore di un approccio più flessibile, collaborativo e attento alle esigenze del prossimo. Uno stile più femminile che non significa appannaggio esclusivo delle donne, ma una leva manageriale e di innovazione a disposizione di ciascuno di noi, per un futuro del lavoro migliore per tutti.
Photo by Edu Lauton on Unsplash
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